In dieci secoli di battaglie Roma vide in campo militare strateghi raffinati e velleitari coraggiosi, uomini in grado di conquistare il mondo e scannarsi tra loro con intuito geniale ed efficienza estrema.
Dalla Repubblica all’Impero, i grandi generali dell’Urbe hanno lasciato testimonianze memorabili del loro valore scrivendo la storia militare dell’antichità.
Eppure, mentre all’inizio i condottieri si distinguevano per l’attaccamento alle istituzioni e la difesa della gloria patria, alla fine del periodo repubblicano e durante l’impero a segnare la loro azione era spesso l’ambizione personale, che li portava al vertice dell’esercito e del governo.
Comunque sia, la grande espansione di Roma si deve anche alla sete di potere e ai sogni di conquista di questi uomini, che hanno condiviso con i loro legionari le lunghe campagne militari. Vediamoli insieme.
1. FURIO CAMILLO, CLAUDIO MARCELLO E SCIPIONE L’AFRICANO
- FURIO CAMILLO, IV SECOLO-365 A.C.
Difficile discernere in Marco Furio Camillo la realtà dalla leggenda, a partire dalla data di nascita e dalle presunte vittorie che gli vengono attribuite da alcuni cronisti.
Non apparteneva a una famiglia di rilievo, ma a oltre quarant’anni divenne tribuno consolare, affrontando Falisci e Capenati.
La sua grande occasione arrivò quando gli fu assegnata la carica di dittatore per risolvere la decennale guerra contro la città etrusca di Veio, che nel 396 conquistò con un espediente.
Espugnò anche Falerii un paio d’anni più tardi, ma poi fu processato e si autoesiliò ad Ardea.
Tornò a Roma in occasione del sacco dei Galli di Brenno, sebbene non si possa dire quanto sia stato decisivo il suo intervento. Di certo ebbe un ruolo fondamentale nella ricostruzione della città, meritandosi l’appellativo di “secondo fondatore di Roma”.
L’anno seguente fu dittatore vincente contro Etruschi, Volsci ed Equi, tribuno militare in due occasioni – contro i Volsci a Satrico – e ancora tribuno nel 367, addirittura ottantenne, quando ottenne e celebrò il suo quarto trionfo, per poi morire due anni dopo. - CLAUDIO MARCELLO, 270 ca.- 208 A.C.
L'irruente e bellicoso Marco Claudio Marcello fu considerato la “spada” di Roma operando di concerto con Quinto Fabio Massimo, reputato lo “scudo” per la sua strategia attendista (era detto Cunctator, il “Temporeggiatore”).
I due ressero le sorti dell’Urbe nel suo periodo più difficile, dopo le sconfitte inflitte da Annibale. Da console nel 222 a.C. aveva vinto i Boi e gli Insubri a Casteggio, uccidendo in duello il capo nemico e guadagnandosi, oltre al trionfo, le spolia opima (il trofeo più ambito, ovvero le armi del generale nemico ucciso in singolar tenzone), onorificenza concessa solo ad altri due condottieri Romani.
Ormai ultracinquantenne, fu sempre sulla breccia come pretore, console o proconsole tra il 216, dopo il disastro di Canne, e il 208, quando morì subendo un agguato nel corso di una banale ricognizione.
In mezzo, nel 212, rifulge l’altra sua impresa più nota, la conquista di Siracusa, dopo un lungo e duro assedio che lo aveva costretto ad avere a che fare con le macchine belliche inventate da Archimede.
Ricevette una ovatio (l’ovazione) per la sua vittoria, un trionfo in tono minore.
Meno celebre ma altrettanto rilevante, un suo successo – il solo di un comandante romano prima di Scipione l’Africano – in uno scontro minore con Annibale, nel 210 in Lucania. - SCIPIONE L’AFRICANO, 235 - 183 A.C. (foto)
Rimase imbattuto sul campo di battaglia, ma soprattutto difese la crescente potenza di Roma e diresse le sue mire espansionistiche nel bacino del Mediterraneo.
Sull’onda dell’emozione per la morte del padre (Publio Cornelio Scipione) e dello zio (Gneo Cornelio Scipione Calvo) in Spagna a opera dei Cartaginesi, a soli 26 anni Publio Cornelio Scipione ricevette un comando proconsolare straordinario per la Penisola iberica.
Nell’arco di un triennio espugnò Cartagena (206) e sconfisse i Punici a Becula e Ilipa, restituendo la Spagna al controllo di Roma.
Tornato nell’Urbe, sostenne con tenacia la strategia di portare la guerra direttamente in Africa, per costringere Annibale ad abbandonare la Penisola italica. Il senato lo assecondò con scarso entusiasmo, lesinandogli gli effettivi.
Sbarcato sulle coste africane, mise sotto pressione i Cartaginesi e i loro alleati vincendo ai Campi Magni (203) e costringendo Annibale a venire in soccorso alla sua capitale. Sconfisse il grande condottiero punico a Zama nel 202 a.C., obbligando Cartagine alla pace.
Nel 189, partecipò come legato alla campagna asiatica contro Antioco III di Siria, guidata dal fratello Scipione, poi detto l’Asiatico. Messo sotto accusa dai suoi nemici politici, si ritirò a vita privata e morì a Literno nel 183 a.C.
2. SILLA, POMPEO MAGNO E GIULIO CESARE
- POMPEO MAGNO, 106 - 48 A.C.
La carriera militare di Gneo Pompeo, poi detto Magno, iniziò in modo anomalo a 23 anni, nell’83 a.C., arruolando un esercito privato con il quale si unì a Silla.
Combatté contro i mariani in Italia, Gallia e Africa, infine il dittatore gli concesse il trionfo.
Nel 78 supportò il console Catulo contro il ribelle Lepido, spingendo poi il senato ad assegnargli un comando in Spagna contro l’altro ribelle Sertorio e i Celtiberi.
Dopo tre anni Sertorio fu ucciso da sicari e Pompeo poté tornare in Italia, dove debellò i residui dell’esercito di schiavi ribelli di Spartaco, sconfitti da Crasso, celebrando un nuovo trionfo.
Nel 67 ebbe il comando delle operazioni contro i pirati nel Mediterraneo, e in sei mesi debellò il flagello. Rilevò poi Lucullo nella Guerra contro Mitridate, portandola a compimento, impose la sovranità romana ad Albani e Iberi, quindi riorganizzò le province orientali, celebrando un altro trionfo.
Quando Cesare passò il Rubicone, fu costretto a sgombrare l’Italia e ad attenderlo in Epiro, dove andò vicino a sconfiggere il rivale a Durazzo (o Dyrrhachium, nel 48), ma subendo una sconfitta definitiva a Farsalo, prima di finire assassinato in Egitto. - SILLA, 138 - 78 A.C.
Nato da famiglia nobile ma decaduta, Lucio Cornelio Silla esordì nella carriera militare come questore (magistrato minore dello Stato, la cui carica – quaestura – costituiva il primo grado del cursus honorum) di Gaio Mario nella Guerra giugurtina (106-105).
Fu lui a risolvere il conflitto, attirando in un tranello il re numida; da allora la questione fu oggetto di disputa con il suo comandante, inaugurando la stagione d’odio che li avrebbe resi inesorabili nemici.
Negli anni seguenti combatté come legato e come tribuno militare (ufficiale) in Gallia, partecipando alla battaglia dei Campi Raudii contro i Cimbri; quindi fu propretore contro i Cappadoci e, durante la Guerra sociale, legato contro Marsi, Sanniti e Irpini.
Raggiunto il consolato, contese a Mario il comando della Guerra mitridatica, poi partì per la Grecia dove colse importanti vittorie ad Atene, Cheronea e Orcomeno (e nell’85 costrinse Mitridate alla pace di Dardano).
Condusse anche una campagna in Macedonia contro gli Illiri, prima di tornare in Italia e sgominare il partito mariano nella battaglia di Porta Collina (82 a.C.), che gli permise di conseguire il potere assoluto come dittatore. Si dimise dopo circa un biennio, per morire un paio d’anni dopo. - GIULIO CESARE, 101 CIRCA - 44 A.C. (foto)
La straordinaria carriera militare di Gaio Giulio Cesare iniziò, dopo un periodo da tribuno a Mitilene, come questore e poi propretore in Spagna, dove combatté Lusitani e Calaici.
Dopo il consolato, si procurò il proconsolato in Gallia, dove stazionò dal 58 al 50 a.C., sottomettendo tutte le tribù e debellando numerose ribellioni, tra cui quella del 52, condotta da Vercingetorige, che sconfisse ad Alesia. In mezzo, due puntate in Britannia, e un paio di volte oltre il Reno nel territorio dei Germani.
Nel 49 entrò in armi in territorio italico (passaggio del Rubicone) per affrontare i suoi avversari politici, si impossessò di Roma e della carica di dittatore, quindi procedette verso la Spagna, dove a Ilerda vinse i luogotenenti di Pompeo Magno.
Si spostò poi in Epiro, dove affrontò l’antagonista a Durazzo, rischiando la sconfitta, ma si rifece a Farsalo.
Tolto di mezzo Pompeo, impose Cleopatra in Egitto e cancellò le velleità di Farnace del Ponto, poi dovette condurre una dura campagna in Africa per sgominare i pompeiani, che sconfisse a Tapso (46), e un’altra in Spagna, debellandone gli ultimi irriducibili condotti da Pompeo il Giovane a Munda.
Sei mesi dopo fu ucciso durante una seduta del senato: stava preparando una campagna contro i Parti.
3. AGRIPPA, TIBERIO E GERMANICO
- AGRIPPA, 63 CIRCA - 12 A.C.
Amico d’infanzia di Ottaviano Augusto, Marco Vipsanio Agrippa crebbe al suo fianco e fu la mano armata del futuro imperatore, vincendo per lui tutte le battaglie.
A 23 anni era legato nella Guerra di Perugia (41-40) contro Lucio Antonio (il fratello minore di Marco Antonio), e subito dopo proconsole in Gallia contro Ubii e Aquitani.
Ma le vere sfide ebbero luogo in seguito: contro Sesto Pompeo, prima di tutto, in una feroce e dura guerra navale e anfibia nella quale Agrippa finì per prevalere, dapprima a Milazzo e poi nello scontro decisivo di Nauloco (36).
Accompagnò e sostenne l’amico anche nelle campagne contro Illiri e Dalmati, negli anni 35 e 34, prima di rivestire un ruolo da protagonista nello scontro finale tra Ottaviano da una parte, Marco Antonio e Cleopatra dall’altra.
In effetti, Agrippa fu il principale artefice della vittoria navale di Azio (31) e sconfiggendo la flotta di Cleopatra e Marco Antonio consegnò il potere assoluto all’amico e futuro imperatore Augusto.
In seguito, combatté da proconsole in Gallia e in Spagna, soffocando una serie di rivolte, poi sul Bosforo e nel 12 a.C. in Pannonia; dovette interrompere quest’ultima campagna per problemi di salute, che lo portarono a una morte precoce di lì a poco. A lui si deve la costruzione del Pantheon. - TIBERIO, 42 A.C. - 37 D.C. (foto)
Figliastro dell’imperatore Augusto, Tiberio gli succedette al potere grazie alla morte di tutti gli eredi designati e diretti.
Ma non si può dire che non se lo fosse guadagnato: da comandante degli eserciti romani sotto il principato del patrigno, si rivelò uno dei migliori generali di Roma.
Dopo un’esperienza a diciassette anni come tribuno militare contro i Cantabri in Spagna (25 a.C.) e svariate compagne sotto l’insegna imperiale, nel 15 a.C. Tiberio condusse un braccio dell’operazione a tenaglia che sottomise a Roma le popolazioni alpine, di concerto con il fratello minore Druso.
Quattro anni dopo si guadagnò gli ornamenti trionfali contro i Pannoni, ripetendosi l’anno seguente. Dall’8 a.C. passò in Germania, ma poi la rottura col patrigno lo mise fuori gioco per un pezzo.
Riprese a guerreggiare dove aveva lasciato, in Germania, nel 4 d.C. per poi combattere Marcomanni, Pannoni e Dalmati per un quinquennio – celebrando un trionfo – l’anno prima che le legioni fossero massacrate a Teutoburgo.
Fu rinviato in Germania, dove in un biennio puntellò la situazione, guadagnandosi un nuovo trionfo nell’11. Tre anni dopo sarebbe asceso al trono imperiale (14 d.C.), il secondo dopo Augusto. - GERMANICO, 15 A.C. - 19 D.C.
Figlio maggiore di Druso, il figliastro di Augusto, Germanico (nato col nome di Druso Claudio Nerone) rientrò nella linea di successione quando, nel 4 d.C., l’imperatore adottò Tiberio, e questi fu costretto ad adottare a sua volta il nipote (che entrando a far parte della gens Iulia prese il nome di Germanico Giulio Cesare).
Da allora, sebbene avesse mostrato una più spiccata propensione per la cultura rispetto alle armi, dovette trasformarsi in un generale; in questo fu favorito dal grande affetto che gli mostrarono sempre i soldati, molto legati a suo padre.
Iniziò come questore tre anni dopo contro Dalmati e Pannoni, e nel 9 si guadagnò gli ornamenti trionfali come legato.
Dopo la disfatta di Teutoburgo, passò in Germania per riconquistare i territori perduti e si guadagnò un trionfo per i suoi successi contro Marsi e Bructeri.
Alla morte di Augusto, nel 14, dovette sedare delle ribellioni e sottolineare la sua fedeltà a Tiberio, quindi diede inizio a una serie di campagne offensive contro Catti, Cheruschi e Marsi, che lo spinsero sempre più a est, procurandogli la prestigiosa vittoria di Idistaviso (la rivincita di Roma contro i Germani).
Dopo aver celebrato un nuovo trionfo, Germanico svolse servizio in Oriente, dove venne a morte nel 19, forse per avvelenamento.
4. AGRICOLA, TRAIANO E SETTIMIO SEVERO
- AGRICOLA, 40 - 93 D.C.
Gneo Giulio Agricola ha conseguito vasta fama presso i posteri non tanto per le sue pur lusinghiere gesta, ma soprattutto perché, come suocero di Tacito, ha avuto largo spazio nelle sue opere, essendo oggetto addirittura di una biografia.
Intanto, non era un patrizio romano ma un uomo delle colonie, nato e cresciuto in Gallia.
Fece carriera sotto Vespasiano, per il quale fu legato in Aquitania tra il 74 e il 76; nel 78 divenne governatore della Britannia, dove aveva servito da tribuno nel 60, giovanissimo.
Condusse numerose campagne a nord contro i Caledoni, e fu nell’ultima che colse la sua più celebre vittoria, nella battaglia del Monte Graupio (83), sconfiggendo il nemico con il solo uso delle truppe ausiliarie e tenendo di riserva le legioni romane.
La sua alacre attività procurò a Roma la sottomissione di numerose tribù, ma l’imperatore Domiziano gli impedì di completare l’opera richiamandolo a Roma anzitempo e, dopo avergli concesso gli ornamenti trionfali, inducendolo a ritirarsi a vita privata.
Sopravvisse ancora otto anni, prima di venire a morte, forse per avvelenamento dietro ordine dell’imperatore. - TRAIANO, 53 - 117 D.C.
Poco si sa di Marco Ulpio Traiano prima che salisse al trono. Era figlio di un pubblico ufficiale della provincia Betica (l’attuale regione spagnola dell’Andalusia) salito fino al rango senatoriale.
Servì sotto Domiziano nell’89 quando, al comando di una legione in Spagna, fu inviato contro il ribelle Antonio Saturnino. L’imperatore Nerva lo nominò governatore della Germania Superiore, poi lo adottò come erede.
Divenuto sovrano nel 98, Traiano preparò con cura una campagna contro il regno dei Daci, che intraprese nel 101, penetrando nel cuore del territorio nemico; l’anno seguente la guerra si concluse con una pace di compromesso, che non evitò una nuova guerra di lì a un triennio.
Nella nuova campagna l’imperatore avanzò fino alla capitale nemica, Sarmizegetusa, espugnandola dopo un duro assedio, costringendo al suicidio il re Decebalo e celebrando, una volta tornato a Roma, un trionfo memorabile.
Poi, col desiderio di emulare Alessandro Magno, rivolse la sua attenzione alle terre dei Parti, verso le quali mosse nel 114. L’anno seguente si spinse fino alla capitale partica, Ctesifonte, che espugnò portando l’Impero romano alla sua massima espansione.
Negli ultimi due anni della sua vita dovette, però, sedare una ribellione dietro l’altra. - SETTIMIO SEVERO, 146 - 211 D.C. (foto)
Con lui le legioni divennero il vero motore dell’impero tramite l’investitura militare dell’imperatore: questi non era più un princeps che governava grazie al senato e alle istituzioni repubblicane, ma un dominus, il signore, che comandava senza più limiti.
Nato in Africa (a Leptis Magna), Lucio Settimio Severo giunse quindicenne a Roma, dove fu eletto questore 9 anni dopo, per poi prestare servizio in Sardegna nel 171. Trascorso un biennio, tornò in Africa, dove prestò servizio come luogotenente di un suo parente governatore.
Raggiunse il comando di una legione nel 180, in Siria, poi ricoprì una serie di governatorati, nella Gallia Lugdunense, in Sicilia e in Pannonia, dove le truppe lo elessero imperatore alla morte di Pertinace (192).
Ma c’erano da superare vari contendenti al trono imperiale, i militari appoggiati dalle loro legioni; si sbarazzò del primo marciando alla volta dell’Italia e provocando il crollo del rivale in Oriente, sottomettendo Osroeni, Adiabeni e Arabi Sceniti.
Gli restava un solo contendente, Clodio Albino, che deteneva la Gallia. Lo affrontò a Lione (196) vincendo e costringendolo al suicidio.
Rimasto padrone dell’impero, guerreggiò contro i Parti, in Africa, infine in Britannia, dove morì dopo 4 anni di campagne al nord contro Scoti, Pitti e Meati.
5. AURELIANO, COSTANTINO E EZIO
- AURELIANO, 214 CIRCA - 275 D.C.
Agli esordi della sua carriera, Lucio Domizio Aureliano fu tribuno militare contro Sarmati, Franchi e Goti, guadagnandosi la fama di duro, tanto da essere soprannominato manu ad ferrum, “mano alla spada”.
Raggiunse il grado di magister militum nel 268, combattendo contro Eruli e Goti. Una volta imperatore, fu costretto a fronteggiare subito un’invasione della Penisola italica da parte degli Iutungi.
Quindi mosse verso la Pannonia, dove respinse i Vandali, per poi tornare in Italia ad arginare una nuova invasione.
Nel frattempo, in Oriente la regina di Palmira, Zenobia, aveva defezionato dall’impero; Aureliano condusse contro di lei la più celebre delle sue campagne, vincendo i Palmireni a Immae. In seguito si spostò sul Danubio sconfiggendo i Carpi.
Senza un attimo di respiro, se non per cingere Roma delle mura che portano il suo nome, l’imperatore si trasferì all’altro capo dell’impero, in Gallia, sconfiggendo ai Campi Catalaunici (nel 274, nella Battaglia di Chalons) Tetrico, che aveva dato vita a un regno indipendente.
Spostatosi di nuovo in Oriente, cadde vittima di un complotto di corte. - COSTANTINO, 280 CIRCA - 337 D.C. (foto)
Era figlio del tetrarca Costanzo I Cloro, ovvero uno dei 4 imperatori (gli altri erano Diocleziano, Galerio e Massimiano) che si erano spartiti il governo dell’impero, suddiviso in diocesi.
Da giovane Costantino partecipò alle campagne contro i Blemmi in Egitto e poi contro i Persiani.
Deluso nell’aspettativa di entrare nel collegio imperiale, raggiunse il padre e combatté con lui in Britannia contro gli Scoti, conquistandosi la considerazione dell’esercito che, alla morte di Costanzo (305), lo elesse imperatore.
Galerio, che allora presiedeva la tetrarchia, dovette accettare il fatto compiuto, lasciando a Costantino mano libera nella difesa dei confini gallici, lungo i quali il nuovo sovrano inflisse numerose sconfitte a Franchi e Alemanni.
Nel 312, con una campagna lampo di tre mesi in Italia, il condottiero sconfisse l’usurpatore Massenzio a Ponte Milvio (a Roma), spartendosi poi l’impero con Licinio.
Presto i due entrarono in conflitto; una prima campagna terminò con la vittoria di Costantino a Cibalis (Pannonia, l’attuale Ungheria) nel 316, ma lo scontro decisivo avvenne nel 323, quando l’imperatore occidentale prevalse ad Adrianopoli e Crisopoli, rimanendo sovrano unico.
Da allora, Costantino avrebbe condotto altre campagne contro Goti e Sarmati sul Danubio. - EZIO, 390 CIRCA - 454 D.C.
Ultimo dei Romani, come è stato definito dai suoi contemporanei, proveniva dalla Silistria, una regione danubiana, e da giovane era stato ostaggio degli Unni, di cui si valse come alleati e mercenari nelle prime fasi della sua carriera.
Furono loro a evitargli la forca dopo che ebbe sostenuto un colpo di Stato nel 425, e ancora i barbari ad aiutarlo, cinque anni dopo, nel conflitto che lo oppose a Bonifacio, il rivale che gli disputava la carica di generale supremo dell’Occidente.
Sconfisse l’antagonista in duello, pur in modo sleale, costringendo la reggente Galla Placidia, che governava per conto del figlio, l’imperatore Valentiniano III, a confermarlo come magister militum (grado del tardo impero, l’equivalente di un generale supremo).
Negli anni seguenti, Flavio Ezio guerreggiò in Gallia per sedare le continue ribellioni di Visigoti e Burgundi, valendosi ancora per qualche anno degli Unni.
Nel 451 dovette allestire una coalizione di popoli federati (dagli stessi Visigoti agli Alani) per fronteggiare l’invasione gallica di Attila, che sconfisse ai Campi Catalaunici (nel 451); una volta scomparso il re unno, la dinastia regnante non ritenne più di valersi dei suoi servigi e fu lo stesso imperatore Valentiniano ad assassinarlo.