La mitologia di molte civiltà antiche usano spesso le figure di diversi animali per interpretare e decifrare il loro mondo fantastico ed impenetrabile.
A tal proposito vengono usati animali (a volte presentati come divinità, ma spesso anche come demoni) per trasmetterci dei messaggi.
Una lepre, un topo, una biscia d’acqua, una rana… quando appaiono all’improvviso e subito scompaiono; e uno grida, ci si emoziona, qualcosa di favoloso ci ha attraversato la strada; ma anche una mucca domestica è una presenza arcana mentre rumina e riflette; i bambini, infatti, le ammirano e le amano, come delle misteriose divinità.
Alcuni animali però sono più fantastici e favolosi degli altri, perché aggiungono alla loro enorme distanza mentale o alla fuggevolezza, il fatto che inoltre sono inesistenti, secondo le nostre moderne classificazioni scientifiche, come un ippocentauro, un pirotoco, una sirena, un ircocervo eccetera.
Il che non toglie che anche di loro si sia detto molto, specie nell’antichità, sulle loro abitudini, il modo di catturarli, il loro ecosistema, la fisiologia, il modo di generarsi, i versi che fanno.
Anzi a volte se ne sa di loro, degli animali fantastici, più di quanto si sappia di un pollo che razzola in mezzo all’aia, poi si ferma, si drizza e ti guarda sospettoso in tralice, come se lui fosse il centro del mondo e tu un essere stupido e grosso, al suo servizio, ancora però non abbastanza mansueto e addomesticato da potersi fidare.
Oggi vedremo 5 di questi animali fantastici, l’’anfisbena, l’’ircocervo, il verme dell’Indo, i trogloditi e le neadi.
Chi, infine, è interessato all’argomento, consigliamo la lettura del libro “Guida agli animali fantastici” di Ermanno Cavazzoni. Buona lettura.
1. L’anfisbena
L’anfisbena, dice Eliano, è serpente a due teste, una davanti e una dietro (Nat. anim., IX, 23).
Quando va in una direzione, la testa dietro viene disattivata e funziona da coda, mentre quella davanti osserva, pensa, prende le decisioni.
E se c’è da scappare non deve perdere tempo a voltarsi, ma passa il comando all’altra testa, quella di scorta, che è di natura più pavida ed è già pronta a fuggire alla massima velocità, evitando qualsiasi ripensamento.
L’anfisbena ha risolto con quest’alternanza di potere o comunque di prerogative decisionali, il conflitto che si può creare tra le teste negli animali a più teste.
Ogni testa nell’anfisbena avrebbe potuto tirare in un senso, e avremmo avuto un animale teso allo spasmo in due direzioni come una fune, e irresoluto, da un lato feroce ma impossibilitato ad attaccare, perché l’altro avrebbe tirato per scappar via senza riuscirci; due teste la cui somma fa zero, ma con altissimo costo energetico.
ll problema delle molte teste e dei rapporti intrapersonali, si ripresenta in diversi animali fantastici: l’idra di Lerna, la chimera, i capelli serpentiformi della Medusa eccetera.
Ogni testa avrà una sua personalità? ce n’è una che funge da capo? Difficile pensare che 100 teste siano tutte unanimi, anche se gli autori antichi su questo tacciono.
2. L’ircocervo
L’ircocervo è uno dei più inesistenti fra gli animali (Plinio lo chiama traghèlafo, e ippèlafo lo chiama Aristotele).
Si sa che ha la barba e pelo folto sopra il collo e le spalle. Per il resto è un cavallo con l’aspetto di un cervo, e vivrebbe tra il Caucaso occidentale e il mar Nero, se mai esistesse.
Ma per la verità non ha niente di eccezionale, neanche la barba è eccezionale o la criniera, è una specie di capra lanosa. Potrebbe esistere senza problemi.
Ma da quando Aristotele l’ha dichiarato inesistente, l’ircocervo è sempre stato citato come cosa impossibile, nome senza realtà, come fantasticheria vana, un po’ ostica e anche un po’ stupida.
E l’ircocervo di questa sua fama di stupidità se ne duole. Aristotele in queste faccende era tremendo, il suo giudizio era legge.
E l’ircocervo d’altronde non aveva niente di cui potersi vantare, come altri esseri immaginari che, pur non esistendo, vantano incredibili assurdità, e famose vicende di cui ormai non si può fare a meno.
Le sirene, i centauri, la iena sono così integrati nel mondo fantastico, che poco importa sapere se esistono. L’ircocervo analogamente è un animale che potrebbe benissimo esistere, nessuna assurdità fisiologica, la barba è cosa comune, e niente potrebbe impedirgli di esistere in qualche racconto.
Ma da quando l’ha negato Aristotele l’ircocervo ne è addolorato di essere nebbia verbale, sinonimo solo di niente, senza corpo e fisionomia. Nessun racconto che lo riguardi. Nessuna virtù nel suo barbone, niente sulla sua origine asiatica.
Solo vagamente si dice sia rappresentato su certi tappeti persiani, come motivo decorativo, con le corna che diventano volute e la faccia intessuta di lana. L’ircocervo non per questo accusa Aristotele, il quale non ha mentito: è vero che lui non esiste.
Ma neanche gli ippocentauri esistono, e però campano allegramente, anche se sono impossibili, hanno fatto scuola ad Achille, hanno dato battaglia ai Lapiti, mentre all’ircocervo non è capitato mai nulla.
Invece dalle scarne (e scettiche) notizie di Plinio si dice che pascola in branco tranquillamente alla foce del fiume Fasi.
3. Il verme dell’Indo
Nel fiume Indo, dice Ctesia di Cnido nella Storia persiana in 23 libri, non ci sono animali né acquatici, né di terra che nuotino, per la ragione che l’Indo è popolato da vermi simili nell’aspetto ai tarli del legno, ma lunghi 4 metri, alcuni anche più lunghi, e del diametro di 1 metro e mezzo.
Hanno due denti, uno sopra e uno sotto, quadrati, con il lato di quaranta centimetri, col quale triturano tutto, animali, pietre eccetera.
Stanno nel fango del fondo, di notte emergono e mangiano tutto ciò che trovano, cavalli, buoi, cammelli, asini, trascinandoli sul fondo nelle loro tane.
Per catturarli si cala in acqua una catena con un amo in cui è infilato un agnello. Il verme lo inghiotte e servono 30 uomini per tirarlo a riva con gran fatica, dove viene ucciso e lasciato al sole per 30 giorni.
Ne colano fuori 2 litri e mezzo di olio che ha questa qualità: ovunque sia gettato si accende, e il fuoco non si estingue più, così il re degli indiani, che ha il monopolio dell’olio, vince qualunque città, lanciando vasi pieni di olio che la bruciano tutta, comprese le armi di ferro e i soldati.
Si spegne solo soffocandolo con mucchi di spazzatura. Questa è la disgrazia e la fortuna dell’Indo, che non ha pesci e non vi si possono abbeverare le bestie; però dall’Indo viene la potenza del re degli indiani.
4. I trogloditi
Licinio Muciano nei suoi Mirabilia dice che le scimmie sono tristi quando la luna è calante, come dovesse scomparire e non tornare mai più.
Allora guardano il cielo e se potessero piangere si metterebbero a piangere. Ma gli animali non piangono, solo il leone morendo morsica la terra e versa una lacrima.
Poi quando spunta la luna nuova le scimmie esultano, fan festa, come fosse una meravigliosa sorpresa, e la adorano alla loro maniera. Questo fanno le scimmie che hanno la coda.
Eliano (Nat. anim.) dice che le scimmie si catturano così: si riempie un secchio di vischio o di altra colla che sembri acqua. Le scimmie, che han visto gli uomini lavarsi la faccia nei secchi, corrono giù dagli alberi, mettono le mani nel vischio e restano invischiate e prese.
Oppure, dice Eliano, il cacciatore va nel bosco e con gli stivali fa bella mostra di sé, cammina impettito e a gran passi, cercando di far molto rumore e calpestando i rametti secchi, i gusci d’uova, le formiche rosse; le scimmie dall’alto degli alberi osservano.
Poi il cacciatore si leva gli stivali e li lascia lì incustoditi. Le scimmie corrono e se li infilano, ma non riuscendo poi a levarseli, son catturate.
La scimmia, dice Gaio Giulio Solino, si accoppia volentieri con l’uomo, e se ha avuto modo di osservare precedentemente una moglie, per la sua straordinaria tendenza mimetica, si comporta poi su per giù come una moglie, apparecchia, fa il bucato, prepara una zuppa, e grida quando c’è il marito come se discutesse.
Solo ogni tanto se viene offesa va su un albero e non vuole scendere o salta sul tetto, e grida, contro il marito. Da una scimmia e da un uomo sono nati quegli esseri detti trogloditi, che vivono a Ovest, in Africa, e hanno preso il peggio del padre e della madre.
5. Le neadi
Euforione (nei Commentari andati perduti) dice che nell’isola di Samo nei tempi antichi non ci poteva abitare nessuno perché era piena di enormi animali che si chiamavano neadi, i quali facevano urla così forti che si spaccava il terreno.
A Samo si possono ancora vedere le crepe, e tutta l’isola è come screpolata e riarsa, e la terra ancora sconvolta dalle onde sonore.
Erano animali che cercavano di sopraffarsi gridando; prima gridava uno, poi l’altro, in genere erano della stessa famiglia, ad esempio incominciava uno con un brontolio fastidioso ma senza effetti sull’ambiente, un altro altro rispondeva con un urlo, un altro ancora con un urlo più forte.
Un grido tale che incominciavano a sgretolarsi le prime rocce e a aprirsi le prime fessure; al che, tutti si sentivano chiamati in causa e cercavano di sopravanzare nel volume di voce, e anche di sopravanzarsi reciprocamente (dice Euforione), giungendo a un punto tale che si apriva l’isola giù fino al fondo del mare e i più giovani e deboli ci cadevano dentro.
Queste grida non avevano un significato, non c’era un tema in discussione, o accuse, o le eterne questioni che caratterizzano le famiglie umane, però era come se su un punto il dissidio ci fosse, ma non si sarebbe saputo dire su cosa, come nelle famiglie umane, che ci si odia, si litiga, ma è come un’abitudine.
Poi improvvisamente questi animali smettevano e si rimettevano a pascolare tra le frane di rocce. Sull’isola ci sono ancora le loro enormi ossa che affiorano dalla polvere.