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Spagnola: l’influenza che fece più morti della guerra

Proveniente dagli Stati Uniti la “spagnola” fu una pandemia influenzale che nel giro di due anni (1918-20) devastò il mondo, portandosi via un’intera generazione.

A tutt’oggi il numero preciso delle sue vittime resta difficile da quantificare: gli storici stimano un valore compreso tra 50 e 100 milioni, pari al 2,5 – 5 per cento della popolazione.

Per capire l’enormità della tragedia basti pensare che la Prima guerra mondiale (1914 – 18) fece “solo” 16 milioni di morti.

Una vera e proprie ecatombe, dunque, che la storica Laura Spinney, autrice del recente volume 1918. L’influenza spagnola. L’epidemia che cambiò il mondo (Marsilio Editore), non esita a definire come “la più grande ondata di morti dai tempi della peste nera”.

Si abbatté su tutto il globo, senza risparmiare luoghi remoti come le isole dell’Oceano Pacifico e del Mar Glaciale Artico.

Oggi scopriremo tante cose su questa terribile pandemia influenzale, come ad esempio perché si chiama “la spagnola”, quale fu la sua origine, chi è stato il primo infetto e tante altre curiosità. Leggiamole insieme.

 

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1. Il primo infetto fu un americano e il viaggio con i soldati

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  • Il primo infetto? Un americano
    Curiosamente quella che passò alla storia come influenza spagnola non ebbe inizio nella Penisola iberica, bensì negli Stati Uniti.
    l paziente zero fu infatti un cuoco militare, Albert Gitchell, di stanza a Camp Funston, in Kansas.
    La mattina del 4 marzo 1918 si presentò in infermeria lamentando “mal di gola, febbre e mal di testa”, seguito, nel giro di poche ore, da numerosi commilitoni, affetti dai medesimi sintomi.
    Fu questa la cosiddetta prima ondata dell’influenza, la meno letale: la sua rapida diffusione fu dovuta alle modalità di trasmissione e contagio, cioè attraverso tosse o starnuti.
    Occorre tenere conto che in base a diversi studi, un singolo starnuto può immettere nell’aria circa 4.600 goccioline, sino a 4 metri di distanza dal punto di origine.
    Tali goccioline possono rimanere sospese per più di mezz’ora e ognuna, se proveniente da un soggetto infetto, può originare circa 19mila nuove colonie di virus.

 

  • Viaggiò con i soldati
    Il virus si espanse rapidamente anche grazie alla mobilitazione militare e in particolare con l’entrata in guerra degli Stati Uniti, dove l’influenza era endemica.
    Assieme ai soldati a stelle e strisce attraversò dunque l’Oceano Atlantico e sbarcò nel Vecchio Continente, invadendo le trincee e le nazioni del fronte occidentale.
    Qui si diffuse la seconda ondata di influenza che, probabilmente a causa di una mutazione del virus, risultò sin da subito più pericolosa.
    Francia, Gran Bretagna, Italia e Spagna furono i primi Paesi ad essere travolti.

 

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2. Caccia agli untori

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Fu proprio in Spagna che il temibile virus prese il nome con cui sarebbe passato alla storia.

Mentre il re, il primo ministro e quasi tutti i membri del governo venivano contagiati insieme a un numero crescente di cittadini, i giornali del Paese, non sottoposti a censura in quanto la Spagna era neutrale nel conflitto, iniziarono a descrivere il diffondersi della malattia.

Come spiega Laura Spinney, i media iberici ignoravano che «nei Paesi belligeranti le notizie relative all’influenza erano sottoposte a censura così da non demoralizzare la popolazione» (in Germania, per esempio, i medici avevano l’obbligo di chiamarla “pseudoinfluenza” per minimizzare).

Le notizie vennero riprese anche dalla stampa degli altri Paesi colpiti, che iniziarono a chiamare il letale morbo influenza spagnola, come se fosse un problema sanitario circoscritto unicamente alla Spagna.

Non solo: nel tentativo di dare una spiegazione a quanto sembrava impossibile comprendere, molti cercarono un capro espiatorio: in Brasile l’epidemia venne chiamata la “tedesca”, in Senegal assunse il nome di “influenza brasiliana”, in Danimarca fu definita “influenza del Sud”.

Soltanto in seguito, quando si comprese che il problema era globale, si adottò in via definitiva il nome che gli avevano dato i Paesi vincitori del conflitto, cioè “spagnola”.

 

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3. Dilagò dappertutto

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Mentre i giornali facevano a gara nel dare dell’untore ai popoli nemici, l’influenza letale marciava a passo spedito.

Se nella primavera del 1918, tre quarti delle truppe francesi e metà di quelle inglesi risultavano infette, furono sufficienti poche settimane perché la spagnola facesse il suo tragico ingresso in Germania, dove decimò in brevissimo tempo 900 mila uomini.

In seguito giunse in Russia, dove uccise, tra i molti, Jakov Sverdlov, leader del partito bolscevico stretto collaboratore di Lenin, e varcò i confini dell’Asia, flagellando prima la Cina e l’India (circa 18 milioni di morti) per poi dilagare fino al Giappone, dove si registrarono i primi casi verso la metà di giugno.

Toccò dopo all’Australia e, prima della fine dell’anno, al Sud America e all’Africa, che registrò il maggior numero di vittime in Kenya e Sudafrica. Neanche gli angoli più remoti del pianeta furono risparmiati: a Bristol Bay, Alaska, il 40 per cento della popolazione perì in brevissimo tempo.

Dopo l’annus horribilis 1918, la virulenza della spagnola iniziò lentamente a calare: il numero di nuove infezioni e decessi scese progressivamente fino ad arrivare all’ultimo decesso, nel marzo 1920.

Due sono le principali teorie che spiegano i motivi di questa lenta scomparsa: secondo la prima, il virus avrebbe subito una mutazione riducendone l’aggressività; secondo l’altra ipotesi, invece, sarebbero state migliorate sia la prevenzione sia la cura delle complicanze, effettive cause di morte.

Negli anni la scienza ha cercato di capire l’origine della spagnola. Oggi sappiamo che il terribile virus alla base dell’epidemia e identificato come l’H1N1 veniva trasmesso dai volatili ai maiali e quindi all’uomo.

I sintomi erano quelli di una normale influenza – tosse, dolori lombari, febbre – seguiti però da gravissime complicazioni polmonari che inevitabilmente portavano gli ammalati alla morte nel giro di pochi giorni.

 

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4. In Italia più di 4 milioni di malati e perché la "spagnola" fu più letale di molte altre influenze?

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  • In Italia: più di 4 milioni di malati
    In Italia la spagnola contagiò circa 4,5 milioni di persone, cioè il 12 per cento della popolazione, facendo registrare uno dei più alti tassi di mortalità in assoluto, secondo solo a quello russo.
    Colpì duro soprattutto nelle regioni del Sud, dove quasi il 70 per cento dei contagiati non sopravvisse.
    A un certo punto il Governo, preoccupato che la difficile situazione minasse il morale, già basso, della nazione, vietò il rintocco funebre delle campane, così come gli annunci mortuari, i cortei e i funerali.
    Nel frattempo, al fronte e nelle trincee italiane, il virus mieteva indisturbato sempre più vittime, facendo registrare anche 3.000 nuovi casi al giorno.
    Nella 1a armata, nell’ultimo quadrimestre del 1918, si ebbero 32.482 casi di contagio con 2.703 morti.
    A quelli dei soldati si aggiunsero i molti decessi registrati tra il personale sanitario e addetto ai trasporti, che venivano a contatto con i malati.
    Milano preccauzioni

 

  • Perché la "spagnola" fu più letale di molte altre influenze?
    In molti si sono domandati perché l’influenza spagnola abbia causato un così alto numero di morti.
    Secondo alcune ricerche effettuate sui referti medici dell’epoca, il virus era aggressivo, ma non più di altri, alla base di influenze precedenti che avevano fatto “minor danno”.
    Secondo la scienza, una parziale spiegazione sta nel fatto che i soggetti contagiati più giovani, cioè tra i 18 e i 29 anni di età, non erano mai stati esposti a un’influenza simile, nemmeno nell’infanzia, e quindi non avevano sviluppato difese immunitarie adeguate.
    A ciò vanno aggiunti anche altri fattori di rischio come, ad esempio, la malnutrizione e la scarsa igiene, ai quali la popolazione era esposta, che raggiunsero l’apice negativo negli anni e nei contesti di guerra: in particolar modo, nelle trincee dove la diffusione dell’influenza non conobbe praticamente ostacoli.

 

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5. Anche i Vip vennero contagiati

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  • Poeti, pittori, politici: anche i Vip vennero contagiati
    Nella lunga lista di vite falcidiate dalla spagnola figurano anche alcuni dei nomi più illustri della cultura dell’epoca.

- Come, ad esempio, il poeta e scrittore Guillaume Apollinaire, che venne trovato morto dall’amico Giuseppe Ungaretti il 9 novembre 1918 nel suo attico parigino. Aveva 38 anni.
Guillaume Apollinaire
- Solo ventottenne era invece il pittore Egon Schiele, nome di spicco del primo espressionismo viennese, che morì il 31 ottobre 1918, seguito tre giorni dopo dalla moglie Edith, incinta di sei mesi.
Egon Schiele
- Altra vittima illustre fu lo scrittore Edmond Rostand, il geniale creatore di Cyrano de Bergerac, che si spense a Parigi il 2 dicembre 1918.
Edmond Rostand
- Due anni dopo fu invece la sociologia a perdere uno dei suoi massimi rappresentanti, il tedesco Max Weber: probabilmente fu contagiato a Versailles, dove era tra i delegati della Germania per la firma del trattato di pace. Spirò a Monaco di Baviera il 14 giugno 1920.
Max Weber

 

  • Curiosità: Secondo un vescovo spagnolo, l’epidemia fu una punizione divina
    Alvaro y Ballano, vescovo di Zamora, città situata nel Nord-est della Spagna, affermò che «la malattia fosse dovuta ai nostri peccati, alla nostra ingratitudine, a causa dei quali si è abbattuto su di noi il braccio vendicatore della giustizia eterna».
    Così, mentre le autorità pubbliche iberiche iniziavano a vietare gli assembramenti, intuendo che i luoghi affollati potessero essere micidiali volani per il propagarsi dell’influenza, il vescovo di Zamora si convinse che in realtà quelle restrizioni nascondessero una volontà anticlericale e che l’unico modo corretto di reagire fosse organizzare una grande e affollata Messa, a dimostrazione della forza del cattolicesimo.
    Mai decisione fu più inappropriata: in seguito a quella Messa il tasso di contagio in città crebbe rapidamente e il numero di morti aumentò a dismisura. Il diffondersi dell’epidemia divenne inarrestabile.

 

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