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Schiavi: il traffico umano attraverso l’Atlantico

I viaggi di esplorazione di Spagnoli e Portoghesi nel XV secolo collegarono l’Europa con l’Africa equatoriale, l’India e l’America.

Si produsse così una prima “globalizzazione” per la quale, tuttavia, si pagò un prezzo enorme: quello di un traffico di schiavi massiccio e mortale.

La tratta dei neri divenne il fulcro del cosiddetto “commercio triangolare”, al suo apice nel XVIII secolo.

I mercanti europei acquistavano schiavi sulla costa africana in cambio di articoli di scarso valore,e dopo il middle passage (o passaggio intermedio, cioè la traversata dell’Atlantico) li vendevano o li barattavano in America con i prodotti tropicali più richiesti in Europa, soprattutto caffè, tabacco e zucchero.

Nel XVIII secolo città portuali come Londra e Liverpool in Inghilterra o Nantes e Bordeaux in Francia vissero decenni di prosperità economica grazie al traffico di schiavi e all’importazione di zucchero o tabacco, poi esportati in altri Paesi.

Nacquero così famiglie di armatori e commercianti schiavisti che vivevano in splendide tenute, circondati da lusso e raffinatezze, senza alcun rimorso di coscienza per l’origine della loro fortuna.

CRONOLOGIA
La tragiche tappe della tratta

  • 1444: Una spedizione portoghese giunge in patria con un carico di 235 schiavi africani. Nel 1486 viene fondata la Casa dos Escravos.
  • 1508: I primi schiavi neri giungono in America mediante licenze speciali concesse dalla Corona spagnola.
  • 1619: Una nave negriera olandese approda sulle coste di Jamestown, dando inizio alla schiavitù nelle colonie inglesi del Nordamerica.
  • 1692: Scoppia una rivolta degli schiavi a Barbados, soffocata dalle autorità inglesi. L’isola era conosciuta per le sue piantagioni di canna.
  • 1780-1790: Il commercio di schiavi attraverso l’Atlantico tocca il punto culminante e si superano i 100.000 prigionieri trasferiti ogni anno.
  • 1807: Dopo intense campagne di denuncia da parte dei gruppi antischiavisti, il Parlamento britannico decide di abolire la tratta degli schiavi.
  • 1888: Il Brasile è l’ultimo Paese ad abolire la schiavitù. Il dominio spagnolo di Cuba riceve l’ultimo carico di schiavi nel 1867.

1. L'inizio della schiavitù e le fasi della tratta

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Tra il XVI e il XIX secolo, dodici milioni di africani furono deportati in America come manodopera forzata.

Ammassati nelle navi negriere, molti perirono durante la traversata.

Alla fine del XV secolo, gli esploratori spagnoli e portoghesi che giungevano in Africa non erano in cerca di schiavi: era l’oro l’oggetto del desiderio, tanto è vero che fino al 1700 fu l’oro, e non gli schiavi, il prodotto africano più ambito dagli europei.

La situazione, però, cambiò con lo sviluppo delle piantagioni di canna da zucchero. Gli europei iniziarono a cercare schiavi che lavorassero nelle coltivazioni, prima nelle isole atlantiche orientali, come Madeira e Santo Tomé, e poi nel Nuovo Mondo.

La coltivazione dello zucchero richiedeva molta manodopera per un’attività incessante e ardua, soprattutto durante il raccolto. Era un lavoro molto duro che la manodopera libera europea rifiutava di svolgere. Fu così che la crescente produzione di zucchero favorì il lavoro forzato.

I salariati europei e i lavoratori forzati impiegati nella produzione dello zucchero solitamente soccombevano alle malattie endemiche dei climi tropicali in cui cresce la canna da zucchero.

Inoltre, le infezioni portate dagli europei in America avevano decimato la popolazione indigena, il che privò i colonizzatori della manodopera autoctona di cui avevano bisogno, e che andarono a cercare in Africa.

Nel XVIII secolo, il 40 per cento degli schiavi era impiegato nelle piantagioni di canna da zucchero. La preponderanza degli schiavi africani come manodopera non fu, tuttavia, un fenomeno repentino.

Gli schiavi africani o i discendenti di africani divennero la forza lavoro prevalente nelle piantagioni brasiliane solo a partire dal 1600; prima di quella data, la manodopera era costituita principalmente dagli indios d’America.

Nel 1690, nelle Indie Occidentali Britanniche (i possedimenti inglesi nei Caraibi) c’erano più lavoratori forzati europei e indiani americani che discendenti di africani. La transizione finale verso una forza lavoro costituita in maggior parte da discendenti di africani va attribuita, in parte, al crollo demografico delle popolazioni schiave in America.

Ovunque tranne che nell’America del Nord, il numero dei decessi superava quello delle nascite, quindi c’era bisogno di un flusso costante di nuovi prigionieri per assicurare il funzionamento di quello lo storico Philip Curtin chiamò il «sistema delle piantagioni».

Ecco le fasi della tratta:
- XVI secolo: in questo periodo furono trasportati in America circa 300.000 africani, in gran parte con imbarcazioni portoghesi, partendo dalle basi della Corona lusitana nell’Africa occidentale. Una parte fu portata in Europa.
- XVII secolo: l numero di prigionieri salì a 1.800.000. I trafficanti erano per oltre la metà portoghesi, e rifornivano il mercato del Brasile; a questi si aggiungevano inglesi e olandesi, con piantagioni nei Caraibi e in Nordamerica.
- XVIII secolo: fu il secolo d’oro della tratta, con 6.200.000 schiavi trasportati. I trafficanti britannici superarono quelli portoghesi, e i francesi quelli olandesi. Fino al 1850 furono trasportati ancora 3,8 milioni di schiavi.

2. L’arte del baratto in Africa

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Secondo gli Stati europei, il monopolio era il mezzo più efficace per controllare il traffico di schiavi.

Per organizzare questo commercio si servirono di compagnie mercantili a cui erano accordati monopoli e privilegi, come la Compagnia Olandese delle Indie Occidentali, che finirono per fare da intermediarie, supervisionando i commercianti privati europei e regolando le loro interazioni con i mercanti africani.

Non tutti i Paesi europei, però, ebbero delle postazioni commerciali sulla costa africana.

La Spagna, per esempio, rinunciò ad avere basi in Africa in accordo con il Trattato di Tordesillas (1494), che concedeva ai Portoghesi il dominio sull’emisfero orientale, nel quale si trovava l’Africa.

Per questo, al fine di rifornire di schiavi i suoi possedimenti americani, la Spagna fece ricorso, fino al 1640, a commercianti portoghesi e successivamente a inglesi, francesi e olandesi.

I trafficanti europei giungevano sulle coste africane carichi di mercanzie da barattare in cambio di schiavi: in gran parte si trattava di tessuti, molto spesso provenienti dall’Asia meridionale, ma anche alcolici, armi da fuoco, ferramenta e utensili vari erano importanti merci di scambio.

Molto usate come moneta erano le conchiglie di un mollusco, il cauri: si calcola che nel XVIII secolo i commercianti olandesi e inglesi arrivarono a importare fino a 40 milioni di conchiglie all’anno.

Raramente gli europei si avventuravano all’interno dell’Africa in cerca di schiavi. Il più delle volte venivano confinati sulla costa per ordine dei sovrani africani, oltre che per la presenza di malattie letali.

Gli africani controllavano il traffico di schiavi dalla costa verso l’interno, mentre gli europei si limitavano a imbarcarli. In questo modo, i capi africani dominavano le relazioni commerciali, controllavano il destino dei prigionieri ed esigevano dagli europei il pagamento di imposte elevate per l’acquisto e l’esportazione degli schiavi.

Gli agenti africani erano responsabili anche della riduzione in schiavitù di tutte le persone catturate fino alla costa. Gli schiavi erano in gran parte prigionieri di guerra, ma vi erano anche persone accusate di crimini come assassinio, stregoneria, debiti o furto, o che, semplicemente, erano cadute in disgrazia.

La schiavitù era diffusa in Africa anche prima della tratta atlantica (ossia del commercio di schiavi attraverso l’oceano Atlantico), quindi i commercianti europei sfruttarono un traffico che già esisteva.

Prima del 1600, soltanto un quarto di tutti gli schiavi usciti dall’Africa faceva parte della tratta atlantica, mentre nel XVII secolo il traffico di schiavi attraverso l’Atlantico raggiunse i due terzi del commercio totale africano di schiavi.

In definitiva, gli europei controllavano soltanto la parte atlantica del traffico di schiavi in Africa.

3. Un trasporto disumano

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Il viaggio in nave attraverso l’Atlantico, conosciuto come middle passage o “passaggio intermedio”, durava due-tre mesi, a seconda dei porti di partenza e di arrivo.

L’abolizionista britannico William Wilberforce (1759-1833) dichiarò che «mai si vide tanta miseria condensata in poco spazio come su una nave negriera durante il middle passage».

In una di queste navi potevano essere ammassati oltre quattrocento prigionieri, suddivisi in tre gruppi: uomini, giovani adulti, donne e bambini.

Alle donne venivano dati abiti leggeri, e spesso erano costrette a subire violenze e stupri da parte dei marinai e del capitano.

Gli uomini rimanevano nudi quando il tempo era buono, e di notte venivano rinchiusi e legati tutti insieme sottocoperta.

Le condizioni del viaggio erano pessime e il tasso di mortalità arrivò al dodici per cento nel corso di quattro secoli, nonostante gli sforzi degli schiavisti per proteggere il valore del loro carico preservando la salute degli schiavi, per esempio attraverso l’esercizio fisico.

I prigionieri erano obbligati a salire in coperta a cantare e ballare, e se rifiutavano di prendere parte a queste attività potevano essere picchiati e frustati. Tuttavia, nonostante la pseudoscienza e le superstizioni europee, gli schiavi morivano.

La dissenteria e altri disturbi intestinali erano le cause di morte più comuni, ma anche le malattie trasmesse dalle zanzare, come la malaria e la febbre gialla, lo scorbuto e le affezioni respiratorie si portavano via molte vite.

Spesso alcuni prigionieri erano costretti a svolgere lavori come la pulizia dei cubicoli dei loro compagni di viaggio sottocoperta o lo svuotamento dei secchi usati per raccogliere escrementi e altri fluidi corporali.

Le donne si occupavano soprattutto della preparazione dei pasti, a base di riso, igname e cereali, che erano i componenti principali della dieta a bordo. In qualche occasione, coloro che svolgevano questi compiti potevano essere ricompensati con un po’ di liquore o di tabacco, piccoli extra aggiunti alle esigue razioni di cibo.

4. La “schiavitù” dei marinai

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Vale la pena sottolineare che anche i marinai europei soffrivano sulle navi negriere.

Per loro, la costa occidentale africana era la peggiore fra tutte le possibili destinazioni, e molto spesso si arruolavano a bordo solo per disperazione o per mancanza di altre possibilità.

Un commerciante di schiavi del XVIII secolo considerava i membri del suo equipaggio «schiavi bianchi», chiamandoli, con sommo disprezzo, «la feccia della comunità».

La metà degli europei che si recarono in Africa occidentale nel XVIII secolo morì, soprattutto di malaria o febbre gialla, e i marinai che riuscirono a sopravvivere collaborarono attivamente al controllo del carico umano.

Solitamente si occupavano di mantenere l’ordine tra gli schiavi, soffocando le ribellioni e infliggendo punizioni corporali.

La minaccia di rivolta era reale, e le misure per prevenire insurrezioni quando le navi negriere dovevano trasportare un carico di prigionieri superiore al solito faceva aumentare il costo totale del viaggio.

I marinai dovevano anche preparare gli schiavi per la vendita. Quando la nave era abbastanza vicina alla propria destinazione, toglievano i ceppi ai prigionieri e curavano le escoriazioni, pulivano e radevano gli uomini, toglievano i capelli bianchi o li tingevano di nero per dare un aspetto più giovane e virile e ungevano i loro corpi con olio di palma.

I benefici del commercio di schiavi sono stati oggetto di accesi dibattiti. Secondo alcuni storici, come Eric Williams, tali profitti costituirono la base della Rivoluzione industriale.

Altri, invece, affermano che l’utile di ciascun viaggio di una singola nave negriera andava in media dal 5 al 10 per cento.

Un punto di vista diverso sulla questione potrebbe essere quello di esaminare quante vite e quante attività commerciali si basarono sul traffico di schiavi e sulla schiavitù, a partire dagli agenti delle assicurazioni delle navi, dai capitani e dagli equipaggi, passando per i fornitori di viveri per il viaggio per arrivare infine ai proprietari di schiavi e agli intermediari che vendevano manufatti e prodotti realizzati con il lavoro degli schiavi.

Da questa prospettiva, l’importanza del commercio atlantico di schiavi per l’economia globale fu decisiva e riguardò tutti i settori dell’economia europea, persino nei Paesi che non possedevano colonie né schiavi.

Tuttavia, il prezzo in vite umane e sofferenze fu incalcolabile e terribile, e la sua dannosa eredità ha ripercussioni ancora oggi in gran parte delle società dell’Africa, dell’Europa e del Nuovo Mondo.



5. La sfida della traversata Atlantica e battaglie per abolire la schiavitù

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Tra il XVI e il XIX secolo furono effettuate quasi 25.000 spedizioni schiaviste nell’Atlantico.

Di queste, 443 naufragarono e altre 148 si dispersero in mare, a dimostrazione che era un viaggio difficile e rischioso per i marinai.

Il tributo più pesante, tuttavia, fu pagato dagli africani: si calcola che furono oltre un milione a perdere la vita durante il tragitto, vittime dell’affollamento, di una pessima alimentazione, delle severe punizioni e dei maltrattamenti da parte dell’equipaggio delle imbarcazioni.

  1. - Sistemazione della “mercanzia”.
    Mentre donne e bambini in genere erano autorizzati a trascorrere le ore diurne in coperta, i maschi erano rinchiusi nell’interponte. In un documento degli inizi del XIX secolo si legge che ogni giorno al calar del sole «il luogotenente e il suo secondo scendono nelle stive con una frusta in mano e sistemano i negri per la notte.
    Quelli che sono a tribordo vengono disposti come cucchiai, girati in avanti. Quelli a babordo li girano all’indietro; questa è la posizione migliore, perché permette di respirare liberamente».
  2. - Vigilanza e castighi.
    Più che una preoccupazione, la sicurezza era un’ossessione per i marinai delle navi negriere. La vigilanza sugli schiavi era strettissima, specialmente nei primi momenti del viaggio, quando i prigionieri, sentendo di essere ancora vicino all’Africa, si mostravano in atteggiamento di sfida e disposti ad azioni disperate. In caso di indisciplina o ammutinamento le punizioni erano severissime.
    Dopo una rivolta degli schiavi dell’Africain, nel 1737, gli ufficiali presero i quattro capi dei ribelli, li stesero sotto coperta, li frustarono, fecero loro delle incisioni con un coltello e versarono polvere da sparo, succo di limone e pepe nelle ferite sulle natiche, «per impedire che la cancrena si estendesse e perché sentissero bruciore», come raccontò un testimone.
  3. - Il cibo.
    L’alimentazione degli schiavi era costituita da zuppa di riso, tapioca e fave, a volte con l’aggiunta di pesce: una dieta economica, ma che si sperava evitasse la diffusione di epidemie, uno dei timori più grandi di un capitano negriero. Il problema principale era l’acqua; secondo un testimone, «di solito si guasta due o tre volte durante le traversate e diventa spessa e fangosa, a volte piena di larve». Alcuni consigliavano di distribuire di tanto in tanto, se tutti si comportavano bene, un po’ di acquavite, un dolce o addirittura un pezzo di bue bollito.

 

Fu la Gran Bretagna, nel 1807, il primo Paese ad abolire la schiavitù, e le sue colonie la seguirono nel 1834.

Gli Stati Uniti posero fine al commercio di schiavi attraverso l’Atlantico nello stesso anno della Gran Bretagna, ma la schiavitù in sé (e il commercio atlantico illegale) continuò fino alla Guerra civile (1861-1865).

L’indipendenza degli Stati dell’America Latina implicò la fine del commercio di schiavi ovunque tranne che in Brasile.

Tuttavia, anche se la Gran Bretagna attuò una lunga lotta per porre fine all’infame commercio, la tratta continuò, anzi fiorì nel corso del XIX secolo.

Alla fine, il Brasile cedette alle pressioni nel 1850, ma la schiavitù perdurò fino al 1888. Spagna e Cuba la mantennero a lungo: nell’arcipelago caraibico il commercio fu abolito nel 1867, e la schiavitù sopravvisse fino al 1886.






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