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Sicilia e Gran Bretagna: 5 punti in comune poco conosciuti

La Sicilia ha alle spalle una storia tormentata, che l’avvicina sorprendentemente a quella della Gran Bretagna.

Ecco cinque punti di connessione poco noti tra le due isole!

Scopriamoli insieme!

1. Due isole sotto le insegne normanne

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Anche la Sicilia fu trasformata da un’invasione Normanna negli anni sessanta dell’XI secolo

La data del 1066 è pregna di significato per la storia inglese, essendo l’anno in cui uno straniero rovesciò il governo del Regno e cambiò per sempre il corso della sua storia.

Ma Guglielmo, detto poi il Conquistatore, non era l’unico comandante normanno in vena di conquiste in quel periodo.

Nel 1061, cinque anni prima dell’incursione del duca di Normandia al di là della Manica, una banda di normanni invase la Sicilia, la più vasta tra le isole del Mediterraneo: alla sua testa c’erano Ruggero d’Altavilla e il fratello Roberto detto il Guiscardo, comandanti di un esercito mercenario stabilitosi nel Meridione italico nel decennio precedente.

Sostenuti da papa Nicolò II (che, un po’ prematuramente, aveva nominato Roberto “duca della Sicilia non ancora conquistata”), i due fratelli sbarcarono a Messina nel maggio del 1061 con una piccola forza armata di 150 cavalieri e 450 ausiliari, con l’obiettivo di strappare l’isola al dominio arabo.

Ma, a differenza della campagna fulminea che Guglielmo avrebbe condotto cinque anni più tardi in Inghilterra, la conquista della Sicilia intera richiese trent’anni, anche perché Roberto fu distratto da svariate minacce alla sua leadership che sorsero nell’Italia continentale.

In ogni caso l’occupazione normanna inaugurò un’era dorata della storia siciliana, non solo per la fondazione di un governo stabile, ma anche perché sotto i normanni l’isola divenne un caposaldo di tolleranza e multiculturalismo in un mondo sempre più frazionato.

Ruggero, che governò fino alla sua morte nel 1101, lasciò al potere molti dei capi arabi locali e mantenne in vigore il loro apparato burocratico, oltre a incoraggiare i commerci con tutti i popoli del Mediterraneo fino a fare della Sicilia un importante mercato internazionale.

2. Tommaso Becket in Sicilia

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Perché a Palermo si venera un santo inglese?

L’arcivescovo di Canterbury Tommaso Becket fu assassinato nel 1170 da un gruppo di sicari su mandato del re Enrico II d’Inghilterra.

Tre anni dopo, il sovrano fece penitenza per l’omicidio: Becket venne canonizzato da papa Alessandro III e l’anno successivo Guglielmo II d’Altavilla, il re normanno di Sicilia, diede inizio alla costruzione di una cattedrale a Monreale, nei pressi di Palermo.

Al centro della magnifica abside venne composto un enorme mosaico raffigurante il Cristo Pantocratore (“Signore del Tutto”) sopra una schiera di santi, uno dei quali è proprio Tommaso Becket, identificato senza possibilità di errore da un’iscrizione latina.

Si tratta della sua prima raffigurazione storicamente accertata e occupa una delle posizioni più importanti nel Duomo di Monreale. Ma per quale ragione la Sicilia e in particolare il suo re Guglielmo II parevano così affezionati a quel santo inglese?

In verità Becket e la Sicilia avevano collegamenti di lunga data: possediamo anche una lettera in cui l’arcivescovo Becket ringrazia Guglielmo II e sua madre Margherita per l’ospitalità offerta alla sua famiglia.

La stessa moglie di Guglielmo, la regina Giovanna, era figlia di Enrico II d’Inghilterra e grande ammiratrice dell’arcivescovo.

E non solo Monreale è il luogo di culto di san Tommaso di Canterbury in Sicilia: anche il Duomo di Marsala è dedicato a lui, e la sua statua troneggia tutt’oggi sulla facciata.

3. Un esperto per il re di Sicilia

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Lo scozzese che divenne la mente più fidata di Federico II

Nel 1198 fu incoronato re di Sicilia Federico II. La sua corte a Palermo divenne il fulcro più attivo della cultura e della filosofia del Medioevo e attirò alcune delle menti più brillanti del mondo di allora, incluso Michele Scoto.

Nato nel 1175, forse nei pressi del confine tra Inghilterra e Scozia, fu ordinato sacerdote e divenne un importante filosofo, matematico e astrologo.

Studiò a Oxford, a Parigi, a Bologna e imparò anche l’arabo, finché, attorno ai cinquant’anni di età, fu attratto anche lui dalla poliglotta corte palermitana, dove collaborò con altri studiosi alla traduzione dall’arabo al latino delle opere di Aristotele e dei relativi commentari arabi.

Michele Scoto divenne anche l’esperto di riferimento per Federico II su argomenti che spaziavano dalla geografia alla localizzazione di Paradiso, Purgatorio e Inferno agli studi relativi all’anima umana.

Scrisse libri di alchimia, astrologia, fisiognomica e si fece anche la fama di mago – secondo una leggenda tramutò in pietra un gruppo di streghe – tanto da vedersi collocato da Dante Alighieri nell’Ottavo Cerchio dell’Inferno (il suo mecenate Federico II arrivò solo al Sesto).

4. Garibaldi, un eroe anche Oltremanica

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La lotta per l’indipendenza italiana entra nei salotti deLL’alta società britannica

L’11 maggio 1860 Giuseppe Garibaldi sbarcò nel porto siciliano di Marsala alla testa di un migliaio di uomini, con l’obiettivo di liberare l’isola dal dominio spagnolo dei Borbone in nome del re di Sardegna Vittorio Emanuele II e dare inizio all’unificazione d’Italia.

Aveva già notevole esperienza in fatto di guerriglia, avendo combattuto in Brasile e in Uruguay, ed era abituato alle campagne militari con poche probabilità di successo.

Nel giro di un mese conquistò Palermo e in poco più di un anno completò la cacciata dei Borbone dall’isola, acquisendo la meritata fama che lo colloca tra i padri dell’unità italiana.

La storia della sua impresa conquistò i media negli Stati Uniti, in Russia e, cosa più notevole, in Gran Bretagna, dove la gente si entusiasmò così tanto da non limitarsi a seguire la vicenda sui giornali ma volle supportare Garibaldi con raccolte di fondi per la sua causa (tra i nomi che fecero donazioni figurarono Charles Dickens e Florence Nightingale).

Completata la liberazione della Sicilia, Garibaldi si lanciò all’assalto dell’altro grande regno borbonico nell’Italia meridionale, quello di Napoli, che raggiunse grazie a un passaggio nello Stretto di Messina offerto dalla Royal Navy.

Il popolo britannico arrivò a celebrare il suo nome con quella che è forse la più originale delle onorificenze: l’invenzione di un biscotto che porta il suo nome.

La nascita del “Garibaldi” segnò l’inizio del match più seguito in tutte le sale da tè di Gran Bretagna: garibaldini contro borbonici.



5. Il paradiso delle cosche

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Ecco perché quando le forze alleate liberarono la Sicilia, nel 1943, fu la mafia a trarne il maggior profitto

Nel luglio del 1943 le truppe Alleate stabilirono la loro prima testa di ponte su suolo europeo in Sicilia: gli americani sbarcarono a Gela, nel sud-ovest, e i britannici tra Pachino e Pozzallo, nel sud-est, con una forza totale di 160mila uomini.

La decisione di iniziare l’invasione dell’Europa dalla Sicilia fu uno dei segreti meglio conservati di tutta la Seconda guerra mondiale.

Un elemento non trascurabile del suo successo fu la manovra di depistaggio denominata Operazione Tritacarne (Operation Mincemeat), che consistette nel gettare alla deriva in mare, dove i tedeschi potessero trovarlo, il cadavere di un finto Royal Marine (in realtà era il corpo di un senzatetto) con addosso falsi piani militari che indicavano come obiettivi Alleati la Sardegna e la Grecia.

Con l’avvio dell’Operazione Husky (lo sbarco in Sicilia) il generale americano George Patton e la sua controparte britannica Bernard Montgomery guidarono l’avanzata per quaranta giorni e quaranta notti.

Le truppe britanniche persero 12.800 uomini, quelle americane 8800, ma fu la Sicilia stessa a pagare il prezzo più alto: molte città subirono bombardamenti aerei e Messina in particolare fu la più colpita tra tutti i centri abitati d’Italia.

Ma si pagò anche un altro prezzo, assai meno conosciuto: nelle fasi preparatorie dell’invasione gli Alleati si adoperarono molto per ottenere il sostegno della mafia. Gli Stati Uniti arrivarono a scarcerare sulla parola il boss Charles “Lucky” Luciano e a rimpatriarlo in Sicilia.

A guerra terminata, molti boss mafiosi vennero confermati dall’amministrazione temporanea anglo-americana in posizioni di potere quasi ufficiali in tutta l’isola, aprendo la strada ai traffici di droga e ai racket edilizi che sarebbero cresciuti nei decenni successivi.

Nel loro sforzo di liberare l’Europa, gli Alleati regalarono alla mafia una piattaforma di potere che negli anni le permise di allungare i suoi tentacoli in tutta la Sicilia.






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