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Vino: tutto quello che devi sapere per bere bene

Diciamolo subito: il vino non disseta. Anzi, come tutte le bevande alcoliche, disidrata.

L’alcol etilico, o etanolo, mediamente circa 12-13 grammi in un bicchiere, richiede infatti un maggiore consumo di acqua corporea per essere degradato dall’organismo e determina anche una perdita più elevata di liquidi attraverso le urine in quanto blocca l’ormone antidiuretico.

Ma c’è dell’altro: il vino non aiuta nemmeno la digestione perché essendo ricco di acidi produce iperacidità gastrica, che rallenta lo svuotamento dello stomaco.

Non fa neppure riprendere dai mancamenti, come si credeva un tempo, poiché l’alcol produce sì una breve vasodilatazione periferica, ma di fatto riduce l’afflusso di sangue agli organi interni e in particolare al cervello.

E allora perché si beve vino? Naturalmente si beve perché il vino piace e qualche volta, purtroppo, anche per la dipendenza che l’alcol provoca, anche se questo è un altro discorso.

Al di là degli effetti psicotropi e del senso di leggero benessere che può dare l’alcol contenuto nel vino (che viene assorbito molto rapidamente: lo si può ritrovare nel sangue dopo soli cinque minuti dall’ingestione), questo piacere deriva dalle caratteristiche gustative e olfattive tipiche del prodotto.

Sono qualità, queste ultime, che dipendono appena dal 3 per cento di quanto è contenuto in un bicchiere. In pratica, ciò che fa la differenza sta tutto in una piccola quantità di sostanze che in parte derivano dall’uva (le cui caratteristiche sono fondamentali per produrre vini di qualità) e in parte da quello che si fa in cantina con il processo di vinificazione (in particolare dall’azione dei lieviti durante la fermentazione).

A tutto questo si può aggiungere l’effetto dell’invecchiamento e della conservazione in botti di legno.

Il vino è una delle nostre più grandi ricchezze . Si produce in ogni regione, anche in quelle dove la vite sembra meno facile da coltivare. Ma il “saper fare” italiano ha permesso di trovare le soluzioni caso per caso e di ottenere centinaia di vini che traggono la loro unicità proprio dalla diversità di climi, quote e terreni.

Trasformare il succo di uva in vino è un’arte che si tramanda da secoli: ma oggi scienza e tecnologia hanno una parte rilevante nella messa a punto e nell’ottimizzazione dei processi. Il risultato è sotto i nostri occhi: l’Italia si colloca in vetta alla graduatoria mondiale dei Paesi produttori, anche se in termini di ritorno economico viene battuta dalla Francia.

Ecco. allora, tutto quello che devi sapere per bere bene!

 

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1. L’importanza dei polifenoli

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Tra le sostanze che rendono ciascun vino diverso dall’altro e lo stesso vino differente da quello dell’anno precedente, vi sono gli aromi e le sostanze polifenoliche.

L’aroma del vino, ad esempio, è dato dalla presenza di moltissime sostanze volatili che stimolano le cellule olfattive della cavità nasale.

Gli aromi varietali derivano dal tipo di uva, mentre gli aromi fermentativi sono generati dai lieviti durante la vinificazione. Ma vi sono anche aromi rilasciati dal legno delle botti in cui il vino è lasciato maturare.

I polifenoli invece sono un gruppo variegato di molecole naturali presenti in tutti gli alimenti di origine vegetale e che hanno molteplici effetti sulla qualità sensoriale dei cibi, ma anche sulla salute di chi li consuma.

Alcuni polifenoli che sono presenti soprattutto nelle bucce dell’uva interagiscono con i recettori che abbiamo nella bocca come i tannini che danno l’astringenza al vino (che “lega la bocca”), mentre altri, gli antociani (presenti nelle bucce delle uve rosse e assenti nelle uve bianche) definiscono il colore del vino.

Dal momento che nella vinificazione dei rossi si lascia il succo a contatto per qualche tempo con le bucce, i polifenoli in questi vini sono più abbondanti: 100-200 milligrammi contro i 20-50 mg dei bianchi.

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Dai polifenoli però non dipendono solo le proprietà organolettiche (gusto, colore, odore) del vino, ma anche i suoi effetti positivi sulla nostra salute.

È stato osservato che il consumo di moderate quantità di vino, soprattutto durante i pasti, ha effetti benefici sulla salute umana, riducendo il rischio di alcune malattie, da quelle cardiovascolari alla sindrome metabolica, con aumento del colesterolo buono, riduzione di trigliceridi nel sangue, abbassamento della glicemia.

I meccanismi non sono ancora del tutto chiari, ma «lo studio più famoso in questo senso è quello che ha descritto il cosiddetto “paradosso francese” «in cui si mostrava come l’incidenza di alcune malattie era minore nei francesi, che bevono regolarmente vino, rispetto ad altre popolazioni del Nord Europa, consumatrici di birra, pur in presenza di diete simili caratterizzate da cibi ricchi di grassi animali.

Questa azione dei polifenoli del vino (che comprendono, oltre al ben noto resveratrolo, anche molte altre specie chimiche) sarebbe dovuta alla loro capacità di eliminare i radicali liberi e di agire come antiossidanti e antinfiammatori, contribuendo alla prevenzione di alcune importanti patologie, con un effetto di anti invecchiamento.
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- Prima dei 16 anni è vietato
Se tutto questo è vero, allora il vino dovrebbe fare bene, soprattutto quello rosso più ricco di polifenoli. Ma non è esattamente così: va ricordato infatti che il vino contiene alcol, una sostanza tossica potenzialmente cancerogena e con la capacità di indurre dipendenza.
L’alcol può nuocere alle cellule di molti organi, soprattutto del fegato e del cervello, ma anche provocare danni indiretti, primo fra tutti gli incidenti stradali.
Inoltre bisogna sapere che la capacità del fegato di smaltire l’alcol varia a seconda delle persone. Le donne smaltiscono meno degli uomini, ma soprattutto questa capacità è quasi inesistente fino a 16 anni e molto ridotta fino a 21.
Ciò significa che l’alcol è particolarmente pericoloso per i giovani che dovrebbero astenersene.

- Fa ingrassare e rovina il fegato
Pur non essendo una sostanza nutriente, l’alcol etilico può far ingrassare.
L’equivalente calorico di un grammo di alcol è pari a 7 chilocalorie e considerando che in un bicchiere da 150 ml ci sono in media 13 grammi di alcol, il suo apporto calorico è di almeno 108 Kcal, che si sommano a quelle del pasto.
Se poi il vino contiene zuccheri (i vini dolci arrivano a più di 50 g/litro di zucchero), vanno conteggiate anche 4 Kcal per ogni grammo di zucchero.
Per avere un termine di paragone si pensi che 100 grammi di pasta cruda contengono circa 360 Kcal, corrispondenti in termini energetici a circa 3-4 bicchieri di vinoVino-13-800x400.

 

- Sì a un bicchiere al giorno
Ma perché, dunque, da un lato si sottolineano gli effetti dannosi dell’alcol, ma dall’altro si legge da più parti che un bicchiere di vino rosso a pasto, in assenza di particolari controindicazioni, aiuta a mantenersi in salute?
Esiste una relazione tra quantità di vino consumata ed effetti negativi sulla salute che può essere rappresentata con una curva a “J”.
Così il non bere vino (parte sinistra della curva a J) sembra aumentare il rischio di patologie cardiovascolari rispetto a chi ne consuma uno (per le donne) o due (per gli uomini) bicchieri al giorno (parte bassa centrale della curva).
Ma superando queste quantità il rischio cresce molto rapidamente (parte destra della curva), anche rispetto a chi non beve.
Per un uomo adulto in buona salute 1 o 2 bicchieri di vino al giorno (durante i pasti per rallentare l’assorbimento di alcol) possono quindi fare bene, mentre non si dovrebbero mai superare i 4 bicchieri quotidiani per evitare problemi.
Oltre ai giovani, dovrebbero comunque astenersi dal vino le donne incinte, chi fa uso di farmaci (antibiotici, sonniferi, anticoagulanti) e chi deve guidare o svolgere attività che richiedono lucidità.

 

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2. Il fattore clima

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La vite cresce bene in climi miti. Alcune varietà sono più sensibili e danno risultati buoni solo in particolari condizioni.

Altre, al contrario, sono più adattabili e di conseguenza possono essere impiantate con successo sia in un ambiente caratterizzato da un clima più “mediterraneo”, ossia con inverni miti e lunghe estati calde, sia più “continentale”, con inverni più rigidi ed estati mai troppo calde.
Facciamo due esempi. Il Nebbiolo, che è l’uva usata per produrre il famoso Barolo e il Barbaresco, è un vitigno che cresce bene, e rende ancora meglio, se il clima è fresco. Non a caso Barolo e le Barbaresco nascono sulle colline delle Langhe dove godono di un clima non proprio tropicale.

Vitigni come lo Chardonnay, al contrario, sono più versatili e possono adattarsi a climi molto diversi tra loro. Si trovano vigneti a Chardonnay sulle fresche pendici delle Alpi in Trentino, dove viene utilizzato per dar vita a spumanti metodo classico di grande carattere, e in Puglia o Calabria dove il clima è più caldo e si producono vini dal carattere decisamente diverso: in genere più alcolici e con una punta di colore più simile all’oro.

In entrambi i casi, però, i risultati potranno comunque essere interessanti. Ci possono essere delle eccezioni. A volte i vigneti vengono impiantati in aree dove teoricamente fa troppo freddo. In Valle d’Aosta, tanto per fare un esempio, o in alcune valli remote dell’Alto Adige che sfiorano i 1.000 metri di quota.

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Vigneti così estremi possono sopravvivere solo se nelle vicinanze ci sono fiumi o laghi che mitigano il clima o se vengono realizzati sfruttando le pendenze delle colline per godere della migliore esposizione possibile. Un’esposizione a sud, sud-ovest è ideale.

Se al contrario il clima è troppo caldo, pensiamo ai vigneti della Puglia o della Sicilia, è necessario ricorrere a soluzioni differenti: per esempio impiantare la vigna un po’ più in quota.

In Sicilia, per esempio, negli ultimi anni molti produttori stanno cercando di combattere il riscaldamento globale colonizzando le pendici dell’Etna, dove si producono vini di straordinaria finezza.

In alternativa si può ricorrere a una pratica antica che consiste nell’abbassare i vigneti, facendo in modo che i grappoli maturino più vicino al terreno e godano della frescura che sale dal suolo durante la notte.

A Pantelleria (nella foto, in alto a sinistra), tanto per fare un esempio, dove il caldo è davvero soffocante durante l’estate, si arriva addirittura a scavare delle buche attorno alle piante di vite per garantire la massima protezione dal caldo.

In genere comunque i vigneti migliori si trovano in zone collinari. La ragione è semplice: sulle pendici delle colline il clima è caratterizzato da buone escursioni termiche tra il giorno e la notte e questa è una delle condizioni fondamentali per produrre uve profumate, da cui si ricaveranno vini di grande carattere.

 

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3. Questione di suoli

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L’ultimo elemento che viene preso in considerazione da un vignaiolo quando decide di impiantare una vigna è la natura del suolo.

La vite è una pianta particolare che per produrre bene, ossia per dar vita a grappoli ricchi di zuccheri, profumi e sapori, ha bisogno di mettere radici su suoli poco fertili.

Si può dire che la vite migliore è quella che cresce in luoghi apparentemente inospitali. In particolare dove non ha troppa acqua a disposizione, è capace di estendere le proprie radici per metri e metri nel sottosuolo, andando a ricavare il proprio nutrimento dove poche altre piante sono in grado di arrivare.

I terreni ciottolosi o ghiaiosi danno origine a vini dal carattere molto deciso. Suoli sabbiosi, al contrario, producono vini più fini ed eleganti.

Se invece la componente principale del terreno è l’argilla, e dunque ci troviamo in presenza di un suolo che trattiene bene l’acqua, probabilmente otterremo dei vini dal carattere più muscolare, potenti e spesso dotati di una bella alcolicità.

Sempre parlando di suoli, una menzione particolare va data ai terreni di origine vulcanica. La particolare composizione di questi suoli, infatti, conferisce ai vini un carattere inconfondibile.

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Gli esperti li descrivono come “minerali” e oggi rappresentano una moda a cui è difficile sottrarsi. I vini vulcanici più conosciuti sono quelli che provengono dalla Sicilia e dalla Campania (Ischia compresa).

In pochi, però, sanno che c’è anche un’altra zona che un tempo vantava numerosi vulcani: l’area di Soave, a nord di Verona, ai piedi della notissima Valpolicella. Qui oggi i vulcani non sono più attivi, ma le colline di forma conica che caratterizzano il panorama sono il ricordo degli antichi crateri.

I suoli da quelle parti hanno le stesse caratteristiche di mineralità che si ritrovano sulle pendici dell’Etna o del Vesuvio. Per scoprirlo basta provare uno dei vini bianchi prodotti in quell’area con la denominazione Soave o Soave Classico.

Per concludere, c’è un termine che gli esperti usano per identificare il mix di tutti gli elementi che abbiamo visto fin qui, ossia clima e microclima della vigna, esposizione e sistema di allevamento del vigneto, natura del suolo: terroir.

Non esistono due vini identici perché non esistono due vini che nascono dal medesimo terroir. Dunque uno Chardonnay coltivato in Sicilia sarà sempre diverso da uno Chardonnay coltivato in Trentino Alto Adige o in Friuli.

Quando poi le condizioni sono particolari, come nelle Langhe – costituite da centinaia di colline che danno vita a migliaia di diverse esposizioni e microclimi e dove i terreni cambiano natura ogni metro –, la cosa si fa ancora più interessante.

Per un vero esperto, infatti, dire solo Barolo non è sufficiente. Per scegliere la sua bottiglia vuole sapere anche il nome della vigna!

 

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4. Il processo di vinificazione

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Il processo di vinificazione, ossia l’arte di trasformare il succo di uva in vino, ha origini antiche.

È però solo da relativamente pochi anni, meno di un paio di secoli, che è stato messo a punto in modo scientifico, garantendo un miglioramento sostanziale dei vini prodotti.

Ma procediamo con ordine. La prima cosa che qualunque produttore si affretta a sottolineare, quando gli si chiede quale sia il suo segreto, è che il vino buono nasce nel vigneto. Se il viticoltore riesce a portare in cantina uva sana e perfettamente matura, il 50 per cento del lavoro è fatto.

La sanità dell’uva è favorita da un clima mite e stabile, magari con l’aiuto di qualche trattamento ad hoc per prevenire la formazione di malattie o la comparsa di parassiti. La vera abilità del vignaiolo, però, si capisce osservandolo mentre si aggira per il suo vigneto controllando il giusto grado di maturità delle uve.

A questo proposito è importante fare una premessa. L’uva da tavola è considerata matura quando diventa dolce mantenendo la giusta croccantezza. Per l’uva destinata alla cantina le cose sono un po’ più complicate.

Dipende, infatti, dal vino che si vuole produrre. Se l’obiettivo è raccogliere un’uva destinata a diventare vino bianco o uno spumante, la vendemmia dovrà essere lievemente anticipata. In questo modo conserverà una bella acidità, caratteristica fondamentale per bianchi e bollicine.

Se invece l’uva è destinata a diventare un buon vino rosso, allora il vignaiolo preferirà tardare di qualche giorno il momento della raccolta per ottenere frutti più zuccherini da cui ricavare vini più ricchi e dalla gradazione alcolica più alta.
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- La vendemmia
Definito il momento giusto per raccogliere l’uva in base alle necessità di cantina, si arriva al momento più affascinante, quello della vendemmia. Un tempo era una festa popolare che prevedeva il coinvolgimento di amici e familiari.
Oggi la vendemmia segue delle regole più rigide e, specie nelle aziende più grandi e strutturate, prevede l’impiego di manodopera specializzata, in grado cioè di distinguere a prima vista un grappolo pronto per la raccolta da uno che invece richiede ancora qualche giorno di sole per giungere a perfetta maturazione.
Vitale è il perfetto tempismo di ogni fase della vendemmia. L’obiettivo è quello di far passare il minor tempo possibile tra la raccolta e l’inizio della lavorazione in cantina.
Questo per evitare che le uve si rovinino, creando profumi poco gradevoli.

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- La lavorazione in cantina
La lavorazione in cantina inizia con la separazione degli acini dai raspi legnosi. I raspi contengono delle sostanze amare che potrebbero influire sul gusto del vino.
Segue una leggera pressatura che ha lo scopo di rompere la pellicola degli acini e favorire l’estrazione del mosto, ossia del succo zuccherino dell’uva.
Da questo momento la vinificazione segue due percorsi differenti a seconda che si voglia produrre un vino rosso o uno bianco.
Nel primo caso il mosto e le bucce vengono passate in un grande contenitore, in genere in acciaio, per dar inizio al processo di fermentazione a opera di lieviti autoctoni, ossia presenti naturalmente sull’acino o selezionati e aggiunti nel tank. Il loro compito è quello di trasformare lo zucchero presente nel mosto in alcol.
Allo stesso tempo, le sostanze coloranti presenti nelle bucce dell’uva tingono lentamente il vino fino a raggiungere la giusta tonalità. Questo processo dura alcune settimane e viene monitorato attentamente dal produttore giorno dopo giorno.
Si tratta di una fase delicata: ogni errore, infatti, rischia di pregiudicare il lavoro di un intero anno. Uno degli elementi fondamentali per il corretto svolgimento della fermentazione è il controllo della temperatura.
Per ottenere un vino rosso giustamente alcolico e dal colore vivace, all’interno della cisterna in fermentazione devono esserci costantemente tra i 20 e i 25 gradi.
Nella vinificazione in bianco, al contrario, il mosto viene immediatamente separato dalle bucce e durante l’intera fermentazione viene mantenuto a una temperatura più bassa, in genere non oltre i 15 gradi. Questa accortezza permette di ottenere vini più freschi e profumati.
Per produrre un vino rosato, infine, si usa una tecnica ibrida: in pratica si inizia con una vinificazione in rosso, ossia lasciando in contatto il mosto e le bucce per alcune ore a una temperatura di circa 20 gradi e una volta raggiunto “il giusto punto di rosa”, si prosegue con una vinificazione in bianco.
Si separa quindi il mosto in fermentazione dalle bucce e si abbassa la temperatura della cisterna fino a massimo 15 gradi. Terminata la fase di fermentazione si può già tecnicamente parlare di vino.
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- Affinamento e imbottigliamento
Specialmente i vini rossi richiedono un periodo di affinamento. Questa fase prevede l’uso di botti di legno o di semplici contenitori in acciaio. Dipende dal gusto del produttore e dal tipo di vino che si vuole produrre. Le nuove tendenze in
questo campo promuovono un vero e proprio ritorno al passato con l’uso sempre più frequente di contenitori particolari realizzati in terracotta (anfore) o cemento. Rispetto alle tradizionali botti in legno, questi contenitori permettono di far
evolvere il vino senza alterare il gusto del vitigno di partenza. In questo modo gli esperti possono apprezzare le caratteristiche proprie di ogni varietà e confrontare l’impatto del terroir sul vino stesso. Dopo l’affinamento si passa alla fase
di imbottigliamento e di etichettatura, a cui segue spesso un altro breve periodo di riposo in cantina per permettere al vino di riprendersi dallo stress delle lavorazioni.

 

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5. Ecco gli otto vitigni più coltivati d’Italia

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Parlando di uve è necessario fare una premessa: da un lato ci sono i cosiddetti vitigni internazionali, buona parte dei quali sono di origine francese, diffusi più o meno in tutto il mondo; dall’altro ci sono i vitigni autoctoni del nostro Paese.

Se ne contano centinaia e spesso sono poco conosciuti, essendo strettamente legati ai loro territori di origine. I tecnici li definiscono il “patrimonio ampelografico” dell’Italia. Più unico che raro.

- SANGIOVESE
È la varietà di uva più coltivata in Italia, protagonista incontrastata di tanti, favolosi vini prodotti in Emilia Romagna, Toscana, Marche e Umbria.
In Toscana, in particolare, il Sangiovese è la base del Chianti, del Brunello di Montalcino e del Vino Nobile di Montepulciano.
Uva difficile da coltivare ed esigente in fatto di esposizioni e suoli, quando l’annata è buona e riesce a raggiungere la perfetta maturità dà vita a vini indimenticabili.
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- MONTEPULCIANO
È il vitigno originario dell’Abruzzo dove viene lavorato da sempre per produrre il meraviglioso Montepulciano d’Abruzzo DOC e, in versione rosata, il Cerasuolo d’Abruzzo.
In pochi lo sanno, ma fino ad alcuni anni fa, quando la viticoltura abruzzese non era ancora pienamente sviluppata, l’uva Montepulciano veniva spedita in tutte le regioni del Nord Italia per contribuire a migliorare la qualità dei vini prodotti nelle aree meno fortunate in fatto di clima.
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- CATARRATTO
Meno famoso dei due vitigni che lo precedono, è l’uva di gran lunga più coltivata in Sicilia, dove dà vita a vini bianchi profumati, perfetti in abbinamento ai piatti tipici della cucina regionale. Il matrimonio con il tipico pesto alla trapanese, tanto per fare un esempio, è semplicemente azzeccato.
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- BARBERA
Nell’Astigiano e nel Monferrato raggiunge punte di vera eccellenza. La Barbera (il vitigno si declina al maschile mentre il vino al femminile) è da sempre un vino presente sulle tavole dei piemontesi.
Un tempo era considerato un prodotto rustico e di poco pregio. Poi un vignaiolo visionario, tal Giacomo Bologna detto Braida, intuì che per renderlo protagonista dell’enologia mondiale era sufficiente lavorarlo con maggior cura e affinarlo per qualche tempo in legno.
Da allora le sorti della Barbera sono cambiate e oggi è a tutti gli effetti considerato uno dei vini più interessanti della regione.
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- GLERA
È quello con cui si produce il Prosecco e grazie al suo gusto lievemente aromatico rende piacevole la bollicina italiana più famosa al mondo.
Pochi sanno che fino a non molti anni fa, prima del 2007 per la precisione, era l’uva stessa a essere chiamata Prosecco.
Poi, però, visto il crescente successo dello spumante veneto, numerosi produttori, anche oltre confine, hanno iniziato a piantare quest’uva nei propri vigneti, iniziando a commercializzare dei vini che con il nostro portacolori non avevano nulla da spartire.
Per proteggere una nostra tipicità è stata quindi estesa l’area di produzione del vino fino a includere il villaggio di Prosecco, in Friuli, dando così vita alla Denominazione di Origine Protetta, Prosecco DOC. Da allora il vitigno ha ripreso il nome tradizionale di Glera e tutti quelli che lo avevano piantato fuori dai nostri confini non hanno più potuto scrivere la parola Prosecco in etichetta.
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- PINOT GRIGIO
Pur non essendo un vitigno autoctono italiano (è in realtà originario dell’Alsazia, in Francia), il Pinot Grigio è diventato famoso in tutto il mondo grazie ai produttori del Nord Est, Veneto e Friuli su tutti.
In America, in particolare, questo vitigno è quasi sinonimo di Santa Margherita, storica azienda di proprietà della famiglia Marzotto.
Vinificato in acciaio, senza bisogno di affinare in legno, il Pinot Grigio dà vita a un vino semplice e piacevole, perfetto in abbinamento sia a piatti a base di pesce sia a carni bianche.
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- NERO D’AVOLA
È il vitigno che ha rappresentato la fortuna della Sicilia viticola degli anni Novanta e che oggi sta vivendo una sorta di rinascimento grazie alle nuove tecniche di vinificazione che permettono di ottenere vini ancora più eleganti.
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- MOSCATO
Per molti è quasi sinonimo di Natale e di panettone. Da un paio di anni a questa parte i produttori di Asti DOCG, lo spumante dolce prodotto appunto con uva Moscato, per cercare di de-stagionalizzare il proprio vino che oggi è venduto per oltre il 50 per cento nel solo mese di dicembre, hanno iniziato a produrne una versione secca (o meglio meno dolce).
L’idea sarebbe quella di sottrarre almeno una piccola parte del mercato del Prosecco nel momento dell’aperitivo. Ci riusciranno?
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Note

CHE COSA CONTIENE IL VINO

85% CIRCA DI ACQUA: Deriva essenzialmente dal succo della polpa dell’uva.
12% CIRCA DI ETANOLO: È l’alcol che si forma durante il processo di fermentazione alcolica operata dai lieviti, il cui contenuto (grado alcolico) è variabile nei diversi vini.
3% CIRCA DI SOSTANZE MINORI: Sono quelle sostanze che conferiscono a ciascun vino le sue caratteristiche distintive (profumo, colore e sapore), diverse per ogni tipo di uva e di annata. Queste sostanze comprendono:
ACIDI = Danno acidità al vino, sono piuttosto abbondanti e rappresentati soprattutto da acido tartarico e malico.
AROMI = Sono sostanze volatili che stimolano i recettori olfattivi della cavità nasale. Si distinguono in “aromi varietali”, tipici di ogni uva, e “aromi fermentativi”, generati durante la fermentazione e comuni a tutti i vini.
TANNINI = Sostanze che conferiscono al vino gusto più o meno amaro o astringente.
ANTOCIANI = Sono i pigmenti naturali dell’uva che danno il colore rosso del vino. Sono presenti nelle bucce dell’uva rossa e assenti in quelle dell’uva bianca.
SOLFITI = In parte prodotti naturalmente durante la fermentazione, vengono quasi sempre aggiunti ai vini come conservanti per evitare l’ossidazione e lo sviluppo di batteri.
Se presenti in quantità superiori a 10 mg/litro, l’etichetta deve obbligatoriamente riportare la dicitura “contiene solfiti” dal momento che possono dare fenomeni di intolleranza (asma, mal di testa o reazioni pseudoallergiche) in alcune persone (circa l’1 per cento della popolazione).
In Italia il limite massimo di legge per i solfiti è di 150 mg/l per i rossi, 200 mg/l per i bianchi e i rosati e fino a 400 mg/l per i vini dolci.

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