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Vaccini: le 10 cose che fanno più paura

Per mettere a punto un vaccino si possono utilizzare fondamentalmente tre strade:

  1. La prima strada prevede l’utilizzo dell’intero virus o batterio, ucciso o inattivato (cioè non più in grado di replicarsi), come vaccino.
  2. La seconda strada punta a individuare la parte del virus o del batterio che possa funzionare da vaccino, ossia che sia in grado di stimolare la risposta protettiva del sistema immunitario, anche senza presentargli tutto il microorganismo.
  3. La terza strada, la cosiddetta reverse vaccinology, anziché partire dal virus o dal batterio parte dal loro genoma e può essere realizzata oggi solo grazie all’aiuto dell’informatica.

La reverse vaccinology è infatti un metodo di biologia digitale: analizzando il DNA, o l’RNA, di un microrganismo i ricercatori sono in grado di creare un elenco di tutte le proteine che quel codice genetico può produrre.

Analizzando una a una queste proteine e le loro caratteristiche, sempre grazie all’aiuto dei computer, si può stabilire quali siano quelle potenzialmente utili come vaccino.

Per realizzare un vaccino si può far riprodurre il virus o il batterio in laboratorio prima di utilizzarlo come vaccino, intero o prendendo solo gli antigeni necessari. Ma selezionare le parti di un microrganismo è un processo che può essere lungo e faticoso.

Per questo è nata la tecnica biotecnologica del Dna ricombinante: si prende il gene del microrganismo che produce l’antigene da utilizzare come vaccino e lo si inserisce in un altro organismo perché produca quella proteina.

Per esempio, i geni dell’epatite B sono stati trasferiti in un lievito. In questo modo l’antigene è presente anche nel nuovo organismo ospite, il lievito o un altro tipo di cellula, che è del tutto innocuo.

Anche per alcuni vaccini inattivati si utilizzano le biotecnologie anziché processi chimici o biologici: vengono tolti o resi inattivi i geni che consentono al virus o al batterio di replicarsi. Ai vaccini vengono poi aggiunte delle sostanze, dette adiuvanti, che sono in grado di aumentare lo stimolo del sistema immunitario prodotto dal vaccino.

Il vaccino mette in azione la risposta immunitaria dell’organismo. In pratica, è una simulazione “controllata” dell’aggressione da parte di un virus o di un batterio.

Quando i linfociti B e T, vengono a contatto con un antigene estraneo, come quello contenuto in un vaccino, imparano a riconoscerlo e i linfociti B iniziano a produrre gli anticorpi capaci di legarsi con quell’antigene.

L’azione degli anticorpi rende possibile la distruzione degli aggressori da parte delle altre cellule del sistema immunitario, come i linfociti T e i macrofagi. Dopo la vaccinazione, i linfociti B e T e gli anticorpi che sanno riconoscere l’antigene restano in circolo.

Se l’antigene si ripresenta i linfociti B iniziano subito a duplicarsi e a produrre anticorpi, rendendo immediata la risposta dell’organismo, che così blocca l’infezione e i suoi effetti.

La vaccinologia ha fatto una strada lunghissima nell’arco di due secoli, eppure ci sono almeno tre sfide che proprio non riesce a vincere, nonostante l’impegno, anche economico.

La più nota è quella di trovare un vaccino contro l’Aids, la seconda contro la tubercolosi, la terza contro la malaria. Sono tre sfide molto diverse tra loro, accomunate solo dal fatto che serve un vaccino e che queste malattie colpiscono tanta gente.

E le speranze di farcela non sono poi molte, almeno nel breve termine. Il problema per l’HIV, il virus dell’Aids, è che esso continua a mutare, anche nell’organismo delle persone colpite, e perciò è difficilissimo riuscire a trovare un vaccino valido universalmente.

Un vaccino per la tubercolosi, invece, esiste ed è usato, ma funziona in modo molto diverso e variabile. Per esempio, contro la forma polmonare degli adulti non è efficace. A peggiorare le cose, si aggiunge il fatto che gli antibiotici sono sempre meno utili e che esistono tanti ceppi di Mycobacterium tubercolosis.

La malaria, infine, è un problema enorme a livello mondiale, e trovare un modo per sconfiggerla è difficile anche perché coinvolge ben tre organismi: la zanzara, l’uomo e il plasmodio.

Non solo: il plasmodio non è un batterio e anche se è un organismo unicellulare è enormemente più complesso di qualunque batterio perché da millenni sopravvive in specie diverse e in forme diverse.

Scopriamo insieme le 10 cose che fanno più paura sui vaccini!

1. I vaccini possono provocare la malattia dalla quale dovrebbero proteggere, uno shock anafilattico e persino la morte? Possono far diventare allergiche le persone?

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  • I vaccini possono provocare la malattia dalla quale dovrebbero proteggere, uno shock anafilattico e persino la morte?
    Sì, è vero. Anche se i rischi sono molto bassi e di gran lunga inferiori ai benefici.
    Il vaccino antipolio sviluppato da Albert Sabin, basato su virus vivi attenuati, in un caso su 500mila può dar luogo alla cosiddetta ‘reversione’: il virus ritorna alla forma virulenta e causa la malattia anche se in forma attenuata.
    Ma per rendersi conto del rapporto tra rischi e benefici bisogna pensare che negli anni Trenta solo in Italia la poliomielite causava 700mila casi di arti artrofici e paralisi all’anno.
    La probabilità che la vaccinazione possa indurre reazioni indesiderate deve sempre essere confrontata con le possibili complicanze indotte dalla malattia da cui protegge.
    Per esempio, tra chi si ammala di morbillo, 6 persone su 100 sviluppano una polmonite, una su 200 ha convulsioni (dovute alla febbre molto alta), una ogni 1000 ha encefalite, una ogni 1000 o 2000 muore.
    Tra chi si vaccina nessuno sviluppa polmonite, una ogni 3000 ha convulsioni per la febbre, una su un milione ha encefalite e nessuno muore. In effetti i primi vaccini della storia erano spesso accompagnati da effetti collaterali.
    Per questo ancora oggi molte persone temono che siano pericolosi. Ma adesso abbiamo sia le conoscenze scientifiche sia gli strumenti tecnologici per produrre vaccini con una quantità minima di sostanza attiva, in grado di indurre una risposta immunitaria protettiva, e con bassissimo rischio di effetti collaterali.
    Per esempio, anche in Italia oggi per la polio si usa un vaccino inattivato, in cui il virus è stato ucciso e anche quel pericolo di reversione non c’è più.
    Per quanto riguarda lo shock anafilattico, uno studio dei Centers for Disease Control and Prevention degli Stati Uniti ha verificato che, in seguito a oltre 25 milioni di dosi di vaccino somministrate tra il 2009 e il 2011, si sono verificati 33 casi con un ricovero in ospedale e nessun morto. In Italia, dati interessanti sono quelli del Sistema di vigilanza realizzato dalla Regione Veneto.
    Dal 1993 al 2015, in oltre vent’anni, su quasi 32 milioni di dosi di vaccini somministrate, sono state segnalate circa 17mila sospette reazioni allergiche.
    Quelle gravi sono state 533, delle quali 78 per reazioni locali, come i gonfiori, e 455 di tutto l’organismo. I casi che non si sono subito risolti sono stati 17. Non si è registrato nessun morto.
  • I vaccini possono far diventare allergiche le persone?
    L’allergia a un vaccino è possibile, ma che accada il contrario non è mai stato provato.
    I vaccini agiscono sul sistema immunitario. La risposta del sistema immunitario è anche quella che determina le allergie.
    Non è difficile capire come mai qualcuno tema che tra le due cose possa esserci un nesso. Se si parla della possibilità di un vaccino di provocare una reazione allergica, il vaccino non è diverso da qualunque altro farmaco.
    Se si pensa che il vaccino possa indurre allergie di qualunque tipo, questo è falso. Nessun articolo scientifico lo ha mai indicato e non esiste nessuna prova che i vaccini possano scatenare un meccanismo come quello dell’allergia.

2. I vaccini possono causare malattie autoimmuni? Si può prevedere se una persona avrà reazioni a un vaccino?

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  • Possono causare malattie autoimmuni?
    Qualche sospetto c’è, ma riguarda casi molto rari.
    Alcuni vaccini sono seguiti dalla comparsa di manifestazioni autoimmuni, la maggior parte delle quali però sono lievi e transitorie e solo una minima parte gravi e permanenti.
    Nel 2000 sono stati descritti due casi di artrite reattiva, una malattia autoimmune, che si sono verificati in coincidenza con la somministrazione del vaccino antitifico.
    La coincidenza temporale, però, non significa un rapporto di causa-effetto, che dovrebbe essere provato. Il quesito vero è: quei soggetti che hanno sviluppato una malattia autoimmune dopo la vaccinazione l’avrebbero sviluppata comunque?
    Per esempio, per la sclerodermia, un’altra malattia autoimmune, ci sono studi che dimostrano che la situazione delle persone che ne soffrono non cambia dopo un vaccino antinfluenzale.
    A volte invece sono proprio le infezioni a diventare l’elemento scatenante di una malattia autoimmune, anche se non ne sono la causa principale, e quindi è meglio proteggersi vaccinandosi.
    In futuro, potrebbero addirittura esistere vaccini per proteggere dalle malattie autoimmuni. Noi siamo abituati a pensare al vaccino come a uno stimolo per il sistema immunitario.
    In questo caso, invece, il vaccino potrebbe agire come un freno, insegnando al sistema immunitario a non reagire in modo esagerato a uno stimolo.
    • Si può prevedere se una persona avrà reazioni a un vaccino?
      No, perché non esiste nessun test, neppure genetico, che lo consenta.
      Prevedere se una persona (e soprattutto un bambino) corra il rischio di avere reazioni alle vaccinazioni sarebbe molto utile, ma oggi è ancora impossibile.
      Che un domani invece possa diventare una realtà non si può escludere, ma adesso certamente non lo è. Nessun esame riesce a dire se un bimbo presenta un rischio più alto di reazioni.
      Però attraverso la storia medica della persona da vaccinare e della sua famiglia, quella che noi chiamiamo anamnesi, si può stabilire se sia meglio rinviare la vaccinazione o rinunciare a farla.

3. È vero che i vaccini possono provocare l’autismo? Non è troppo presto vaccinare i bambini ad appena due mesi?

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  • È vero che i vaccini possono provocare l’autismo?
    Era stato lanciato un allarme tempo fa, ma studi scientifici hanno dimostrato che non ci sono correlazioni.
    L’autismo o, più in generale, i disturbi dello spettro autistico costituiscono un dilemma ancora oggi per i medici.
    Il numero di casi diagnosticati è aumentato negli ultimi decenni, ma in modo differente tra Paesi diversi (in Italia meno che negli Stati Uniti, per esempio).
    Non si sa che cosa li provochi né come curarli. Perciò quando nel 1998 il medico britannico Andrew Wakefield pubblicò su Lancet, la rivista medica più prestigiosa, uno studio che ipotizzava una correlazione con il vaccino trivalente morbillo-parotite-rosolia, la sua idea venne presa molto sul serio.
    Wakefield fece di tutto per pubblicizzarla e i media gli credettero. Ci vollero anni per scoprire che Wakefield aveva analizzato i dati in modo scorretto.
    Tra l’altro si scoprì poi che Wakefield aveva addirittura brevettato un sistema di produzione per i tre vaccini separati (e non trivalenti, cioè assieme nella stessa soluzione) che allora non erano in commercio. Dopo 12 anni, Lancet ritirò lo studio. Wakefield fu radiato dall’ordine dei medici.
    Nessuna ricerca ha mai più stabilito correlazioni tra autismo e vaccini di qualunque genere. Un vero e proprio falso che ha avuto effetti molto gravi e che ha fatto sprecare molte risorse solo per smentirlo.
  • Non è troppo presto vaccinare i bambini ad appena due mesi?
    No, perché il sistema immunitario è già sufficientemente maturo.
    A due mesi il sistema immunitario del bambino è già formato e in grado di rispondere alle vaccinazioni.
    Se il sistema immunitario dei neonati fosse fragile, la gran parte di loro non sopravviverebbe alla moltitudine di virus, batteri e funghi che si trova ad affrontare subito dopo la nascita.
    Aspettare a fare le vaccinazioni non servirebbe ad aumentare la sicurezza della vaccinazione stessa mentre invece aumenterebbe per il neonato il rischio di contrarre quelle malattie da cui il vaccino può proteggerlo.
    Per esempio sappiamo che la pertosse nel lattante si manifesta molto spesso in modo atipico, con crisi di apnea, e questo la rende molto pericolosa, specialmente nei primi mesi di vita.
    Uno studio sui bambini da 6 a 24 mesi ha dimostrato che il rischio di ospedalizzazione è dieci volte più alto nei bambini mai vaccinati rispetto ai bambini parzialmente o completamente vaccinati.

4. È pericoloso somministrare tanti vaccini tutti insieme? È vero che sono anche un grande affare economico?

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  • È pericoloso somministrare tanti vaccini tutti insieme?
    C’è un aumento del rischio di reazioni, ma è comunque il metodo migliore.
    È vero infatti che la somministrazione contemporanea di più vaccini può provocare un aumento sia delle reazioni locali, come il gonfiore o l’arrossamento della zona in cui è stata effettuata la vaccinazione, sia delle reazioni generali, come, per esempio, la febbre.
    Negli Stati Uniti ai lattanti vengono somministrati anche 11 vaccini contemporaneamente.
    Uno studio fatto in Gran Bretagna ha monitorato per tre mesi i bambini dopo il vaccino morbillo-parotite-rosolia e i vaccini esavalenti e non ha riscontrato alcun aumento di infezioni o di ricoveri in ospedale.
    In Olanda una ricerca simile è stata condotta per ben dieci anni, dal 1990 al 2001, ed è arrivata alle stesse conclusioni.
    Infine, uno studio ha verificato che vaccino esavalente e antipneumococco somministrati insieme o separatamente non modificano la propria efficacia.
    Più vaccini iniettati insieme, invece, semplificano le cose, soprattutto per il bambino, che comunque ogni volta che deve fare una vaccinazione subisce un piccolo stress.
  • È vero che sono anche un grande affare economico?
    Assolutamente sì.
    Come per molti altri medicinali anche per i vaccini esiste un aspetto economico importante. La stima a livello mondiale è di un mercato da 20 miliardi di euro.
    Per il nostro Sistema Sanitario il costo annuale dei vaccini è di 300 milioni di euro. E la cifra aumenterà con il nuovo piano vaccinale.
    Molti poi ricordano la minaccia di pandemia di influenza A-H1N1 del 2009, quando le autorità sanitarie italiane decisero l’acquisto di 24 milioni di dosi di vaccino, delle quali ne furono poi ritirate solo 10 milioni e meno di un milione furono davvero somministrate.
    La minaccia di pandemia rientrò e molte dosi rimasero inutilizzate. Successe lo stesso in diversi altri Paesi. Però alla fine l’azienda produttrice chiese di essere comunque pagata, come prevedeva il contratto.
    L’Autorità antitrust italiana ha pubblicato nel maggio dello scorso anno (2016) un rapporto nel quale definisce la situazione del mercato dei vaccini “un oligopolio su base mondiale, con quattro imprese che detengono l’80 per cento del valore delle vendite”.
    E segnala casi di scarsa trasparenza anche nel nostro Paese, come quello dei vaccini anti-pneumococcici, prima voce di spesa nazionale con 84 milioni di euro, in cui il monopolio di un prodotto ha fatto sì che il suo prezzo salisse anche di fronte a volumi di vendite crescenti e garantiti.
    D’altra parte, se non ci fosse un business le grandi multinazionali non farebbero neppure ricerca medica né svilupperebbero nuovi vaccini.
    La stima del costo dello sviluppo di un vaccino innovativo è tra 500 milioni e un miliardo di dollari, mentre il tempo necessario per realizzarlo è di 10 anni.





5. Sono davvero necessari tanti richiami? Nei vaccini sono presenti sostanze potenzialmente tossiche, come il mercurio?

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  • Sono davvero necessari tanti richiami?
    Dipende, ma servono a rendere più rapida la risposta del sistema immunitario.
    Bisogna fare attenzione a distinguere tra i richiami che si fanno a distanza di anni dalla prima vaccinazione e le dosi di vaccino che sono necessarie perché il vaccino sia davvero efficace.
    Ai bambini vengono somministrate più dosi dei vaccini, due o tre, perché per indurre la memoria immunitaria servono spesso più stimolazioni successive. Con una sola dose si ha una produzione di anticorpi, ma i linfociti non mantengono la memoria su come produrli.
    Questa memoria si stabilizza con le dosi successive di vaccino. Il richiamo, al contrario, serve a fare una specie di “rifornimento di anticorpi”.
    Con il passare degli anni, infatti, la memoria immunitaria resta, ma il numero di anticorpi in circolazione può diminuire e allora la vaccinazione stimola di nuovo la loro produzione.
    Questo è molto importante quando una malattia ha una incubazione molto rapida e richiede una risposta altrettanto veloce da parte dell’organismo.
  • Nei vaccini sono presenti sostanze potenzialmente tossiche, come il mercurio?
    Alcune sostanze sospette c’erano e sono state eliminate per prudenza.
    Fino a 15 anni fa nei vaccini era infatti presente un sale di mercurio, il tiomersale, usato per conservare meglio il vaccino. Oggi sappiamo che il mercurio è tossico per l’uomo.
    Anche se del tiomersale non è mai stata provata la tossicità. Da anni è stato eliminato, ma solo in base a un principio di precauzione, perché i vari studi condotti non avevano mai dimostrato conseguenze nei bambini.
    Nei vaccini sono presenti sali di alluminio, che servono per aumentarne l’efficacia e che sono indispensabili. A seconda del prodotto si va da 0,25 a 2,5 milligrammi di questi sali.
    Ogni giorno con il cibo ingeriamo da 5 a 20 mg di alluminio. A meno che una persona non abbia un’insufficienza renale cronica, che impedisce di eliminare l’alluminio, questo non crea nessun problema.
    Una terza sostanza di cui si parla è la formaldeide, utilizzata in alcuni vaccini, per inattivare il batterio o come conservante. L’esposizione ad alte concentrazioni di formaldeide è considerata potenzialmente cancerogena.
    Però la formaldeide viene prodotta anche dal nostro organismo, naturalmente. E nel sangue del bambino è già presente in una quantità, circa un milligrammo, dieci volte superiore a quella massima che potrebbe ricevere attraverso i vaccini.








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