Ridurre lo zucchero, pian piano fino ad abituarsi al sapore amaro, è la scelta migliore in termini di salute.
È solo una questione di allenamento: inizia gradualmente, così darai tempo al palato e al cervello di familiarizzare con i nuovi sapori, poi (garantito) nessuna nostalgia.
Ma se a qualcuno l’idea di rinunciare definitivamente al sapore dolce appare inconcepibile, si può sempre fare affidamento sugli edulcoranti naturali.
Si tratta di sostanze estratte dai vegetali, alcune delle quali hanno un potere dolcificante molto elevato, zero calorie e nessun impatto sulla glicemia: ne sono due esempi stevia ed eritritolo.
Anche se non aumentano il rischio di sovrappeso e diabete, non significa che queste alternative naturali, oppure quelle “etniche” che illustreremo nei nostri cinque punti che seguono, possano essere utilizzate senza limite né misura. La moderazione, anche in questo caso, è d’obbligo.
È bene sottolineare che molti dolcificanti naturali, anche a basso indice glicemico, sono fonte di fruttosio che, se è in eccesso provoca un accumulo di glicogeno nel fegato ed è associato a un elevato tasso di trigliceridi nel sangue.
Tutt’altro discorso per i dolcificanti artificiali. I più diffusi sono saccarina, acesulfame, aspartame e ciclamato, identificati con le sigle E954, E950, E951 e E952. Effettivamente hanno zero calorie e nessun impatto sulla glicemia.
Il costo ridotto e l’alto potere dolcificante li hanno resi ingredienti prediletti dall’industria alimentare: vengono usati in quasi tutti i prodotti che si dichiarano “senza zucchero” o “light” e nelle versioni “zero” delle bevande gassate.
Il problema è che alcuni sollevano dei dubbi riguardo la loro innocuità, soprattutto in caso di uso prolungato o eccessivo. Inoltre, anche se soltanto a scopo precauzionale, se ne sconsiglia l’uso in gravidanza e sarebbero da evitare durante l’infanzia.
Il consiglio è quello di ridurre al minimo indispensabile il consumo di dolcificanti sintetici, se non di evitarli del tutto. Se esistono dubbi sugli effetti negativi a lungo termine, su cui sono in corso alcuni studi, infatti, non c’è alcuna incertezza sugli effetti collaterali che causano se usati in modo sbagliato o esagerato.
L’acesulfame K ad esempio, in dosi oltre quelle consigliate (più di 15 mg per kg corporeo al giorno) può causare emicrania, nausea e, nei casi più gravi, problemi a fegato, reni, occhi e sistema nervoso.
L’aspartame invece non va usato in prodotti che vengono cotti o riscaldati, perché con le alte temperature genera una sostanza che si è rivelata tossica.
Non bisogna utilizzarne più di 40 mg per kg corporeo al giorno. Il consumo di dosi così elevate, comunque, è un’evenienza molto rara: un adulto di 70 kg dovrebbe prendere circa 140 compresse di dolcificante o circa 300 gomme da masticare in una sola volta per superare la quantità massima consentita.
Al di là dei possibili effetti collaterali, è sempre preferibile fare affidamento su prodotti che hanno praticamente le stesse virtù dei dolcificanti sintetici, ma che hanno origine naturale visto che sono estratti da vegetali e frutti.
Ma quali sono le alternative sane, tutte naturali con zero calorie che ci aiutano a sostituire il saccarosio? Scopriamo insieme le più utilizzate!
1. Eritritolo - La novità che si estrae da pere e meloni
L’eritritolo è un poliolo, cioè un carboidrato complesso di origine vegetale che viene estratto dalla frutta fermentata (soprattutto pere e meloni).
Sull’etichetta degli alimenti è identificato dalla sigla E968.
Solo recentemente questa sostanza è stata messa in commercio come dolcificante naturale: si trova puro oppure in abbinamento al fruttosio.
Anche se sapore e aspetto sono simili a quelli dello zucchero bianco da cucina, l’eritritolo presenta in effetti diversi vantaggi rispetto a questo e ai dolcificanti sintetici:
- un indice glicemico pari a zero,
- calorie praticamente inesistenti,
- un buon potere dolcificante (l’80% del saccarosio),
- nessun retrogusto.
Inoltre non provoca carie ed è facilmente assorbito dall’intestino.
Nonostante quest’ultimo punto, se consumato in eccesso - come tutti i polioli - può avere effetti lassativi: si sconsiglia quindi di consumarne più di 30 g al giorno.
È indicato soprattutto per bevande e preparazioni calde che, favorendo la sua solubilità, consentono il rilascio del potere dolcificante.
2. Stevia- Le foglioline super-dolci
La Stevia rebaudiana è una pianta di origine sudamericana conosciuta nel continente anche come “erba zuccherata”. Non è un caso.
Da questo vegetale si estrae infatti l’omonimo dolcificante naturale a zero calorie, a impatto glicemico nullo e soprattutto fino a 300 volte più dolce del saccarosio.
Il potere dolcificante della stevia è merito della rebaudioside A, principio attivo contenuto nelle foglie.
In commercio si trovano le compresse, l’estratto liquido e quello in polvere: si possono usare a casa per dolcificare yogurt, torte, mousse, bevande o impasti e, visto il grado di dolcezza, ne basta davvero pochissima.
Se ci si limita alle dosi d’uso di un normale dolcificante, la stevia non ha particolari controindicazioni, ma alcune ricerche hanno notato che un consumo esagerato può causare un abbassamento eccessivo della glicemia e della pressione.
La stevia ha un naturale sapore che ricorda la liquirizia
3. Amasake - La crema orientale (e casalinga) che viene da riso e cereali
Arriva dal Giappone l’amasake, dolcificante naturale che si ottiene dalla fermentazione dei cereali, in genere riso, ma anche avena e miglio.
Questa fermentazione è opera di un microrganismo, il fungo koji, che scinde l’amido dei chicchi in zuccheri più semplici.
I vantaggi dell’amasake sono numerosi:
- prima di tutto ha poche calorie, circa un terzo del saccarosio;
- è ricco di fibre e nutrienti;
- viene assorbito molto lentamente, dunque non provoca picchi glicemici.
Si presenta come una pasta più o meno densa dal sapore dolce: vista la consistenza, è ideale per preparare budini e dessert al cucchiaio, ma può anche essere gustato così com’è.
Si può acquistare online o nei negozi specializzati, ma non è difficile prepararlo in casa. Basta lessare 500 g di riso integrale (oppure di miglio o avena), lasciarlo raffreddare in un contenitore di vetro e aggiungere 250 g di fungo koji (si compra in alcuni negozi specializzati o su internet).
Copri e lascia per 24 ore al sole o vicino a un calorifero: la temperatura ideale è di circa 25 °C, se dovesse essere inferiore i tempi di fermentazione diventano più lunghi.
L’amasake è pronto quando emana un odore dolce ed è privo di granuli. A questo punto aggiungi mezzo litro di acqua e lascia bollire per almeno mezz’ora, mescolando spesso.
Si conserva in frigorifero in un contenitore chiuso ermeticamente per non più di due settimane.
4. Polvere di mesquite - La farina messicana da utilizzare anche in cucina
Dal gusto naturalmente dolce (simile alla melassa, con un retrogusto di nocciola e caramello), con un IG basso e ricchissima di nutrienti, la polvere di mesquite è la farina che si ricava dai fagioli dell’omonimo albero, conosciuto anche come carruba americana.
La pianta dai lunghi baccelli cresce nelle zone aride nel sud-ovest degli Stati Uniti e nel nord del Messico.
La polvere che vi si ricava viene usata da sempre come alimento dalle popolazioni dei nativi americani e oggi, anche se non è ancora molto diffusa, si trova in alcuni negozi specializzati e online.
La farina di mesquite contiene fruttosio e fibre solubili (ma anche proteine, lisina, calcio, magnesio e zinco): un abbinamento che consente un assorbimento lento, anche degli altri zuccheri e nutrienti, senza picchi glicemici.
Puoi usarla negli impasti come alternativa alla farina raffinata: così eviti o riduci l'utilizzo di ulteriori dolcificanti.
Puoi anche usarla per preparare una bevanda ideale per la colazione o gli spuntini: basta aggiungere 4 cucchiaini di polvere di mesquite a una tazza di latte di soia, mescolare e scaldare in microonde per 30 secondi.
5. Zucchero di cocco - I granelli bruni fonte di vitamine e sali minerali
Lo zucchero di cocco è il dolcificante naturale che si ricava dalla linfa dei fiori della palma di cocco, coltivata sull'isola di Bali.
Non ha il sapore della noce, ma piuttosto quello dello zucchero di canna.
Si distingue dal normale zucchero bianco da cucina per tre caratteristiche fondamentali:
- La prima: è di colore bruno, perché il nettare viene prima bollito e poi lasciato essiccare per ottenere la cristallizzazione.
- La seconda: mentre il saccarosio contiene le cosiddette “calorie vuote”, cioè prive di nutrienti, lo zucchero di cocco è una fonte di sali minerali, tra cui potassio, zinco e ferro, vitamine, soprattutto quelle del gruppo B, proteine, molte fibre solubili e inulina.
- La terza: ha un basso indice glicemico (35). Avendo tra l’altro un potere dolcificante intenso si tende a usarne meno.
Lo zucchero di cocco si trova in commercio anche con il nome gulamerah, come viene chiamato a Bali.
Può essere sostituito allo zucchero bianco in qualunque contesto e ricetta, sempre senza eccedere nelle dosi: è pur sempre zucchero, anche se più ricco di nutrienti e a basso IG!