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Samurai, eroi dell’antico Giappone

All’inizio erano dei semplici guerrieri, simili a quelli che potremmo trovare in qualsiasi altra parte del pianeta.

A poco a poco però i samurai adottarono alcune caratteristiche che li avrebbero resi unici.

In parte esaltati dal mito, e in parte ancorati alla realtà, questi personaggi godono di grande popolarità sia in Giappone sia nel resto del mondo, e ciò malgrado se ne conosca più l’aspetto mitico che quello reale.

I samurai esistettero per circa mille anni, e per ben sette secoli giocarono un ruolo rilevante nella politica del Paese.

Anche dopo la loro scomparsa quale casta sociale, avvenuta alla fine del XIX secolo, i samurai hanno continuato a mantenere una notevole fama nella società nipponica.

La letteratura, il cinema, le serie e i fumetti, come pure la scuola, hanno reso familiari ai giapponesi sia i numerosi samurai dei tempi andati sia i signori a cui rendevano i loro servigi.

Tra questi troviamo Takeda Shingen e Uesugi Kenshin (potenti capi durante le guerre intestine del XVI secolo); Oda Nobunaga e Tokugawa Ieyasu, unificatori del Paese assieme a Toyotomi Hideyoshi, vissuti nel XVI e nel XVII secolo; il celebre spadaccino e duellante del XVII secolo Miyamoto Musashi; o ancora Sakamoto Ryōma e Saigō Takamori, due figure tragiche negli anni del passaggio verso la modernizzazione del Giappone.

Nella lunga lista di eroi compaiono in particolare cinque samurai le cui vite verranno narrate nei nostri 5 punti seguenti.

 

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1. Un eroe del XII secolo

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Uno dei personaggi storici più conosciuti e amati ancora oggi dai giapponesi è Minamoto no Yoshitsune (1159-1189).

Il padre morì sconfitto durante la cosiddetta ribellione di Heiji, nel 1160, e la famiglia venne giustiziata, come all’epoca spesso accadeva.

Ciononostante i nemici risparmiarono la vita a lui, allora un bambino di appena un anno, e a due dei suoi fratelli, che furono separati ed esiliati.

Non sappiamo quasi niente della sua infanzia e della gioventù, tranne alcune leggende, come quella secondo la quale fu allenato dai tengu – una sorta di spiritelli del bosco per metà corvi, esperti combattenti – ed era perciò molto abile nella lotta e nella strategia militare.

Nel 1180 scoppiò la Guerra Genpei, che vide fronteggiarsi il clan Minamoto, guidato dal fratello maggiore di Yoshitsune, e il clan Taira, lo stesso che aveva battuto suo padre. Durante i cinque anni di ostilità, mentre il fratello Yoritomo rimaneva nella base di Kamakura, Yoshitsune guidò gli eserciti.

Questi si rivelò un ottimo stratega riscuotendo vittorie decisive come nella battaglia di Awazu (1184), nel sorprendente attacco alla fortezza di Ichi-no-Tani (1184), nell’assalto alla città di Yashima (1185) o nell’epico scontro con cui terminò il conflitto, a Danno-Ura (1185).

Yoshitsune aveva vinto la Guerra Genpei per il fratello Yoritomo, ma quando quest’ultimo divenne shōgun, governante militare, una delle sue prime decisioni fu quella di eliminare chiunque avrebbe potuto metterlo in ombra nel clan.

A cominciare dal suo stesso fratello Yoshitsune, che godeva di notevole popolarità e reputazione in virtù dei meriti sul campo di battaglia. Dopo aver schivato una prima aggressione delle truppe di Yoritomo, Yoshitsune cercò rifugio nel nord del Paese.

Circondato da un imponente esercito, nel 1189 si suicidò per non essere catturato. Attorno alla sua tragica fine nacque una leggenda inverosimile secondo la quale Yoshitsune non morì, bensì riuscì a sfuggire alle armate del fratello, andò a nord e navigò verso il continente asiatico, dove assunse un nuovo nome, ben noto a tutti: Gengis Khan.

Nella foto sotto, Yoshitsune. Il famoso samurai viene rappresentato al suo arrivo a Hokkaidō, isola nel nord del Giappone. Pittura anonima del XIX secolo.

 

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2. Le donne samurai

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Nel corso dei mille anni di storia dei samurai compaiono pochissimi nomi femminili, che in genere corrispondono a mogli, madri o figlie di qualche importante samurai.

Tuttavia non mancarono le donne che presero parte agli scontri.

Lo dimostrano i recenti scavi giapponesi, che stanno portando alla luce i resti dei periodi più antichi, nei quali le donne non erano ancora state relegate nel focolare domestico in seguito all’arrivo del confucianesimo cinese.

La più famosa di queste donne guerriere, le cosiddette onna-bugheisha, fu senz’altro Tomoe Gozen (1157 ca.-1247 ca.).

Era la sorella di un noto samurai, Imai Kanehira, e moglie o concubina – su questo le fonti non concordano – dell’ancor più noto Minamoto no Yoshinaka, o Kiso. Tomoe è passata alla storia per il coraggio e l’abilità bellica.

Una delle più famose cronache belliche giapponesi, l’Heike Monogatari, dice di lei: «Era anche un arciere forte e un soldato vigoroso, in sella o a piedi, adatta ad affrontare un demone o un dio, valeva quanto mille guerrieri. Aveva una tattica superba nel rompere le righe di cavalli selvaggi, non temeva le discese accidentate».

Tomoe combatté nella Guerra Genpei. Partecipò alla decisiva battaglia di Kurikara (1183) grazie alla quale i Minamoto presero la capitale del paese, Kyoto, volgendo a proprio favore la bilancia delle ostilità.

Prese parte pure allo scontro di Awazu (1184) dove la sua schiera fu sconfitta dalle truppe di Yoshitsune. Sappiamo che in quella circostanza Tomoe uccise samurai di chiara fama, ma ignoriamo cosa successe dopo.

Alcune fonti affermano che, come il fratello e il marito, Tomoe morì nella lotta, però in molti concordano sul fatto che fuggì e si fece monaca buddista, conducendo un’esistenza tranquilla sino alla fine dei suoi giorni.

Nella foto sotto, Tomoe Gozen. Incisione che ritrae, armata e a cavallo, la famosa samurai che lottò a fianco del clan Minamoto, XVIII secolo.

 

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3. Da ribelle a eroe nazionale

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Agli inizi del XIV secolo lo shogunato dei Minamoto attraversava una fase di decadenza.

Nel 1331 l’imperatore Go-Daigo si alleò a samurai scontenti di quel potere per porvi fine.

Uno di tali samurai fu Kusunoki Masashige (1294-1336), che assieme a Nitta Yoshisada e Ashikaga Takauji fece cadere il governo Kamakura nel 1333.

L’imperatore Go-Daigo stabilì il proprio regime dando inizio alla cosiddetta Restaurazione Kenmu. Tuttavia, tre anni dopo Ashikaga Takauji, sentitosi messo da parte, si ribellò contro l’imperatore assieme ad altri clan samurai, anche loro ostili alla nuova autorità.

Non tutti i samurai voltarono le spalle a Go-Daigo. Kusunoki gli rimase devoto e divenne uno dei suoi uomini di fiducia.

Mentre gli eserciti di Ashikaga si avvicinavano alla capitale, mise a punto una strategia – aspetto nel quale era particolarmente brillante – che consisteva nel ritirarsi provvisoriamente sul monte Hiei.

Go-Daigo non era d’accordo e gli ordinò di marciare invece verso il nemico per un attacco frontale e diretto. Malgrado fosse convinto che, così facendo, sarebbero andati incontro a sconfitta e morte certa, Kusunoki riunì le truppe e si preparò a obbedire agli ordini dell’imperatore.

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Dopo cinque ore di battaglia la loro sorte era segnata e i pochi sopravvissuti, tra cui lo stesso Kusunoki, preferirono suicidarsi anziché cadere vivi nelle mani degli avversari.

Ashikaga Takauji prese la città di Kyoto e formò un nuovo governo, il secondo shogunato nella storia del Giappone. Ovviamente Kusunoki Masashige fu ritenuto un ribelle e un traditore.

Tuttavia, più di cinque secoli dopo, ormai nel moderno periodo Meiji (1868-1912), durante il quale l’imperatore venne considerato di nuovo la massima carica del Paese, Kusunoki fu riscattato dall’oblio e riabilitato come modello di dedizione incondizionata al regime politico.

Non solo: decenni più tardi, con l’auge del militarismo degli anni trenta, e soprattutto con l’ingresso del Giappone nella Seconda guerra mondiale, la figura di Kusunoki venne esaltata ancora di più e divenne una fonte d’ispirazione per i giovani soldati, in particolare per i piloti kamikaze che, al pari di Kusunoki, si lanciavano a morte sicura per lealtà nei confronti dell’imperatore.

Nella foto sotto, il tempio di Kannon. Questo tempio buddista si trova vicino a Tokyo, nella città di Kamakura, il luogo in cui Minamoto no Yoshitsune tenne il suo quartier generale.

 

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4. Napoleone giapponese

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Dopo il lungo periodo dello shogunato Ashikaga (1333-1573), caratterizzato da un potere centrale debole, un “daimyo minore” (o signore regionale), Oda Nobunaga, avviò la riunificazione del Paese prima della sua morte, occorsa nel 1582.

Gli succedette uno dei suoi generali, che sarebbe passato alla storia con il nome di Toyotomi Hideyoshi (1537-1598), foto accanto.

Nato senza cognome perché figlio di un umile contadino, ebbe una vita incredibile e straordinaria in un Paese sempre dominato dalle aristocrazie guerriere o cortigiane – attualmente da quelle politiche – e legate a una manciata di clan illustri.

Hideyoshi non solo riuscì ad avere accesso ad entrambe, ma vi si pose tranquillamente al vertice. Pur avendo lavorato da bambino come servo per il clan Oda, riuscì poi a divenire uno dei generali di fiducia di Nobunaga e a comandare diverse province che aveva conquistato in suo nome.

Alla morte di Oda Nobunaga – colto alla sprovvista da un nemico in un tempio di Kyoto –, Hideyoshi lo vendicò in due sole settimane, prese il controllo del clan e, in meno di dieci anni, quasi sempre per via diplomatica, conquistò i restanti due terzi del Giappone.

Con il Paese sotto il suo dominio, Hideyoshi si lanciò alla conquista della Cina, occupando di passaggio la Corea,in un progetto che non andò a buon fine.

Per certi versi Toyotomi Hideyoshi fu l’uomo più potente della sua epoca, la stessa in cui vissero Filippo II di Spagna e la regina Elisabetta I d’Inghilterra. In quanto erede di Oda Nobunaga, gettò inoltre le basi del futuro Giappone, quelle dello shogunato Tokugawa (1603-1868).

Se la storia in Occidente non fosse una disciplina così eurocentrica, quanto raccontato in queste pagine sarebbe certamente già noto al lettore, perché nell’immaginario collettivo Toyotomi Hideyoshi sarebbe celebre quanto Napoleone.

Comunque non tutti i samurai si guadagnarono la fama per le gesta sul campo di battaglia. Dal 1615 fino al 1868 il Giappone visse in una pace quasi assoluta, senza scontri né conflitti, al di là delle sporadiche rivolte contadine.

Ciononostante il paese era dominato da una casta ereditaria di guerrieri, che ricevevano inoltre uno stipendio statale indipendentemente dalla loro attività concreta.

Nella foto sotto, il castello di Himeji. Nella spettacolare fortezza, situata sulla costa a ovest di Kyoto, visse Toyotomi Hideyoshi, uno dei samurai più famosi della storia: un uomo di umili origini che, grazie ai suoi meriti, raggiunse il vertice della piramide sociale.

 

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5. Il samurai intellettuale

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Grazie allo status sociale, alla disponibilità di tempo libero e all’istruzione ricevuta, in quei secoli pacifici molti samurai divennero intellettuali di rilievo.

Non c’è da meravigliarsi se dopo la Restaurazione Meiji del 1868, quando la classe samurai smise di esistere e il Giappone si addentrò vertiginosamente nella modernità, il ceto intellettuale fosse formato proprio da quest’ultima generazione di samurai, nati e cresciuti in condizioni privilegiate.

Tra tutti loro merita una menzione speciale Fukuzawa Yukichi (1834-1901), un influente scrittore, giornalista e, soprattutto, filosofo politico.

Nato in una famiglia samurai, anche se di basso rango, ancora molto giovane Fukuzawa venne mandato a studiare nella città di Nagasaki, dove gli olandesi avevano una base commerciale che per più di due secoli costituì l’unico punto di contatto tra l’Europa e il Giappone.

A Nagasaki Fukuzawa si dedicò ai cosiddetti“studi olandesi”, che in realtà erano più propriamente studi occidentali. Con l’apertura forzata del Giappone al resto del mondo nella metà del XIX secolo, Fukuzawa scoprì che la lingua universale era l’inglese, e non l’olandese, per cui si mise subito a impararlo.

Nel 1860 e poi nuovamente nel 1867 venne inviato dallo shogunato Tokugawa in viaggio di formazione negli Stati Uniti e in Europa. Al ritorno riversò quanto appreso in diversi libri che divennero veri e propri bestseller.

Grazie a queste opere Fukuzawa fu considerato dai suoi connazionali un grande esperto della cultura occidentale. Lo scrittore sosteneva la necessità di un nuovo tipo di educazione: se il Giappone voleva essere all’altezza delle altre potenze, la formazione dei sudditi doveva allontanarsi dal confucianesimo cinese e diventare molto più pragmatica.

Per questo fondò una scuola che sarebbe poi divenuta l’Università Keio, ancor oggi la più importante università privata del Paese. Fondò pure un proprio giornale, sul quale pubblicò la maggior parte dei suoi testi intorno a diverse tematiche: dalla politica nazionale e internazionale all’educazione, dall’economia ai diritti delle donne, sempre con un enorme impatto sul Giappone della sua epoca.

La figura di Fukuzawa contrasta vivacemente con quella di Saigō Takamori (foto in alto a sinistra), difensore dei valori tradizionali dei samurai, che nel 1877 guidò una disperata ribellione contro il nuovo stato Meiji e la sua politica di occidentalizzazione.

Al contrario Fukuzawa fu un deciso sostenitore del bisogno di raggiungere il livello delle potenze europee pur di sopravvivere alle loro voraci politiche espansionistiche. Per questo venne accusato di promuovere il successivo colonialismo giapponese, sebbene nei suoi testi lui stesso respingesse simili idee.

Forse il miglior segnale del suo successo lo costituisce il biglietto da 10mila yen, quello di maggior valore, nel cui rovescio, tra il 1984 e il 2007, compariva la sua effige.

Nella foto sotto, Fukuzawa Yukichi. Fotografia del famoso samurai vestito con il kimono tradizionale e con una spada wakizashi (1862).

 

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