L’acido acetilsalicilico fu brevettato con il nome di “Aspirina” nel 1899.
Tecnicamente, è in quel momento che ha inizio la sua storia, ma in realtà si tratta solo di una pietra miliare lungo un cammino tortuoso che si perde nella notte dei tempi.
È nel mondo naturale che si deve cercare l’origine dell’Aspirina.
Alcune piante, come il salice, sono ricche di salicilati, composti le cui proprietà terapeutiche erano già conosciute nell’antichità.
Sono stati necessari quasi cinquemila anni perché gli scienziati isolassero queste sostanze e sviluppassero l’Aspirina come la conosciamo oggi, ma nella sua forma base l’acido salicilico è stato impiegato come medicinale per millenni.
Scopriamo allora la storia dell’aspirina ossia del farmaco più venduto del XX secolo.
1. La ricerca comincia con il salice
Cercare di rintracciare le origini dell’Aspirina è un po’ come chiedere a un detective di raccogliere vari indizi e prove per creare il quadro d’insieme di un caso.
È quindi del tutto appropriato sapere che Agatha Christie, la più celebre giallista di tutti i tempi, conobbe il futuro marito Max Mallowan quando questi lavorava come assistente di un archeologo a certi scavi dell’antica città sumera di Ur, situata nel sud dell’attuale Iraq: in questo sito si trova infatti il primo indizio della nostra ricerca tesa a ricostruire la storia del farmaco.
IL PRIMO INDIZIO. L’ANTICA TAVOLETTA DI ARGILLA SUMERA
Una delle scoperte più importanti fatte a Ur fu quella di una tavoletta d’argilla risalente al 300 a.C., su cui erano incisi caratteri cuneiformi. Denominata Ur III, è un testo medico della Terza Dinastia di Ur e menziona numerosi rimedi, fra cui piante contenenti salicilati, quali il mirto e la corteccia di salice.
IL PAPIRO DI EBERS. L’ANTICO EGITTO (nella foto)
La prova successiva proviene dall’Antico Egitto. Nel 1862, Edwin Smith, giovane egittologo dilettante e avventuriero, acquistò due papiri a Luxor. Non è chiaro chi fosse stato a venderli, ma si dice che fossero stati rinvenuti fra le gambe di una mummia nell’area di El-Assasif, presso la necropoli di Tebe, sulla riva del Nilo opposta rispetto a Luxor.
Entrambi i papiri risalivano più o meno al 1534 a.C., ma si pensava fossero copie di testi molto più antichi. Uno divenne noto come il papiro Edwin Smith e rappresenta il testo chirurgico più antico del mondo.
L’altro finì per cadere nelle mani dell’egittologo tedesco Georg Ebers, nel 1872. È un testo che illustra il livello di conoscenze mediche e terapeutiche egizie in merito a un’ampia gamma di condizioni patologiche.
Fra gli oltre 160 rimedi illustrati, gli autori riportavano l’utilizzo del salice, da loro chiamato tjeret, e del mirto, khet-des, così come del cetriolo, shespet. Tutti e tre sono ricchi di salicilati.
CHE COSA SONO I SALICILATI?
Quasi tutte le piante contengono salicilati, ma alcune – come il salice, il mirto e il cetriolo – ne sono particolarmente ricche. I fisiologi delle piante hanno scoperto che essi agiscono come ormoni, contribuendo alla crescita e alla fioritura, ma formando anche una delle principali difese contro insetti e altri animali.
I salicilati risultano infatti tossici per l’intestino degli insetti e hanno una funzione antisettica contro i batteri del terreno.
Sono proprio queste le sostanze che in tempi successivi i chimici estrassero dalle piante per creare l’Aspirina. Il loro utilizzo terapeutico in epoca antica non è altro che una forma rudimentale del farmaco che oggi tutti conosciamo. L’“Aspirina”, insomma, viene impiegata a fini medici da millenni.
LA MEDICINA DI IPPOCRATE
Ippocrate (460-380 a.C. circa) fu un medico greco, comunemente considerato il “padre della medicina.” Fu infatti il primo a rifiutare la superstizione e la possessione da parte di spiriti maligni come cause di malattie, e a ipotizzare invece che l’origine fosse uno squilibrio di vari umori o fluidi vitali. Teoria che prevalse fino al Rinascimento.
Nei suoi scritti, conosciuti collettivamente come Corpus Ippocraticum, proponeva un infuso di foglie di salice per alleviare i dolori del parto ed eliminare la febbre.
LA DOTTRINA DELLE FIRME
La dottrina delle firme è un’antica teoria secondo cui le piante medicinali avevano segni o caratteristiche speciali che ne indicavano la specifica utilità per particolari malattie.
Il salice, che cresce in zone umide dove febbri e problemi reumatici sono diffusi, era noto come “albero dei brividi”, e in effetti curava coloro a cui la febbre provocava brividi.
Il suo uso in medicina è di conseguenza un ottimo esempio della trasposizione pratica della dottrina delle firme.
Benché tale dottrina oggi ci appaia ingenua, garantiva di fatto alcune cure efficaci, come l’impiego del salice: l’origine naturale dell’Aspirina, “farmaco miracoloso,” è soltanto una.
LA MEDICINA ROMANA E I SEMI DI CUMINO NERO
Dioscoride Pedanio di Anazarbus (40-90 d.C.) era un medico greco originario dell’Asia Minore, allora parte dell’Impero romano.
Scrisse in greco un testo in cinque volumi sulla preparazione, le proprietà e la sperimentazione di diversi farmaci, che in seguito venne tradotto in latino con il titolo De materia medica e fu per sedici secoli il testo fondamentale di farmacopea.
Il medico raccomandava l’impiego dei semi del cumino nero per il mal di testa e di denti, e scriveva a proposito delle molteplici proprietà del salice. Entrambe le piante sono ricche di salicilati.
LA MEDICINA ROMANA E LE FOGLIE DI SALICE
Aulo Cornelio Celso (25 a.C.-50 d.C.) fu un enciclopedico romano, benché si ritenga che non esercitasse la medicina.
Il suo libro, De Medicina, è l’unico sopravvissuto di un corpus molto più ampio, nonché una fonte importante per quanto riguarda l’alimentazione, la medicina e la chirurgia.
Nel suo testo Celso descrive come segue i quattro sintomi fondamentali dell’infiammazione: calor (calore), dolor (dolore), tumor (gonfiore) e rubor (arrossamento).
Per alleviarli, consigliava anche lui l’uso dell’estratto di foglie di salice. Si può quindi considerare il primo a impiegare il salice per le sue proprietà antinfiammatorie.
GALENO E LA CAPCITÀ RINFRESCANTE DEL CETRIOLO
Claudio Galeno di Pergamo (131-201 d.C.), celebre medico del II secolo d.C., insegnava che il cetriolo era un “frutto rinfrescante” e ne consigliava l’uso in un preparato galenico, come venivano chiamate le sue prescrizioni.
Ecco un altro esempio della dottrina delle firme: le proprietà del cetriolo sarebbero date dal fatto che cresce al caldo, ma che, una volta aperto, è sempre più fresco all’interno (provate voi stessi).
Questo ortaggio era quindi usato per abbassare la temperatura corporea e veniva strofinato su varie parti del corpo per raffreddarle e ridurre l’infiammazione (di nuovo, tali effetti sono dovuti ai salicilati).
ALBORI DELLA MEDICINA NELLE AMERICHE
Per secoli, prima dell’arrivo di Cristoforo Colombo sul continente americano, le tribù indigene avevano usato infusioni di corteccia e foglie di salice bianco per alleviare i dolori e abbassare la febbre.
Anche gli Aztechi e i Maya dell’America Centrale scoprirono e sfruttarono in modo autonomo le preziose proprietà del salice.
2. Il salice incontra la scienza
Benché l’utilizzo del salice si fosse affermato da secoli come rimedio popolare, nel XVII secolo i suoi benefici (e, altrettanto importante, quello che li determinava) dovevano ancora essere indagati.
Si dà il caso che sia stata la malaria a fornire la chiave del suo misterioso successo alla comunità scientifica.
Questa malattia – e la ricerca di una cura – hanno tormentato i medici per millenni, e lo stesso Ippocrate ne scriveva nel V secolo a.C., definendola “febbre delle paludi”.
Alla metà del XVII secolo, per la cura della febbre si utilizzava la polvere di corteccia peruviana, nota come chinchona, che, sfortunatamente, era molto costosa.
Si rese quindi necessario trovare un’alternativa. Chi poteva immaginare che tale ricerca avrebbe finito per condurre alla creazione dell’Aspirina?
Nel 1763 il reverendo Edward Stone (1702-1768) notò casualmente che la corteccia del salice ridotta in polvere aveva il sapore del chinino e questa scoperta lo indusse a usarla come sostituta della chinchona.
Con sua grande sorpresa e felicità, la sostanza sembrava essere attiva in molti modi diversi, oltre ad avere, in comune con la chincona, la capacità di abbassare la febbre.
Ancora più importante, aveva ottime qualità analgesiche. Stone scrisse alla Royal Society una lettera che doveva rivelarsi di straordinaria importanza per la comunità scientifica, e che fu pubblicata nei loro Philosophical Transactions nel 1763.
"Ho curato cinquantaquattro dei miei parrocchiani che soffrivano di varie forme di febbre malarica con dosi sempre maggiori di corteccia di salice polverizzata… e quasi tutti sono rapidamente migliorati".
È significativo che il reverendo Stone indicasse la dottrina delle firme come la ragione che lo aveva spinto a sperimentare la corteccia di salice. Benché non lo affermasse, è probabile sapesse che preparazioni ricavate da quella pianta erano usate come rimedi casalinghi.
Il reverendo Edward Stone era il tipico esemplare di gentiluomo agiato dell’età dei lumi. Come rettore della Chiesa d’Inghilterra, disponeva di mezzi sufficienti per indulgere nei suoi interessi: la medicina, la filosofia e l’astronomia.
La sua fortunata scoperta relativa alla corteccia del salice aprì un orizzonte del tutto nuovo. Qual era, esattamente, l’ingrediente miracoloso contenuto nella corteccia di un albero? Gli scienziati si misero al lavoro.
Nel 1828 il professor Johann Buchner, dell’Università di Monaco, isolò una minuscola quantità di una sostanza cristallina dal gusto amaro che chiamò “salicina”. Era il principio attivo presente nel salice.
Nel 1830 un giovane chimico francese, Henri Leroux, perfezionò il processo e fu in grado di estrarre una quantità maggiore e più pura di salicina dalla corteccia di salice.
Nel 1838 il chimico italiano Raffaele Piria (nella foto) riuscì a scindere la salicina in un uno zucchero e un composto aromatico chiamato aldeide salicilica. A quel punto poté, tramite un altro procedimento chimico, trasformarla in un preparato più puro, l’acido salicilico.
A metà del XVIII secolo, i medici prescrivevano ai loro pazienti salicina e acido salicilico con buoni risultati in molte condizioni dolorose quali l’artrite, la gotta, la febbre reumatica e la febbre tifoidea.
Sfortunatamente, scoprirono anche che molti pazienti soffrivano di gravi emorragie, irritazione gastrica e ulcere allo stomaco. Si presentava la necessità di mettere a punto una terapia meno invasiva.
Nel 1853 un chimico francese, Charles Frederic Gerhardt, riuscì a “tamponare” l’acido salicilico con sodio e cloruro di acetile per produrre una sostanza chiamata acido acetilsalicilico (cioè la nostra Aspirina). Era un progresso di straordinaria importanza, anche se all’epoca Gerhardt non se ne rese conto. Non proseguì infatti il lavoro iniziato.
Nel 1859, il professor Adelphi Kobe sintetizzò l’acido salicilico dall’acido carbolico. La reazione Kolbe-Schmitt rappresentò il primo passo nella produzione su scala industriale dell’Aspirina.
Nel 1870 il professor von Nencki di Basilea dimostrò che la salicina veniva trasformata in acido salicilico nell’organismo. Era di conseguenza logico somministrare come farmaco l’acido salicilico invece della più rudimentale salicina: evitando all’organismo il processo di trasformazione, si permette al farmaco di agire più rapidamente e in modo più mirato.
3. Il grande passo avanti
Nel 1897 il chimico tedesco Felix Hoffmann (nella foto), che lavorava per la società farmaceutica Bayer, riscoprì la formula di Gerhardt mentre tentava di produrre una forma di acido salicilico che non provocasse irritazione gastrica.
C’era nel suo operato una motivazione personale: suo padre aveva trovato efficace l’acido salicilico, ma gli effetti collaterali di natura gastrica si erano rivelati troppo sgradevoli per lui.
Usando una pianta, l’olmaria, come fonte di acido salicilico, Hoffman somministrò al padre varie forme modificate dell’acido, in una sorta di sperimentazione clinica che oggi risulterebbe eticamente inaccettabile.
Alla fine, riuscì a produrre acido acetilsalicilico (l’Aspirina) utilizzando un diverso procedimento chimico. Il risultato fu una variante che funzionò alla perfezione.
Nel 1899 Hoffman era pronto a lanciare il suo nuovo farmaco. Il suo capo diretto, Heinrich Dreser, tuttavia, ne negò il potenziale commerciale, sospettando che avesse un “effetto indebolente” sul cuore, anche se, a quanto pare, il vero motivo era che la Bayer si preparava a commercializzare un altro dei farmaci di Hoffman, l’eroina.
Non fosse stato per Arthur Eichengrun, responsabile dello sviluppo del nuovo farmaco, questo non sarebbe mai stato messo in commercio. Invece Eichengrun insistette in questo senso e la società si preparò al suo lancio.
Felix Hoffman produsse la droga nota come eroina casualmente, mentre cercava di ricavare codeina dal papavero dell’oppio.
Denominata dal tedesco heroisch, “eroico”, per via di come fa sentire chi l’assume, l’eroina fu commercializzata quale alternativa non creatrice di dipendenza alla morfina nella terapia del dolore, nonché come sedativo della tosse infantile.
Analogamente a quanto accaduto per l’Aspirina, il marchio depositato andò perso dopo la prima guerra mondiale. Ai nostri giorni è illegale in quasi tutti i paesi, benché venga ancora prescritta e utilizzata in forma di diamorfina, un potente antidolorifico.
Nel 1899 la Bayer brevettò il metodo di preparazione dell’Aspirina e con questo nome ne ottenne il marchio ( si dice che il nome derivasse da Sant’Aspreno, primo vescovo di Napoli e patrono di chi soffre di mal di testa).
La versione più probabile è che fosse invece un nome composto: “A” stava per acetile, “spir” per Spiraea ulmaria (olmaria) e “in”… be’, semplicemente perché all’epoca era un suffisso comune nei nomi di farmaci.
Quello stesso anno la Bayer cominciò a distribuire ai medici l’Aspirina sotto forma di polvere, esortandoli a sperimentarla sui pazienti.
Nel 1915 l’Aspirina fu commercializzata per la prima volta in compresse e divenne un prodotto da banco, trasformandosi rapidamente nel farmaco più diffuso al mondo. Nel 1929 era pubblicizzata e impiegata contro i reumatismi, la lombaggine e la nevralgia.
4. L’Aspirina in tempo di guerra
Durante la prima guerra mondiale, gli Alleati temevano di restare a corto di Aspirina, dato che ovviamente il solo Paese fornitore era la Germania.
Come conseguenza, il governo britannico offrì un premio di 20 000 sterline (circa 24 000 euro) a chiunque avesse messo a punto un metodo di produzione alternativo.
Il farmacista australiano George Nicholas ne sviluppò uno a Melbourne, che nel 1915 brevettò con il nome di Aspro.
L’epidemia d’influenza del 1918 che seguì la fine del conflitto, causa in tutto il mondo di un numero di decessi compreso tra i 20 e i 40 milioni, agì da catalizzatore per la diffusione dell’Aspirina.
Benché il farmaco non curasse l’influenza, né potesse prevenire la morte, prese piede come terapia di largo impiego per il raffreddore e gli stati febbrili, e si dimostrò efficace nel trattamento dei loro sintomi.
Dopo la seconda guerra mondiale, nel 1948, il dottor Lawrence Craven, un medico generico e otorinolaringoiatra californiano, cominciò a prescrivere ai pazienti che avevano subito una tonsillectomia un chewing gum impregnato di Aspirina.
Notò che i pazienti che ne facevano un uso eccessivo sviluppavano complicazioni con emorragie e ipotizzò che l’Aspirina interferisse con la capacità di coagulazione del sangue.
Da quella congettura al chiedersi se il farmaco avrebbe potuto prevenire coaguli di sangue nelle arterie coronariche, una delle cause dell’attacco cardiaco, il passo fu breve.
Craven iniziò a sperimentare sui pazienti bassi dosaggi di Aspirina e scoprì, dopo un follow-up durato parecchi anni, di registrare un calo significativo sia negli infarti sia negli ictus.
Craven pubblicò svariati articoli soprattutto in oscure pubblicazioni scientifiche, ma le sue scoperte non furono recepite dalla comunità medica.
Nel 1952 fu introdotta nel mercato l’Aspirina masticabile per bambini, un preparato a basso dosaggio, che venne utilizzato per anni.
Nel 1977 una ricerca della dottoressa Karen Starko, di Phoenix, in Arizona, rilevò un legame significativo fra Aspirina e sindrome di Reye, una patologia potenzialmente fatale per i bambini.
Da allora, l’Aspirina non è più prescritta ai minori di 16 anni.
5. Svelati i sorprendenti segreti dell’Aspirina
Grazie a un gran numero di ricerche, la fine del secolo scorso ha visto enormi progressi nella comprensione del potenziale dell’Aspirina.
È ormai evidente che il farmaco ha una portata molto più ampia e significativa di quanto chiunque avesse potuto prevedere.
Potrà anche aver preso il nome dal santo patrono dei sofferenti di mal di testa, ma le sue proprietà si sono rapidamente dimostrate efficaci nella terapia di patologie ben più gravi, trionfando perfino su condizioni potenzialmente fatali.
Nel 1974 il professor Peter Elwood dell’Unità Epidemiologica del MRC (Medical Research Council), nel Galles meridionale, eseguì il primo trial clinico sull’Aspirina nella prevenzione dell’infarto.
Fra i pazienti che erano già stati vittima di un primo attacco cardiaco, si sceglieva a caso i soggetti a cui somministrare l’Aspirina o un placebo (un “falso” farmaco che non produce alcun effetto). I risultati evidenziarono che l’Aspirina riduceva la mortalità del 24%.
Negli anni Settanta un farmacologo, il professor John Vane, scoprì l’esatto principio del funzionamento dell’Aspirina, ossia l’inibizione di un enzima coinvolto nella produzione di prostaglandina.
Le prostaglandine sono importanti ormoni naturali attivi in numerosi processi dell’organismo, compresi il dolore, il danneggiamento dei tessuti e le infiammazioni.
Nel 1989 uno studio pilota preliminare condotto negli Stati Uniti suggerì che l’Aspirina potesse ritardare l’insorgere della demenza.
Nel 1995 ricercatori americani ipotizzarono che esercitasse una funzione protettiva contro il cancro all’intestino.
Nel 1998 il Thrombosis Prevention Trial condotto dal Medical Research Council dimostrò che sia dosi ridotte di Aspirina sia di warfarin (un farmaco che impedisce la formazione di coaguli di sangue, e definito di conseguenza un “anticoagulante”) riducevano l’incidenza di attacchi cardiaci in soggetti maschi ad alto rischio, e che quando si somministravano entrambe le sostanze, la riduzione era perfino maggiore.
L’alba di un nuovo millennio non ha arrestato l’ascesa apparentemente inarrestabile dell’Aspirina. Anzi, i risultati che attualmente arrivano, e continueranno ad arrivare, dato che mentre scrivo in tutto il mondo sono in atto numerosi trial clinici, sono addirittura più stupefacenti dei fatti finora noti.
Un esempio riguarda la seconda patologia responsabile del maggior numero di decessi al mondo: il cancro.
Sorprendentemente, nel 2010 un’importante rilevazione effettuata dall’università di Oxford e altri centri di ricerca su 25.000 pazienti, ha scoperto che una piccola dose quotidiana di Aspirina poteva ridurre il tasso complessivo di mortalità di almeno un quinto.
Nel luglio del 2010 l’Università di Pittsburgh, Stati Uniti, ha cominciato a reclutare pazienti per un nuovo studio propedeutico teso a stabilire se l’Aspirina sia effettivamente in grado di prolungare la vita e impedire lo svilupparsi di debilitazione fisica e demenza in soggetti sani di età avanzata.
Lo studio ASPREE (Aspirin in Reducing Events in the Elderly - Studio sulla riduzione di eventi patologici negli anziani) sarà una vasta sperimentazione di carattere internazionale che interesserà 6500 pazienti dai 70 anni in su negli Stati Uniti e 12.500 della stessa fascia di età in Australia. Durerà almeno 5 anni, dopo di che possiamo prevedere di conoscerne gli esiti.