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Struzzi e “cugini”: gli uccelli più curiosi del pianeta

Ha due ali inutili – per volare, almeno – ma in compenso ha… quattro ginocchia.

Lo struzzo, per meglio dire, è l’unico animale con due rotule per zampa.

Una bizzarra peculiarità, che è nota dall’800 e da allora ha costituito un piccolo mistero (per gli zoologi, almeno…): che cosa se ne fa lo struzzo di una doppia dotazione di questo osso tondeggiante del ginocchio?

La risposta l’ha data ora Sophie Regnault del Royal Veterinary College (Uk): ha scoperto che questa caratteristica serve proprio a rendere le zampe dello struzzo ancora più adatte alla corsa, trasformando il colosso piumato africano nel più veloce corridore tra gli uccelli.

Da qui parte dunque il nostro viaggio alla scoperta delle particolarità dello struzzo, il primatista del mondo aviario per dimensioni e per rapidità nella corsa.

E dei suoi bizzarri parenti, tutti incapaci di spiccare il volo: l’emù, il secondo più grande uccello vivente per altezza; i casuari, bestioni con artigli che possono uccidere un uomo; gli un po’ più piccoli nandù; gli unici piccini della famiglia, i kiwi.

Uccelli – i ratiti – che hanno perso la capacità di volare in favore di corpi immensi e potenti gambe da corridore. Guardandoli, si capiscono le parole del paleontologo britannico Darren Naish: «Sono gli uccelli più vicini ai dinosauri per forma e stile di vita che ci siano al mondo».

Il viaggio ci porterà indietro nel tempo e ai quattro angoli del mondo, nei posti remoti dove si sono diffusi questi corridori di praterie e foreste: dal Sud America dei nandù fino alla Nuova Zelanda dei kiwi.

Già, perché questo è un altro mistero su cui si sono interrogati gli scienziati: come hanno fatto questi animali ad attraversare gli oceani se le loro ali sono adatte al volo quanto i nostri polmoni lo sono a respirare sott’acqua?

Una cosa è certa: gli struzzi e i loro “cugini” sono tra gli uccelli più curiosi del pianeta. Scopriamo il perché!

1. Terre occupate

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Il viaggio dunque parte dall’Africa, dalle savane e dagli habitat desertici e semidesertici che oggi sono la patria degli struzzi.

I loro antenati comparvero circa 55 milioni di anni fa (in Africa ed Europa), dopo che l’estinzione dei dinosauri aveva “liberato” molte nicchie ecologiche, mentre le foreste pluviali erano sostituite da deserti, steppe e praterie.

Gli antenati degli struzzi, così, si trovarono padroni di territori piatti e immensi: senza più i grandi rettili erbivori con cui contendersi il cibo, senza più grandi rettili predatori che potessero minacciarli, e senza ancora grandi mammiferi a coprire questi due ruoli.

Così – senza la necessità di volare – svilupparono un corpo massiccio e persero la forza nei muscoli delle ali.

E, per sfuggire ai nuovi predatori, si specializzarono nella corsa: oggi gli struzzi arrivano a velocità superiori ai 70 km/h e coprono fino a 5 metri con una singola falcata.

Persino le ali, con apertura fino a 2 m, sono uno strumento al servizio della corsa, usate come alettoni per dare stabilità e freni per rallentare. Ora, come dicevamo, è stato scoperto che la doppia rotula è un perfetto ingranaggio per questa macchina da corsa.

«Normalmente, la rotula serve a consumare meno energia», spiega Sophie Regnault. La rotula o patella è infatti il punto di aggancio del tendine del muscolo che estende la gamba (in un sistema che permette al muscolo di fare meno fatica, sfruttando il principio della leva) e protegge l’articolazione del ginocchio.

«Gli struzzi», dice ancora Regnault, «hanno invece una doppia rotula: quella inferiore serve a proteggere i tendini, mentre quella superiore, paradossalmente, rende l’articolazione più rigida.

Al contrario della nostra, fa sì che ci voglia più forza per distendere la gamba a livello del ginocchio (che negli struzzi è “in alto” nella gamba, nascosto; ciò che vediamo, e che si piega all’indietro, è la caviglia). Però rende questo movimento più veloce. Così gli struzzi guadagnano in velocità».

Non a caso, solo il rapido ghepardo sta dietro a uno struzzo adulto in fuga; altri predatori, come i leoni, devono tendere imboscate.

Peraltro, prima che il team di Regnault si occupasse delle ginocchia, era stata analizzata un’altra insolita dotazione di questi animali. Insolita per il mondo aviario, almeno: gli struzzi (e gli altri ratiti) sono tra i pochi uccelli dotati di pene.

Patricia Brennen della University of Massachusetts Amherst ha visto che l’erezione avviene grazie al fluido linfatico (invece che con l’afflusso di sangue) e ritiene che questo meccanismo fosse comune negli antenati di tutti gli uccelli.

 

2. Viaggio aereo?

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Dall’Africa, il viaggio continua negli altri continenti dell’emisfero sud, dove vivono i “cugini” dello struzzo.

Prima, però, dobbiamo capire come ci sono arrivati.

La teoria tradizionale fa partire tutto dal supercontinente Gondwana, che riuniva terre come Africa, Sud America, Australia e iniziò a frammentarsi 180 milioni di anni fa.

Così, i primordiali uccelli corridori che vivevano qui si ritrovarono trasportati in giro per il mondo a bordo dei continenti. Il punto è che le recenti analisi del Dna dei ratiti viventi ed estinti raccontano un’altra storia. E strani incroci di parentele.

I moa, giganti neozelandesi scomparsi, sono vicini ai piccoli Tinamidi sudamericani, gli unici parenti dei ratiti ancora capaci di volare. Invece i “cugini primi” dei kiwi della Nuova Zelanda sono gli uccelli elefante, anch’essi estinti, che vivevano in Madagascar.

E sempre l’analisi del Dna racconta che la “separazione” tra questi gruppi è recente: è stato calcolato che l’antenato comune di kiwi e uccelli elefante sia vissuto 50 milioni di anni fa, quando Madagascar e Nuova Zelanda erano già ben separati dall’oceano.

«Quindi i ratiti dovevano essere ancora capaci di volare, quando si sono dispersi per il mondo», afferma Alan Cooper, della University of Adelaide (Australia), che ha condotto alcuni dei nuovi studi.

«Solo in seguito, separatamente, persero la capacità di volare per diventare terrestri, approfittando di quella “finestra” senza più dinosauri e senza ancora grandi mammiferi predatori.

Poi, mentre i mammiferi diventavano più efficienti, riuscirono a sopravvivere grazie alla velocità e alle dimensioni, che permettevano di scappare e difendersi».

 

3. Stai lontano!

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Comunque sia, i discendenti dei ratiti primordiali si sono “spartiti” i continenti e quindi il nostro viaggio prosegue nelle remote Australia e Nuova Guinea.

È qui, infatti, che si può incontrare un colosso piumato alto un po’ meno di due metri e pesante 60 kg, con un elmetto sulla testa e su un dito della zampa un artiglio di 12 centimetri che può usare per ucciderti con un colpo...

È il casuario australiano, il più grande delle tre specie di casuari (foto grande sotto). Mangia frutta e in genere scappa nella foresta, ma se minacciato può rivelarsi pericoloso.

Nella storia sono stati registrati 150 attacchi a esseri umani, di cui uno mortale: un casuario uccise un ragazzo australiano con un colpo al collo con la zampa artigliata.

L’“elmetto” sul capo è invece meno pericoloso: è una cresta coperta di cheratina (la sostanza di cui sono fatte le unghie) e la sua funzione è un mistero.

Forse è un ornamento che segnala ai partner lo stato di salute, forse un vero casco di protezione per tutelarsi dagli urti correndo a testa bassa nella vegetazione, o ancora una struttura per amplificare i suoni.

 

4. Tu chi sei?

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La tappa australiana, però, prevede un secondo incontro con un gigante ancora più imponente, che sfiora i due metri d’altezza: l’emù, altro corridore incredibile, capace di toccare i 50 km/h (foto grande sotto).

Ci appare meno pericoloso del cugino casuario, ma se minacciato è capace di infliggere ferite con le zampe, così come lo struzzo (insomma, i grandi ratiti non vanno sottovalutati).

Comunque, è piuttosto curioso: può capitare che osservi o segua le persone. E, dopo l’estinzione di molti carnivori australiani come il tilacino e il varano gigante megalania, si è ritrovato senza predatori naturali.

La nostra crociera intercontinentale a questo punto può proseguire in Sud America: la patria delle due specie di nandù, che popolano le praterie locali.

Più piccoli di struzzi ed emù, ma comunque da record continentale: il nandù comune è il più grande uccello del Sud America, è alto circa un metro e mezzo, e può formare gruppi anche di un centinaio di individui.

La sua dieta è prevalentemente vegetariana, come per lo struzzo, con invertebrati e qualche piccolo roditore o rettile.

Se inseguito fugge a zig zag muovendo le ali e deve vedersela con pochi predatori: puma e giaguari, innanzitutto, ma anche qualche cane randagio, attirato dal richiamo dei piccoli.

Infine, si arriva nell’isolata Nuova Zelanda. Qui vivono i kiwi, unici ratiti non diventati giganti. Come mai? Gli scienziati pensano che, quando ancora le ali le sapeva usare, il kiwi volò fino in Nuova Zelanda.

Qui, però, invece di trovare una terra vergine e pronta alla conquista, trovò un gruppo di ingombranti cugini che dominavano la sua potenziale nicchia ecologica: i moa, grandi ratiti ormai estinti.

Il kiwi comunque rinunciò al volo e si adattò a uno stile di vita terrestre, ma rimase piccolo e si adattò a vivere di notte. 

«Così riuscì a sopravvivere in Nuova Zelanda, una terra dove c’erano relativamente pochi predatori, che evitò diventando notturno», spiega Alan Cooper.

 





5. Successo di tutela

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Ancora oggi il kiwi è timido, esce dalla sua tana di notte, ci vede poco e punta sul suo olfatto per individuare le prede, come insetti o lumache nel terreno.

Il problema è che oggi sono di più i predatori a cui è esposto per le sue ridotte dimensioni.

In Nuova Zelanda non esistevano mammiferi (a parte qualche pipistrello), ma l’arrivo degli esseri umani ha portato con sé cani, topi, gatti e altri predatori che hanno decimato i kiwi. Il governo ha però dichiarato protette le 5 specie e sono stati creati santuari.

Per una volta, lo sforzo si sta rivelando efficace: da poco il kiwi bruno di Okarito e il kiwi bruno dell’Isola del Nord hanno visto il loro status di conservazione passare da “in pericolo” a “vulnerabile”.

I kiwi bruni di Okarito in particolare sono passati da 160 a 450 esemplari in vent’anni. Numeri ancora bassi, ma incoraggianti, per i più vulnerabili tra questi curiosi uccelli che non volano.

I ratiti non volatori hanno “cugini” ancora volanti: i Tinamidi (insieme formano i Paleognati, con palato più primitivo di quello degli altri uccelli). E hanno avuto vari parenti, oggi estinti.

I moa della Nuova Zelanda erano 9 specie; alcune (Dinornis novaezealandiae e D. robustus) arrivavano a 3,6 m di altezza.

Non avevano nemmeno le ali vestigiali degli attuali ratiti e si sono estinti nel XV sec. dopo l’arrivo dell’uomo sulle isole. Gli uccelli elefante del Madagascar, del genere Aepyornis, invece hanno resistito fino al ’600: il più grande (Aepyornis maximus) era alto tre metri.

 








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