Tutti conoscono, o dovrebbero conoscere, quello straordinario monumento rosato a cupole intrecciate e sovrapposte, inquadrato da quattro potenti minareti (costruiti però qualche secolodopo il suo corpo principale), che si staglia a chiudere lo scenario della piazza oblunga dell’antico Ippodromo di Costantinopoli.
Santa Sofia a Istanbul è simbolo di un passato che non è più e di un presente che, con fatica, cerca equilibri per mantenersi vivo.
Fu chiesa cristiana, poi moschea e infine museo. Oggi la basilica di Santa Sofia a Istanbul torna a essere luogo di culto. Tra le polemiche.
1. Aghía Sophía
A Istanbul, sulla lastra di serpentino che divide il nartèce della "Grande Chiesa" di Santa Sofia dalla navata d’ingresso a doppio battente, ci sono due profondi avvallamenti.
Sono stati scavati nella soglia di marmo verde dal peso dei soldati che hanno montato la guardia per nove secoli, dandosi il cambio dall’inaugurazione del 27 dicembre 537 (la città allora si chiamava Costantinopoli), al 29 maggio 1453, quando le truppe del sultano ottomano Maometto II “il Conquistatore” entrarono in città mettendo fine alla storia gloriosa della Nuova Roma.
Per quasi mille anni l’Impero romano d’Oriente – chiamato “bizantino” solo in Età moderna – aveva fatto da scudo alla sua Chiesa; e per molte generazioni, in un momento decisivo della storia europea, le armi e la fede di Costantinopoli avevano protetto la cristianità intera dall’avanzata travolgente dell’islam.
I due soldati di guardia a Santa Sofia erano anche il segno visibile del legame tra Stato e Chiesa, uniti da un vincolo di protezione e legittimazione reciproca.
Nell’impero della Nuova Roma, politica e religione erano una cosa sola: l’ortodossia, ovvero la “giusta opinione” sui dogmi cristiani definita dai primi concili ecumenici, dava forza e coesione alla res publica Christianorum; ma era il potere del sovrano – immagine terrena di Dio – che difendeva la Chiesa dai nemici.
Nel cuore della capitale, il palazzo dell’imperatore e Santa Sofia – il “sacro tempio della Santa Sapienza” (Aghía Sophía in greco) – distavano poche centinaia di passi, perfetta sintesi della civiltà romana e cristiana.
Progettata a partire dal 350 d.C., più volte distrutta e ricostruita con significativi cambi di stile, deve l’aspetto attuale all’imperatore Giustiniano che ne ordina la nuova progettazione nel 532, dopo l’ennesimo incendio che l’aveva distrutta quasi completamente, affidandone il progetto a Isidoro di Mileto.
Sempre Giustiniano la fa consacrare nel 537 e da quel momento diventa la sede del Patriarcato di Costantinopoli e delle cerimonie imperiali bizantine.
2. La Grande Chiesa
Era stato Costantino I (306-337), il grande riformatore dell’impero, a scegliere l’antica colonia greca di Bisanzio come sua capitale, dopo aver sconfitto il rivale Licinio (324) ed essere rimasto unico padrone della res publica.
La città, ampliata e abbellita di monumenti, era stata inaugurata l’11 maggio del 330 col nome ufficiale di Nuova Roma.
Costanzo II, figlio e successore di Costantino(337-361), nel 360 inaugurò una Grande Chiesa a sud dell’antica acropoli di Bisanzio, nei pressi dell’Augustaion, una piazza circondata da portici che collegava la zona dell’ippodromo, il palazzo imperiale e l’inizio della Mesè, la grande strada che conduceva alle mura.
La seconda Grande Chiesa – il nome originario non fu mai abbandonato mentre la dedica alla Santa Sapienza è attestata dal 430 – fu ricostruita per volere dell’imperatore Teodosio II nel 415 dopo che era stata devastata da un incendio, ma anch’essa finì distrutta dal fuoco.
Accadde durante la rivolta detta di Nika (dalla parola d’ordine Nikà!, “Vinci!”, usata dai ribelli) scoppiata nel gennaio 532 a causa del malcontento contro il duro regime fiscale di Giustiniano I (529-565).
Quando l’imperatore, dopo la feroce repressione della sollevazione popolare, volle riaffermare il proprio potere e ristabilire un legame di fiducia con gli abitanti della capitale, la sua prima mossa fu riedificare Santa Sofia: lo fece senza badare a spese, con soluzioni architettoniche arditissime, proporzioni e dimensioni fatte per stupire il mondo.
La terza chiesa fu inaugurata il 27 dicembre 537. Procopio di Cesarea, nella sua opera dedicata agli edifici pubblici portati a termine durante il regno di Giustiniano, ci ha lasciato un’accurata descrizione della costruzione della basilica e delle difficoltà tecniche che dovettero superare gli architetti Antemio di Tralles e Isidoro di Mileto. Il risultato fu all’altezza delle grandi aspettative dell’imperatore.
Gran parte della maestosa cupola dal diametro di 31 metri, che allora copriva il più vasto spazio chiuso mai creato dall’uomo, crollò a causa di una serie di terremoti, l’ultimo dei quali colpì Costantinopoli il 7 maggio del 558; per volontà di Giustiniano fu subito ricostruita da Isidoro il Giovane, nipote di Isidoro di Mileto, che ne perfezionò la statica innalzandola di circa sei metri e mezzo e utilizzando materiali più leggeri.
Santa Sofia venne riaperta al culto la vigilia di Natale del 562: il vecchio imperatore, guardandola, avrebbe esclamato “Salomone, io ti ho sconfitto!”, sicuro di aver legato il proprio nome a un monumento più splendido del Tempio di Gerusalemme.
3. I nuovi signori
La basilica giustinianea rimase il più grande edificio di culto cristiano fino al 1520, quando fu consacrata la cattedrale di Siviglia.
A quell’epoca però Santa Sofia non era più una chiesa, ma una moschea islamica: Costantinopoli era caduta nelle mani dei Turchi il 29 maggio del 1453, dopo 53 giorni di assedio.
L’ultimo imperatore della Nuova Roma, Costantino XI, era morto combattendo sulle mura. La popolazione terrorizzata si era rifugiata in verso la Grande Chiesa: secondo una leggenda, quando gli invasori fossero arrivati al foro di Costantino, dove l’imperatore vegliava sulla città dalla cima di una colonna di porfido, la sua statua di bronzo avrebbe preso vita e li avrebbe ricacciati fino ai confini del mondo.
A fermare i saccheggiatori fu, in realtà, il sultano, che non voleva vedere la sua nuova conquista finire in cenere.
Poco dopo mezzogiorno Maometto II entrò a cavallo a Costantinopoli, percorrendo i cinque chilometri che separano le mura dalla Grande Chiesa, da dove i suoi guerrieri avevano già trascinato via migliaia di ostaggi e gli arredi sacri più preziosi.
Il Conquistatore smontò di fronte all’atrio, piegò un ginocchio, raccolse una manciata di terra e se la gettò sul turbante. Poi fece il suo ingresso nel più sacro tempio dei Rûm (i “Romani”) prendendone possesso in nome della fede islamica e salvandolo da ulteriori oltraggi.
Maometto fece subito innalzare un minareto provvisorio in legno addossato a una delle semicupole; Bayezid II (1481-1512), suo figlio e successore, ordinò di costruire i due minareti di sud-est e nord-est, mentre il terzo e il quarto, verso occidente, vennero progettati dal celebre architetto Mimar Sinan durante il regno di Selim II (1566-1574).
La Grande Chiesa, mai restituita al culto cristiano, per altri cinque secoli affascinò viaggiatori e artisti che arrivavano ad ammirare la capitale dei sultani, “Signori degli orizzonti” come erano stati soprannominati quando ancora vivevano nelle steppe dell’Asia Centrale.
4. Potenza dei simboli
Santa Sofia, casa del Patriarcato, sede di tre concili ecumenici (il secondo, il quinto e il sesto) e vari sinodi della Chiesa ortodossa, divenne così la prima moschea imperiale di Costantinopoli, uno dei luoghi di preghiera più cari agli Ottomani perché legata alla figura del Conquistatore.
Più volte restaurata dai sultani, senza tuttavia modificarne la struttura, mantenne il suo ruolo attraverso la crisi che portò alla dissoluzione dell’impero e alla nascita del nuovo Stato nazionale turco.
Solo nel 1934 il presidente Mustafa Kemal Atatürk, il padre della Turchia contemporanea, decise di trasformarla in un museo aperto al pubblico.
A partire da quella data sono tornati visibili i pochi elementi della splendida decorazione a mosaico bizantina, datati dal VI all’XI secolo, sopravvissuti al saccheggio da parte dei crociati (1204) e a quasi cinquecento anni di oblio sotto una mano di intonaco.
Quello di Atatürk fu un atto simbolico di grande importanza, che rendeva esplicita agli occhi del mondo la sua volontà di dar vita a uno Stato laico, occidentalizzato, capace di aprirsi al mondo esterno e di rivalutare anche il proprio passato non islamico.
La recente decisione del presidente Recep Tayyip Erdogan, che va in direzione opposta, ha un analogo valore politico e strategico: Santa Sofia torna a essere moschea imperiale sul Bosforo, simbolo di una potenza islamica che tenta di riportare in vita le ambizioni dei “Signori degli orizzonti”.
Nella foto sotto, il Cristo Pantocrator del mosaico della Deesis (XIII secolo) situato nella basilica di Santa Sofia a Istanbul.
5. Super architetti
Quando Giustiniano I diede ordine di riedificare Santa Sofia, nel febbraio del 532, affidò il progetto della nuova basilica a due uomini di scienza all’apice della carriera: Antemio di Tralles (474-534) e Isidoro di Mileto (442-537).
Antemio di Tralles era un ingegnere meccanico che, secondo lo storico dell’epoca Agazia, “costruiva modelli o imitazioni del mondo naturale”.
Aveva anche scritto un trattato Sui dispositivi meccanici ed è quindi probabile che fosse in grado di progettare le gru e le impalcature necessarie a quell’opera.
Il suo collega Isidoro di Mileto era invece un matematico e architetto di chiara fama. Fu l’omonimo nipote a raccoglierne il testimone, quando – dopo il crollo del 558 – l’imperatore dovette dare l’incarico di ricostruire la cupola.
Isidoro il Giovane scelse innanzitutto di rialzarla di circa sei metri e mezzo e di renderla quindi più “ripida”. Inoltre decise di utilizzare un amalgama di mattoni e malta più leggero ed elastico di quello originale.
Isidoro il Giovane fu costretto ad abbandonare la perfetta «proporzione aurea» tra altezza e diametro della cupola del 537, che, paradossalmente, pur essendo più bassa dell’attuale, dava un senso di maggiore grandiosità e armonia allo spazio interno: ma la soluzione da lui adottata si dimostrò idonea a sfidare i secoli.