L’uomo ha sempre ambito a prevedere ciò che lo aspetta e oggi il traguardo sembra più vicino grazie all’impegno di un istituto dell’Università di Oxford e al social network Metaculus.
Del doman non v’è certezza? Mica tanto, almeno secondo il Future of Humanity Institute (Fhi) dell’Università di Oxford, diretto dal più importante teorico del transumanesimo: Nick Bostrom.
Ma cosa significa studiare o addirittura prevedere il futuro? Innanzitutto comprendere che esistono fenomeni prevedibili con scarso margine di errore.
Ma non basta: alcune grandi questioni che ci siamo abituati a considerare irrisolvibili potrebbero già possedere risposte con contorni delineati.
Non stupisce dunque l’interesse che sia il Fhi sia un altro istituto, il Future of Life Institute di Boston, dedicano al social network Metaculus – Mapping the future.
Pur essendo a registrazione libera, questo progetto è un luogo di incontro e dibattito tra scienziati (sopratutto fisici) e filosofi che, una volta aperta una pagina per rispondere a una domanda, cominciano a raccogliere informazioni e pareri che poi sarà possibile commutare attraverso un algoritmo volto a fornire la risposta statisticamente più probabile.
Metaculus orienta i progetti di ricerca scientifica e politica del futuro prossimo sulla base più probabile che la forma di questo stesso futuro potrebbe assumere.
Sin dai tempi di Aristotele i filosofi si interrogano sulla possibilità di assegnare un valore di verità certo a enunciati rivolti al futuro: come possiamo fare se la risposta non è verificabile?
Metaculus cerca di ovviare a questa difficoltà. Naturalmente alcune previsioni contano più di altre, per questo l’algoritmo è costruito in analogia a quello prodotto dall’Intelligence Advanced Research Projects Activity (Iarpa): il parere di un matematico in favore della soluzione della congettura dei numeri primi gemelli conterà più di quello di un filosofo, ma meno se sarà chiamato a esprimersi sui dipartimenti umanistici.
Se non possiamo vedere il futuro, possiamo almeno immaginarlo: solo lavorando in questa direzione possiamo tentare di trasformarlo in progresso.
Scopriamo allora le 5 previsioni con la più alta probabilità che possano avverarsi nel prossimo futuro.
1. Che il nostro universo prima o poi abbia fine?
Se «il mondo» abbia o non abbia fine è questione filosofica antica. Il problema è capirci su cosa intendiamo per «mondo» o, meglio, per «universo».
Con gli sviluppi più recenti dell’astrofisica «universo» è una parola che estende il suo significato dall’osservabile che vediamo attraverso i telescopi fino a tutto l’ipotetico percorso che attraversa i vari tipi di multiversi.
Che cosa dovrebbe dunque finire? Quando osserviamo una determinata epoca dell’universo attraverso la radiazione elettromagnetica (e ora gravitazionale) ci troviamo davanti a una sfera bidimensionale che possiamo pensare come il «cielo» visto a una certa distanza.
Chiamata observiball, questa regione osservabile possiamo pensarla come il passato: un cono di luce che contiene entro sé tutti gli eventi.
Girando al contrario il cono otteniamo invece una affectiball, una porzione spazio-temporale che noi, qui e ora sulla Terra, potremmo raggiungere se potessimo viaggiare alla velocità della luce.
Ecco dunque una buona parafrasi della domanda di partenza: questo cono di luce andrà avanti per sempre o finirà? Si calcola che la possibilità che la affectiball arrivi a una sorta di morte termica sia intorno al 70%, ma per adesso il dibattito è aperto e finché c’è luce nel cono, come dire, c’è speranza.
Almeno per noi che quando domandiamo se qualcosa ha una fine, ragioniamo sempre in relazione alla «nostra fine».
Si chiama pregiudizio (in inglese bias) antropocentrico: secondo quanto scrive Nick Bostrom nel libro Anthropic Bias. Observation Selection (Routdlege, 2002) è il problema essenziale che vizia la ricerca filosofica e scientifica.
PROBABILITA' CHE POSSA AVVERARSI: 70%
2. Che un robot intelligente riesca a fingersi umano?
Siamo sicuri di saper distinguere un automa da un essere umano?
Nel 1950 Alan Turing col suo celebre articolo Computing Machinery and Intelligence, pubblicato su «Mind», stabilisce un criterio, oggi noto come test di Turing, secondo cui l’unica macchina che potrebbe essere scambiata per un uomo è quella in grado di pensare (o di imitare il pensiero): ossia capace di concatenare idee e di esprimerle.
Di certo Turing non pensava a un forno a microonde, ma a qualcosa in grado di dialogare con qualcuno in modo talmente perfetto da apparire come soggetto e non come oggetto.
Nessun automa ha superato il test di Turing, fino a questo momento, riuscendo a fingersi umano attraverso il gioco imitativo per circa 20 domande... ma le cose sembrano cambiare.
Le possibilità che entro il 2017 un robot ce la faccia sono abbastanza alte e si aggirano intorno al 57%. Ma perché proprio 20 domande?
Ogni anno si tiene un concorso annuale di intelligenza artificiale, il premio Loebner, in cui si vince (per adesso, va da sé, nessuno ci è riuscito) solo se si porta un sistema artificiale in grado di comportarsi come un soggetto, attraverso un dialogo testuale, proprio per 20 domande.
Nell’ultima edizione un automa ha resistito, ovvero è riuscito a «fingersi umano», per circa l’89% del test.
Sembra tutto molto astratto, abituati come siamo a porre le domande vocali ai nostri smartphone ricevendo le più strane risposte, eppure un’epoca di indistinzione percettiva di umani e automi sembra vicina.
Per cui a questo punto, e qui la filosofia entra in gioco, sorge il problema se bisognerà attrezzarsi anche al rispetto di queste «macchine intelligenti».
PROBABILITA' CHE POSSA AVVERARSI: 57%
3. Che sia presto in vendita l’auto che si guida da sola?
Il mito fantascientifico della macchina che si guida da sola potrebbe essere meno mitologico e più reale di quello che pensiamo.
Comodità per automobilisti ormai stanchi di mettersi al volante?
Il punto di partenza, in realtà, è più commerciale che tecnologico o culturale: il progetto si chiama Self-driving car (Sdc) e negli intenti di chi l’ha pensato è più collegato al successo di applicazioni come Uber che ai romanzi di Isaac Asimov.
La possibilità di vedere in funzione un servizio commerciale di automobili completamente automatiche entro la fine del 2018 è data attualmente al 45% e si stima che tra Google, Tesla e Ford siano stati spesi già più di cinquecento milioni di dollari per sviluppare flotte di prototipi di quelle che sono già chiamate «macchine intelligenti».
Intelligenti e tuttavia maldestre, almeno per adesso, dato che i test non sono andati benissimo e alcune di queste vetture avveniristiche si sono addirittura schiantate nelle piste di prova.
Nonostante tutto, le probabilità che si verifichi l’errore umano alla guida sono piuttosto elevate rispetto all’ipotesi che a sbagliare sia la macchina automatizzata: per esempio la vettura non beve alcol e non abusa di stupefacenti, dunque la possibilità che combini dei guai è sempre la stessa. Se è bassa, resta bassa.
Una domanda non banale a cui nessuno ancora risponde è: per essere possessori di una macchina automatica sarà necessaria una patente o almeno un qualche certificato che dimostri la nostra piena conoscenza del codice stradale?
Da questa semplice questione dipende la passività o attività nei confronti del futuro di molta tecnologia.
PROBABILITA' CHE POSSA AVVERARSI: 45%
4. Che nel 2017 si capisca cos’è la materia oscura?
La materia oscura è un’ipotetica componente diversa dalla materia conosciuta.
«Opaca» perché non è direttamente osservabile, dato che non emette radiazioni elettromagnetiche e si manifesta unicamente attraverso gli effetti gravitazionali.
L’altro senso di oscurità, tuttavia, dipende dalle nostre incertezze anche teoriche nei suoi confronti.
Eppure, secondo gli osservatori di Metaculus, le cose cambieranno dopo la corretta ricezione della pubblicazione su «The Astrophysical Journal», avvenuta nel 2015, di un articolo di Gary Prézeau, scienziato della Nasa, a proposito delle dinamiche che riguardano la scoperta dei «filamenti» di materia oscura.
Secondo molti studiosi, se questi filamenti riusciranno ad avere supporto scientifico entro il 2017, come sembrerebbe, allora anche il più ampio problema della comprensione della materia oscura potrebbe cominciare a risolversi.
Prézeau prevede che se uno di questi gruppi di filamenti a grana fine passa attraverso un pianeta, la gravità ne comprimerà il flusso in regioni dense, dette anche «peli», che i punti di densità critica (radici) saranno poi in grado di rivelare attraverso un calcolo delle distanze specifiche tra i flussi e il centro del pianeta in questione.
Potranno dunque i filamenti di materia oscura ricevere una verifica scientifica osservabile entro la fine del 2017, consentendoci di arrivare a capo del problema della materia oscura nel giro di pochi anni?
Per adesso la possibilità è stimata al 44%. Google Scholar registra poche citazioni dell’articolo di Prézeau, ma su riviste estremamente rilevanti: autorevoli osservatori, dunque, credono che la soluzione del problema generale dell’inosservato della materia passi da qui.
PROBABILITA' CHE POSSA AVVERARSI: 44%
5. Che il Dna degli adulti sia modificabile nel 2017?
Un progresso considerevole nel campo dell’ingegneria genetica è stato fornito, attraverso l’utilizzo del metodo Crispr (Clustered regularly interspaced short palindromic repeats, «Brevi ripetizioni palindrome raggruppate e separate a intervalli regolari»), dalla scoperta di una sequenza di Dna batterico che codifica in modo chiaro e schematico un insieme a tre posti dato da una proteina (Cas9), dalla combinazione di Rna in grado di individuare una specifica sequenza di Dna, e dal filamento di Dna situato in quella posizione.
Questa schematicità ha concesso ai teorici della modifica genetica, e all’ingegneria che dovrà seguirne, di ipotizzare relative tecnologie volte alla «ricombinazione» del Dna preso in analisi.
Molti esperimenti basati sul metodo Crispr sono già avvenuti con successo in organismi molto complessi, tra cui topi adulti (purtroppo per loro) ed esseri umani embrionali.
In questo scenario la Editas, nota start up biotecnologica americana con sede in Massachusetts, ha annunciato che immagina di iniziare molto presto le sperimentazioni cliniche utilizzando Crispr per modificare il Dna degli esseri umani adulti affetti da malattie autoimmunitarie.
La possibilità che entro la fine del 2017 si possa modificare geneticamente un umano adulto sono dunque abbastanza alte (intorno al 41%) e tali possibilità potrebbero esulare dal campo della medicina curativa per spingersi fino a quello dell’innesto volto a potenziare le capacità più disparate di Homo sapiens.
Forse è proprio questo l’inizio delle «superintelligenze» di cui parla Nick Bostrom nel suo omonimo libro edito nel 2014 da Oxford University Press.
PROBABILITA' CHE POSSA AVVERARSI: 41%