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Tutti i “trucchi” dei ristoranti per far lievitare il conto

Vi ricordate la scena del film La vita è bella in cui Roberto Benigni interpreta il cameriere Guido Orefice alle prese con un cliente giunto al ristorante a cucina ormai chiusa?

Con abilità, riesce a fargli mangiare ciò che è già pronto, illudendolo di avere invece una vasta scelta. Il cliente vuole mangiare leggero?

Benigni gli propone: «Rombo grasso grasso, baccalà imporchettato intriso e unto, altrimenti un salmone magro». Il cliente opta ovviamente per l’ultima scelta.

Senza saperlo, Benigni applica una delle regole della persuasione, denominata “ripiegamento dopo il rifiuto”: essa consiste nel proporre diverse opzioni per poi indirizzare l’interlocutore verso la scelta che vogliamo fargli fare.

È lo stesso principio secondo il quale nel menù del ristorante troverete alcuni piatti eccessivamente costosi e altri invece più abbordabili: vengono inseriti apposta per fare in modo che il cliente scelga quelli più convenienti che sono proprio quelli che il ristoratore intende vendere.

Se l’impressione che abbiamo è di avere un’ampia scelta, in sostanza le opzioni proposte sono ben poche. Non è l’unico trucchetto che camerieri e ristoratori usano per persuaderci a tavola e per far lievitare il conto, senza che ce ne accorgiamo.

Il principio di base è: imbrogliare no, influenzare sì. In che modo? Dal momento in cui varchiamo l’ingresso del ristorante fino a quando ci alziamo da tavola.

Ecco i segreti del mestiere dei ristoratori e i trucchi con i quali ci mettono nel piatto quello che vogliono loro.

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1. Prego, si accomodi!

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Il cameriere ci fa entrare, accogliendoci con un sorriso e un saluto, e ci fa accomodare vicino alla vetrina.

Vuole offrirci una bella vista? No, ci piazza lì in modo che i passanti possano vedere che al ristorante c’è gente. È il classico “effetto pieno”.

Il trucco fa parte del principio del consenso, quello per il quale se vediamo gente che è seduta a mangiare nel posto dove pensiamo di entrare noi, il nostro cervello elabora che lì si mangia bene, quindi entriamo.

Come spiega Emanuele Garavello, consulente per la ristorazione di Epam-Confcommercio Milano, «cliente attira cliente. Posizionare i primi avventori in posizione visibile rispetto all'ingresso del locale è una strategia intuitiva, usata da molti ristoratori del centro città, soprattutto per attirare turisti». Ed è solo l'inizio.

Poi ci porta il menù, ci dice il suo nome e che sarà il nostro cameriere. La parola “nostro” fa scattare altri elementi di persuasione, cioè il liking e la reciprocation.

Il primo è l’effetto simpatia e familiarità che si innesca con il sorriso e con il fatto che ci dica il suo nome: ciò ce la fa sentire più vicino e, secondo gli esperti, ciò che è familiare ci piace di più.

Il secondo, chiamato dal professore di psicologia Dennis Regan “strategia della reciprocità”, si attua con piccoli trucchi che ci fanno sentire in obbligo di ricambiare.

Dicendo che è il “nostro” cameriere, il professionista non fa altro che iniziare un percorso di reciprocità, che deve durare fino alla fine della cena.

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2. Tutti i trucchi del menù

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Secondo una ricerca della Cornell University di New York, le diciture del menù sono fondamentali nella scelta dei piatti.

Gli “spaghetti al pomodoro” saranno meno venduti degli “spaghetti trafilati al bronzo con salsa al pomodoro Pachino, guarniti con foglie fresche di basilico e profumato olio extravergine di olive toscane”.

Più la dicitura è ricca di particolari, più sarà venduta la portata. Il segreto è indicare dettagli che richiamano 3 cose: sensazioni (croccante, profumato); riferimenti geografici (olive toscane, pomodori di Pachino) e tradizione (fatto in casa). Ciò incrementa le vendite di oltre il 30%.

Ancora: poiché tendiamo a ricordare solo l’inizio e la fine di una frase, i piatti che devono essere venduti vengono posizionati all’inizio o alla fine della lista e così sono scelti circa il 30% più spesso degli altri, soprattutto se si trovano nella pagina destra del menù.

Il cervello è infatti predisposto a scegliere ciò che si trova a destra, secondo lo studio condotto dai neuroscienziati della School of Social Research di New York. Se è il cameriere a dire che cosa offre la casa, con pochi accorgimenti può riuscire a venderci qualsiasi cosa.

Secondo Federico Nenzioni, autore de L’arte della persuasione (Franco Angeli), esprimiamo il 70% di ciò che vogliamo comunicare, gli altri ne recepiscono il 40, ne comprendono il 20 e ne ricordano il 10.

Per fare meglio si deve utilizzare un linguaggio figurato e stimolare tutti i sensi. Il cameriere deve farci figurare il piatto attingendo a un repertorio verbale ricco e possibilmente ricorrendo ad accorgimenti visivi, per esempio indicando il carrello dei dolci, dei formaggi, la vetrina del pesce, o il tavolo di un altro commensale.

Secondo Nenzioni, il 75% di ciò che ci viene presentato lo memorizziamo con la vista.

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3. Conta anche la divisa del cameriere

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Un cameriere con una divisa pulita ci rimanda subito al principio di autorità.

Come quando vediamo la pubblicità di un dentifricio e chi lo presenta indossa il camice bianco: la nostra mente associa alla divisa l’autorevolezza.

Anche per questo alcuni ristoranti hanno la cucina a vista e lo chef sfoggia divisa e cappello da cuoco: ci rassicura. Secondo gli esperti in comunicazione, bastano 30 secondi per formarci un’idea su chi abbiamo davanti e nei primi 8 sentiamo se l’impressione è negativa o positiva.

Oltre il 90% delle prime impressioni si trasformano in giudizi definitivi. Quando comunichiamo le parole servono solo per il 7%, la voce per il 38 e il linguaggio del corpo per il 55. Il cameriere gesticola e modula la voce? Sa che sono gesti che ci faranno dire di sì.

Inclina la testa e annuisce alla vostra ordinazione? Ripete i piatti che abbiamo scelto? Sono tutti trucchi del meccanismo di approvazione e conferma: ci dà l’idea che è d’accordo e che abbiamo fatto la scelta giusta.

Prestiamo attenzione ai piatti che ci propone: ci offrirà un’ampia gamma per poi indirizzarci verso ciò che lo chef vuole farci prendere, magari perché è avanzato il giorno prima. Alcuni piatti saranno elencati velocemente, altri descritti nei dettagli, più lentamente, a voce più alta e per ultimi. Sceglieremo questi.

Stesso discorso per il vino: vi verrà chiesto di decidere tra un vino economico, uno raffinato e costoso e un altro nella media. La scelta ricade sempre sul prodotto medio, che è esattamente quello che vuole venderci il cameriere.

Vino bianco o rosso? Altro trucchetto che ci porta a dire sì: le domande biforcute. Il bravo cameriere non ci chiede se vogliamo il vino, ma se lo gradiamo bianco o rosso. Ci pone cioè una domanda che presuppone una scelta tra due opzioni precise.

Niente domande negative come: «Non vuole l’insalata?». Meglio: «Le porto l’insalata o un altro contorno?». La mente in quegli istanti non è in grado di elaborare il rifiuto ma solo una scelta tra due alternative.

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4. Il bello dei piatti caldi e i consigli dello chef

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- Il bello dei piatti caldi
Ecco che arriva la nostra ordinazione. Il piatto dove è servita la pietanza è caldo?
Significa che lo chef ha bene in mente come la sensazione di percepire il caldo, soprattutto nei cibi, sia in grado di inviare al cervello un segnale di comfort.
Toccare qualcosa di caldo, secondo gli esperti, stimola infatti l’attività cerebrale e dà al corpo una sensazione di benessere. Il cameriere ne approfitta per proporci qualcos’altro.
Probabilmente utilizza un altro principio: la regola del consenso. «Gli altri clienti hanno apprezzato molto l’arrosto». Così le vendite dell’arrosto aumentano del 25%.
Scatta infatti il consenso: secondo le ricerche degli psicologi Bibb Latané e John Darley, soprattutto nei momenti di incertezza, ciò che fanno gli altri influenza le nostre scelte.
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- Lo chef consiglia
Quando sentiamo questa frase non è lo chef che consiglia, ma ciò che il ristorante deve fare fuori.
Con questa frase, associata magari a «sono le ultime porzioni rimaste», si innesca un’altra regola della persuasione: il principio di scarsità.
Secondo l’esperto di persuasione Timothy Brock, più la disponibilità di qualcosa è limitata, più essa è desiderabile.
Il ricercatore Stephen Worchel ha condotto un esperimento invitando volontari a prendere un cioccolatino da un vaso colmo o da uno quasi vuoto. In questo secondo caso, lo stesso cioccolatino era considerato più buono.
Se il piatto proposto sta per finire pensiamo che sia andato a ruba e non vogliamo perdere l’occasione di assaggiarlo perché, come dice il cameriere, gli altri giorni non c’è e la disponibilità limitata fa crescere in noi il desiderio di sperimentarlo.
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5. Perché ci lasciamo tentare dai dolci e "Posso offrire un amaro?"

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- Perché ci lasciamo tentare dai dolci
Siamo al dolce. Il cameriere ci tenta con le delizie della casa, portandoci il carrello dei dessert anche se non l’abbiamo chiesto: è provato che le vendite aumentano, se la vista viene stimolata.
Lo stesso sforzo di portarci il carrello è un gesto che reputiamo gentile e cortese e che quindi fa scattare ancora una volta il principio di reciprocità: prendiamo almeno un dolce.
Visto che costano poco, il prezzo può tentarci. Ciò che non sappiamo, però, è che i dolci costano poco perché difficilmente si possono riproporre il giorno dopo.
La decisione di prendere il dolce, infine, è praticamente sicura se il cameriere ci porta la carta dei dessert.
La presenza di un menù a parte per i dolci, con una grafica accattivante che indirizza l’attenzione sulla cura del dettaglio, fa aumentare le vendite del 40%.
Viceversa, le vendite dei piatti al ristorante diminuiscono se vengono fatti due errori: il primo è esprimere un prezzo con più di due cifre, magari accompagnate dal simbolo dell’euro.
Ciò richiama un linguaggio bancario, non certo da ristorante raffinato. A questo va aggiunto che anche un numero eccessivo di zero, come per esempio 20,00 euro, suggerisce esosità.
Il secondo è collegare il nome del piatto con puntini e linee al prezzo: fanno subito visualizzare la cifra e ci costringono a considerare immediatamente il costo.
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- Posso offrire un amaro?
In realtà il cameriere non ci offre proprio nulla, ma ci porta il classico “zuccherino” per addolcire il conto. Il costo dell’amaro o del caffè che ci “offre” è già ampiamente incluso nel conto.
Si tratta di un altro trucchetto del principio di reciprocità: se ci viene offerto qualcosa, siamo meglio disposti a pagare il conto e magari a lasciare anche una mancia.
Un esperimento ha dimostrato che se un cameriere porta il conto accompagnandolo con un cioccolatino, il cliente aumenta la mancia di circa il 5%. Portando indietro
il resto, se il cameriere offre un secondo cioccolatino, il cliente si sente talmente speciale che la mancia aumenta ancora: di oltre il 23%.
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