C’è un fenomeno che accomuna tutti gli esseri umani, di qualsiasi età, genere, cultura e spessore di portafoglio: il pianto.
Pensateci bene: piangono i neonati e gli anziani, i bambini, i giovani e gli adulti di mezza età; piangono gli uomini, le donne e le persone del terzo sesso.
Che piangano i poveri lo sappiamo bene e che “Anche i ricchi piangono” ce lo ricorda una celebre telenovela messicana del 1980.
Piangono i cittadini in tempi di crisi e un po’ coccodrillescamente piangono anche i politici in pubblico.
Molti ricorderanno le lacrime dell’ex ministra del Welfare Elsa Fornero nel dicembre 2011, del presidente Usa Barack Obama, ricordando le piccole vittime della strage di Newtown nel gennaio 2016 e di Federica Mogherini, alto rappresentante per la politica estera della Ue nel marzo 2016, dopo la strage terroristica di Bruxelles.
Lo dice la scienza: piangere è il modo più efficace per comunicare il nostro stato d’animo e ottenere la comprensione e l’aiuto altrui.
In più ha un effetto liberatorio e ci fa tornare più presto in equilibrio. Del resto, lo dicevano anche le nostre nonne: «Piangi che ti passa…»
1. Ci sono tre tipi di lacrime
Le lacrime non sono tutte uguali.
In base alla composizione chimica, infatti, se ne possono distinguere tre tipi: basali, da irritazione ed emotive.
- Le lacrime basali sono costantemente prodotte a un tasso di 1-2 microlitri al minuto e servono a mantenere la cornea lubrificata; sono a base d’acqua al 98 per cento, con proteine, elettroliti, lisozima (un potente battericida) e oleamide (un acido grasso); raramente fuoriescono dagli occhi.
- Le lacrime da irritazione sono quelle che si producono quando affettiamo una cipolla o ci entra qualcosa in un occhio. Sono il modo in cui l’occhio reagisce e ripristina l’equilibrio perduto.
- Le lacrime emotive, in fine, sono prodotte durante una crisi di pianto causata da un’emozione intensa.
Presentano una composizione chimica diversa e contengono un quantitativo significativamente più alto di prolattina, di ormone adrenocorticotropo, di leucina-encefalina (un oppioide endogeno e potente anestetico), potassio e manganese.
Sono anche leggermente più dense rispetto alle lacrime da irritazione, perciò i ricercatori pensano che si siano evolute per una ragione diversa dalle prime due tipologie.
2. Le lacrime dicono più delle parole
Le lacrime emotive sgorgano non solo per tristezza o disperazione.
Noi adulti piangiamo per rabbia, frustrazione o senso di impotenza; quando l’ansia, la stanchezza o lo stress diventano insopportabili; di gioia e di commozione, davanti a un’opera d’arte o ascoltando un brano musicale; per empatia, quando vediamo altri piangere.
Come sottolinea l’olandese Ad Vingerhoets, docente della Tilburg University e massimo esperto mondiale sul tema, il pianto è innescato da emozioni diverse, ma in tutti i casi è un fenomeno visibile, che comunica come stiamo in modo evidente.
Le lacrime sono sempre associate a un’alterazione visibile dell’espressione facciale e del ritmo respiratorio (i cicli di inspirazione ed espirazione si fanno più brevi), e il cambiamento nella tensione delle corde vocali muta il nostro modo di parlare.
Da questa constatazione è partito Vingerhoets per elaborare una nuova ipotesi sulla funzione del pianto: le lacrime dicono più delle parole, cioè svolgono un’importante funzione comunicativa.
Segnalando la nostra vulnerabilità, disinnescano l’aggressività e veicolano un’implicita richiesta di aiuto o sostegno, cui in generale gli altri rispondono facilmente perché noi umani siano animali empatici.
Vingerhoets non è l’unico studioso a sottolineare il significato sociale delle lacrime: concordano con lui anche lo psichiatra inglese John Bowlby, secondo il quale il pianto nasce nella comunicazione preverbale tra madre e neonato, e il neurologo britannico Michael Trimble, che sottolinea la potenza delle lacrime come strumento per sviluppare legami empatici e rinsaldare la coesione sociale.
Come ogni altro fenomeno “sociale”, anche le lacrime sono soggette alla variabilità culturale: in alcune culture sono ben accette, in altre meno. In alcune segnalano sensibilità e compassione, in altre isteria e debolezza.
3. Restano ancora molti misteri e perché le donne piangono più degli uomini?
La tesi che sottolinea la funzione comunicativa e sociale delle lacrime è oggi dominante, ma non è ritenuta soddisfacente da tutti gli studiosi.
Alcuni sottolineano che piangiamo emotivamente anche quando siamo soli, altri che il fenomeno è troppo complesso per essere ridotto a una sola funzione.
Alcuni ricercatori hanno avanzato l’ipotesi che piangere abbia un effetto catartico e liberatorio. Sono i sostenitori della teoria del recupero, secondo cui il corpo ritroverà l’equilibrio più facilmente dopo un pianto liberatorio.
La tesi è però assai controversa perché sino a oggi nessuno ha mai scientificamente dimostrato che il pianto possa avere effetti positivi sulla salute.
Restano in fine da chiarire altri aspetti misteriosi del pianto; per esempio, ci sono persone che non piangono mai e non si comprende perché.
E poi: siamo davvero gli unici animali che possono piangere per una emozione, come sostiene Michael Trimble, oppure no?
In conclusione, la ricerca sul pianto è ancora agli inizi, ma una cosa gli studiosi come Vingerhoets e Trimble hanno già chiara: le lacrime non vanno affatto prese sottogamba.
Ma perché le donne piangono più degli uomini? Secondo una ricerca della Società tedesca di Oftalmologia, le donne piangono tra 30 e 64 volte all’anno, gli uomini tra 6 e 17 volte. Le crisi di pianto maschili durano in media 2-4 minuti, quelle femminili 6.
Quando piangono, le donne lacrimano e singhiozzano nel 65 per cento dei casi, gli uomini solo nel 6. Perché queste differenze? A giudizio degli studiosi ci potrebbero essere ragioni sia biologiche sia culturali.
In alcune culture, il pianto di un uomo adulto è considerato un riprovevole segno di debolezza e il condizionamento sociale fa sì che i maschi sin dall’adolescenza si sforzino di controllare le lacrime in pubblico.
Dal punto di vista biologico, la minor propensione al pianto degli uomini potrebbe essere correlata agli alti livelli di testosterone e la maggior propensione delle donne agli alti livelli di prolattina, un ormone che promuove la lattazione ed è coinvolto nella produzione di lacrime.
4. Secondo gli antichi il pianto sgorgava dal cuore
Nell’antichità era assai diffusa l’idea che il cuore, centro del pensiero, fosse la sorgente primaria del pianto.
- L’Antico Testamento, per esempio, descrive le lacrime come prodotte dall’indebolimento e dall’annacquamento del cuore.
- La medicina ippocratica, diffusa nell’antica Grecia e a Roma, considerava le lacrime alla stregua di un umore direttamente prodotto dal cervello.
- In epoca medievale e moderna, proseguì la convinzione che fossero secrete dal cervello a causa di una rottura degli equilibri tra i quattro umori che pervadevano il corpo (sangue, flemma, bile nera e bile gialla).
- Nel Seicento il filosofo francese Cartesio elaborò la teoria secondo la quale alcune emozioni molto intense producono un aumento dell’afflusso di sangue agli occhi; quando il sangue caldo incontra i vapori freddi dell’occhio, per condensazione si generano le lacrime.
- Nel 1662 uno scienziato danese di nome Niels Stensen scoprì che le lacrime sgorgano dalla ghiandola lacrimale e avanzò l’ipotesi che la loro funzione fosse quella di umettare l’occhio e mantenerlo idratato e pulito.
- Secondo Charles Darwin, nel 1872, noi esprimiamo le emozioni per alleviare l’angoscia; i bambini, in particolare, piangono per esprimere il loro disagio e ricevere aiuto. Il pianto sarebbe un comportamento tipico tra i mammiferi con evidenti vantaggi evolutivi (chi chiede aiuto è più facile che l’ottenga).
- L’ipotesi di Darwin non ebbe però molto successo: nel Novecento gran parte degli studiosi rimase fedele all’idea che la sola funzione delle lacrime fosse quella di umettare l’occhio, eliminando dalla cornea corpi estranei e batteri.
5. Attori, cipolle, coccodrilli & Co.
- Come fanno gli attori a piangere a comando?
Nelle scuole di recitazione si insegnano due tecniche: come richiamare alla memoria eventi della propria vita passata particolarmente tristi o come entrare nel personaggio sino a “sentire” il suo dolore.
Se le lacrime non vengono, gli attori ricorrono al celebre tear stick Kryolan.
Si tratta di uno stick di morbida cera incolore mescolata a mentolo e canfora, simile nell’aspetto a un burro cacao da applicare su un cotton fioc nell’angolo interno dell’occhio o appena sotto la rima palpebrale. Dopo qualche secondo fa versare tutte le lacrime del mondo. - Perché le cipolle ci fanno piangere?
Quando affondiamo il coltello in una cipolla (Allium cepa) inneschiamo una serie di reazioni chimiche. Le cellule del tessuto vegetale vengono danneggiate e liberano per reazione un enzima detto allinasi, che a sua volta determina la produzione di una sostanza, l’isoallinina, chiamata anche “precursore lacrimogeno”.
L’isoallinina si trasforma in acido sulfenico che, grazie a un altro enzima, dà origine a una molecola, il sinpropanethial-S-ossido, detto “fattore lacrimogeno”.
Quest’ultimo si disperde nell’aria circa 30 secondi dopo aver infilato il coltello nella cipolla e arriva al film lacrimale dei nostri occhi, dove reagisce con l’acqua e forma acido solforico, un composto molto irritante per la cornea; i nostri occhi cercano immediatamente di diluirlo aumentando la produzione di liquido lacrimale e così piangiamo. - Perché si dice “lacrime di coccodrillo’’?
Con questa curiosa espressione noi italiani indichiamo un pianto scenografico e ipocrita, espressione di un rimorso più simulato che genuino.
Si tratta di un modo di dire antico, attestato già in epoca greca, e comune a molte altre lingue; in inglese, per esempio, chi versa crocodile tears piange lacrime finte e compiaciute.
L’origine di questa curiosa espressione va ricercata nell’idea antichissima secondo cui i coccodrilli verserebbero lacrime di pentimento dopo aver divorato le proprie prede.
Un’idea falsa, anche se i coccodrilli lacrimano davvero per lubrificare i propri occhi. - Quando piangere era addirittura un mestiere
Il lavoro più antico del mondo non è quello della prostituta, bensì quello della “prefica”, la lamentatrice di professione che dietro compenso partecipa a un rito funebre stracciandosi le vesti, lamentandosi, gridando, piangendo e cantando lugubri nenie in onore del defunto.
Ancora nella seconda metà del secolo scorso in Italia se ne potevano incontrare molte.
Nella Grecia salentina, per esempio, erano dette répute o chiangimorti e lavoravano spesso a coppie; nella provincia di Cosenza, in Calabria, erano chiamate chiagnitare.
In Piemonte i funerali erano aperti dalle grida delle piagnone, mentre in Lombardia, nelle province di Mantova e Cremona, si assoldarono le piansune fino agli inizi del Novecento.