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Vuoi essere felice? Devi dirti “mi piaccio”

Passiamo la vita a cercare la felicità, ma a quanto pare quella vera arriva solo nella terza età. Possibile?

Sì: secondo diverse ricerche (una delle più celebri fu condotta negli Usa dalla Duke University, nel 2006) i settantenni sono mediamente più felici dei trentenni. Il motivo?

Per gli studiosi a farci vivere serenamente sarebbero la capacità di apprezzare i piccoli successi della vita e la tendenza ad accettarci così come siamo, tipiche di chi nella vita ha ormai dato quello che poteva dare.

Il modo migliore di usare la nostra intelligenza emotiva è renderci serena la vita. Come?

Accettandoci per quello che siamo. Essere sempre insoddisfatti e porsi obiettivi ambiziosi, ma poco realistici, porta soltanto a sabotare se stessi.

1. Non fare resistenza

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Secondo alcune definizioni, come quella che dà lo psicologo Martin Seligman dell’Università della Pennsylvania (Usa), la felicità è prodotta da una serie di emozioni positive come l’estasi e la percezione di benessere.

Tuttavia, di fronte all’insoddisfazione, fa notare il medico e psicoterapeuta belga Thierry Janssen, autore di Le défi positif (La sfida positiva), abbiamo troppo spesso la tendenza a reagire con emozioni opposte, come paura e rabbia.

Se questi sentimenti erano vantaggiosi per i nostri progenitori di fronte agli attacchi dei predatori, lo sono molto meno oggi: ci rendono persone peggiori e infelici.

Per questo da tempo giunge dagli psicologi il consiglio di cercare serenità in un approccio alla vita all’insegna dell’accettazione. Il primo segreto è impegnarsi in qualcosa.

È quanto ha sempre fatto notare lo psicologo ungherese Mihály Csíkszentmihályi con il concetto di “flusso”, cioè «quella sensazione di agire senza sforzo che si avverte quando le abilità di una persona sono interamente coinvolte nel superare una sfida».

Sono tante le occasioni in cui ognuno di noi può averlo provato: ad esempio, mentre siamo impegnati in un compito importante come l’esercizio fisico intenso. In questi casi, la mente è così coinvolta da non lasciarci il tempo per domandarci se siamo all’altezza di ciò che stiamo facendo.

Semplicemente lo facciamo e questo ci rende sereni. La conclusione di Csíkszentmihályi? Il modo migliore per raggiungere la felicità è vivere a pieno le esperienze presenti e accettarle senza altri pensieri.

2. Non tutto è sotto controllo

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Non accettare noi stessi e ciò che non può essere cambiato provoca infatti soltanto sofferenza.

Erin Olivo, psicologa alla Columbia University (Usa), lo spiega con un esempio nel suo Wise mind living (Vivere con una mente consapevole):
«A chiunque è capitato di essere in ritardo a un appuntamento e che l’ascensore che stiamo aspettando non arrivi. Siamo lì, impazienti, e ci troviamo a premere nervosamente più volte il pulsante come se così facendo potessimo farlo arrivare più in fretta».

Nella sofferenza dell’attesa facciamo qualcosa (premere il pulsante) che inconsciamente pensiamo possa cambiare il nostro destino (non farci arrivare tardi), anche se sappiamo che non è così. Anzi, chiamare nervosamente l’ascensore ci rende ancora più agitati.

Accettare noi stessi e la nostra vita fa bene non soltanto perché non farlo ci avvelena: lo capì già nel 1979 Lorrie Shepard, autrice di uno degli studi più citati sul tema, pubblicato da American Educational Research Journal.

L’autoaccettazione, spiegava la studiosa, è fonte di soddisfazione e felicità ed è quindi alla base della salute mentale perché è figlia della capacità di comprendere i nostri bisogni, di interpretare in modo lucido i nostri pregi e difetti e di cogliere il valore unico di cui siamo portatori.

In una parola, di amarci. L’amore verso noi stessi passa attraverso l’ascolto di quello che emerge da dentro di noi e dalla compassione verso noi stessi e gli altri.

3. Pochi ne sono capaci

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Il modo migliore per raggiungere la felicità è vivere a pieno le esperienze presenti e accettarle senza altri pensieri.

Che sia questa la vera chiave della felicità è dimostrato.

A marzo dello scorso anno l’associazione britannica Action for Happiness in collaborazione con Karen Pine, psicologa della University of Hertfordshire (Regno Unito), condusse un sondaggio su cinquemila volontari per individuare cosa ci rende più sereni.

Dieci diverse abitudini di vita furono identificate come le più strettamente legate a una vita felice.

Tra queste ne spiccava una: la capacità di accettarsi, atteggiamento particolarmente presente in chi mostrava elevati indici di soddisfazione della propria vita.

Dall’indagine è emerso però che l’autoaccettazione è una pratica poco diffusa: alla domanda «Quanto spesso pensi di andare bene così come sei?», solo il 5 per cento degli intervistati ha risposto «sempre».

4. Imparare ad amarsi ed evitare i pensieri che ci bloccano

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  • Imparare ad amarsi
    È importante conoscere i nostri pregi e difetti. In pratica cosa significa?
    Se ho come scopo esistenziale diventare un pianista, ma madre natura non mi ha equipaggiato delle doti adatte, posso provare a raggiungere il mio scopo studiando moltissimo, ma probabilmente non diventerò mai un grande pianista.
    Magari però potrei provare a fare l’insegnante di pianoforte e realizzarmi in quello. Un atteggiamento troppo arrendevole? No, piuttosto si tratta di osservare i nostri pro e contro, senza criticarci.
    Osservare noi stessi e il mondo sospendendo i giudizi positivi e negativi è utile per decidere in un momento successivo se provare a cambiare alcuni aspetti di noi e del mondo o lasciare che siano così, accettandoli.
  • Evitiamo i pensieri che ci bloccano
    Per alcune persone è particolarmente difficile imparare ad amarsi. E così passano una vita a rimuginare su ciò che manca loro e su come dovrebbe essere la loro vita.
    Può dipendere da una tendenza a “catastrofizzare” le conseguenze delle nostre mancanze.
    Una donna che non può avere figli può arrivare, ad esempio, a immaginarsi la situazione come drammatica, cristallizzandola nel tempo.
    Non si dà possibilità di alternative. Si impedirà quindi di pensare che in un futuro potrebbe anche cambiare idea sulla maternità.
    Altre volte l’incapacità di accettare la nostra vita può derivare dalla convinzione di avere il diritto di raggiungere i propri obiettivi.
    Così la donna nell’esempio potrebbe vivere la mancanza di figli come un’ingiustizia perché bloccata sull’idea che anche lei dovrebbe poter averne, come tutte le altre donne.





5. Piacere agli altri o a noi stessi e a scuola di accettazione

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  • Piacere agli altri o a noi stessi
    «Se uno fa sempre quello che gli chiedono gli altri non vale la pena vivere», dice la nonna della famiglia Cantone nel celebre film di Ferzan Ozpetek Mine vaganti (2010).
    Spesso chi non si piace cerca di compensare la propria insicurezza con una grande attenzione a come si veste, come parla, con chi passa il tempo: pensa che se si comporta come gli altri si aspettano sarà accettato e apprezzato.
    Gli esseri umani cercano di ridurre il rischio che avvenga un evento temuto attivando una serie di controlli: se non voglio che la mia casa si allaghi, controllerò di aver chiuso l’acqua prima di uscire.
    Peccato che il conformismo ci dà una falsa sicurezza: non ci rende felici perché ci impedisce di essere noi stessi.
  • A scuola di accettazione Imparare ad accettarsi si può apprendere
    Un aiuto viene dalla mindfulness, pratica basata sull’allenamento all’osservazione non giudicante della realtà.
    Una mente accettante guarda le cose così come sono e non per come vorrebbe che fossero.
    Alcune tradizioni orientali, ma anche la moderna psicologia, tendono a considerare l’accettazione come parente stretta del cambiamento proprio perché se non facciamo pace con la realtà dei fatti non saremo mai in grado di cambiare.
    Purtroppo però di fronte a ciò che di negativo ci capita tendiamo spesso a giudicare e rimuginare. Questo non risolve il problema, ma anzi ci fa stare peggio.
    Tuttavia come dimostrato da studi che fanno uso di tecniche di neuroimaging, esercitare la mindfulness permette di ricreare nuovi circuiti neuronali che vanno a rimpiazzare quelli preesistenti, migliorando il nostro modo di reagire agli stimoli esterni.








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