Accusata di cospirazione con i nemici della Rivoluzione, nel 1793 la moglie di Luigi XVI fu condotta davanti a un tribunale rivoluzionario.
Dopo un processo durato solo due giorni, la “vedova Capeto” fu condannata alla ghigliottina.
Secondo un osservatore della polizia, dopo l’esecuzione di Maria Antonietta molti lanciarono in aria i cappelli, «e tutti gli spettatori applaudirono vedendo la sua testa».
Altri, invece, «la maggior parte di quelli attorno a me», si preoccupavano per le rappresaglie dei nemici sui prigionieri francesi.
Per altri ancora, «sarebbe stato meglio ghigliottinarla per prima e lasciare Luigi Capeto tra di noi; è stata lei a fare tutto il male».
La fine della regina – Cronologia
- 1789 La folla assalta Versailles e costringe i sovrani a trasferirsi a Parigi.
- 1791 Maria Antonietta convince il marito a fuggire da Parigi, ma sono catturati.
- 1792 La famiglia reale viene condotta al Temple. Nel gennaio 1793, Luigi XVI viene ghigliottinato.
- 1793 Processata e giudicata colpevole di alto tradimento, Maria Antonietta viene giustiziata.
1. Una regina molto impopolare
Sebbene nei 23 anni di matrimonio, 18 dei quali da sovrani di Francia, non fossero mancati screzi e incomprensioni, la loro unione si era rinsaldata allo scoppio della Rivoluzione nel 1789, e ancor di più dopo l’insurrezione del 10 agosto 1792, che portò alla caduta della monarchia e alla reclusione della famiglia reale nella Tour du Temple.
Il re sapeva che la sua morte non avrebbe soddisfatto i rivoluzionari e che Maria Antonietta era in grave pericolo per via della sua enorme impopolarità.
Il suo atteggiamento altero, i suoi sprechi e l’innegabile influenza politica che aveva esercitato sul marito l’avevano fatta diventare la bestia nera dei rivoluzionari.
Dopo la morte del re, Maria Antonietta rimase rinchiusa nella Tour du Temple assieme ai suoi due figli, Maria Teresa e Luigi Carlo, e alla sorella di Luigi XVI, Elisabetta.
Sprofondata in un profondo dolore, «non aveva più alcuna speranza nel cuore né distingueva tra la vita e la morte», scrisse la figlia anni dopo. Non era chiaro che cosa sarebbe stato di lei.
Durante il processo al re si era ventilata l’ipotesi che fosse deportata, o nel suo Paese natale, l’Austria, o addirittura negli Stati Uniti, come aveva proposto uno dei loro Padri fondatori, Thomas Paine.
Dopo l’esecuzione di Luigi XVI, i rivoluzionari parevano essersi dimenticati dell’odiata sovrana. La situazione, però, cambiò alla fine del marzo 1793, con la recrudescenza della guerra che dall’anno precedente la Francia rivoluzionaria combatteva contro le potenze europee.
La vittoria dell’esercito austriaco a Neerwinden, vicino a Liegi, fece temere un’offensiva diretta contro Parigi, e ciò ebbe come conseguenza un’accelerazione del processo rivoluzionario.
Agli inizi di aprile fu istituito il Comitato di Salute Pubblica, e due mesi dopo una sollevazione popolare espelleva i moderati girondini dalla Convenzione Nazionale e dava il potere ai giacobini, il partito dei democratici radicali guidato da Robespierre.
2. L’austriaca traditrice
In questo clima di massima tensione, Maria Antonietta divenne nuovamente il bersaglio dei rivoluzionari.
Si diceva che i suoi contatti segreti con la sua famiglia austriaca avessero provocato l’invasione e, con essa, il sacrificio di decine di migliaia di soldati francesi.
Un pamphlet dell’epoca proclamava: «Anni fa, migliaia di uomini sono stati assassinati perché esisteva in Francia una donna malvagia per la quale il vapore che emana il sangue umano che scorre a fiumi era un profumo delizioso».
Come qualsiasi altro controrivoluzionario e traditore, Maria Antonietta doveva essere giudicata e condannata. Il 1° agosto, alla Convenzione il deputato Bertrand Barère si interrogava sulle ragioni per cui la Francia si vedeva attaccata su più fronti: «È forse l’oblio dei delitti dell’Austriaca? È la nostra indifferenza per la famiglia Capeto che ha ingannato i nostri nemici? Ebbene, è tempo di estirpare tutti i rampolli del potere reale!».
Quello stesso giorno, la Convenzione approvò il trasferimento della regina dal Temple alla Conciergerie per metterla a disposizione del tribunale rivoluzionario.
Già nelle settimane precedenti il regime carcerario cui era sottoposta Maria Antonietta era andato facendosi sempre più duro.
Ai primi di luglio, con il pretesto che si stava tramando un complotto per liberare suo figlio e proclamarlo re, la separarono brutalmente dal bambino, che posero sotto la custodia del ciabattino Antoine Simon.
Alla Conciergerie, Maria Antonietta fu rinchiusa in una piccola cella sotto la vigilanza costante di due guardie. La sua situazione era resa ancor più penosa dal fatto che ormai era gravemente malata.
La tubercolosi, che aveva fatto strage nella sua famiglia, aveva colpito anche lei, e inoltre soffriva di emorragie, probabile indizio di un incipiente cancro all’utero.
3. «Il flagello dei francesi»
Sapendo che la Conciergerie era l’anticamera della ghigliottina, alcuni fedeli alla monarchia organizzarono vari tentativi di liberare la regina.
La più nota è la cosiddetta congiura del garofano, dal nome dei fiori che, il 28 di agosto, il cavaliere Alexandre de Rougeville lasciò cadere ai piedi della regina durante una visita alla sua cella.
Nascosto tra i garofani, un messaggio prometteva la sua liberazione. Più tardi, Rougeville e l’ispettore delle carceri Jean-Baptiste Michonis tornarono alla cella di Maria Antonietta per esporle i dettagli della fuga, prevista per la notte del 2 settembre.
Sembrava che l’operazione potesse avere successo, ma all’ultimo momento, la guardia Jean Gilbert, al quale fu promessa una considerevole somma di denaro per lasciarla evadere, decise di trattenerla.
Il 3 ottobre, la Convenzione decise che il processo di Maria Antonietta doveva avere inizio immediatamente.
Il giorno 12 svegliarono Maria Antonietta nel cuore della notte e la condussero davanti al presidente del Tribunale Rivoluzionario, Martial Joseph Armand Herman, e del pubblico accusatore, Antoine Fouquier-Tinville, per un interrogatorio segreto.
Quando questo ebbe termine, le offrirono due avvocati difensori, Chauveau-Lagarde e Tronson du Coudray, che ebbero solamente un giorno di tempo per esaminare caso.
Il giorno 14, la regina comparve infine davanti al tribunale. La fecero sedere su un podio al centro della sala, dinanzi al presidente, al pubblico accusatore e ai dodici membri della giuria.
Un testimone a sfavore dichiarò che «Antonietta fingeva la calma dell’innocenza, ma i suoi sguardi erano arroganti e non tranquilli; scrutava con gli occhi i presenti e sembrava sorpresa dallo spaventoso silenzio che osservava il popolo».
Fouquier-Tinville lesse l’atto d’accusa, nel quale le si imputava di aver istigato il tradimento di Luigi XVI (nella foto) quando aveva cercato di lasciare la Francia (la fuga di Varennes, nel giugno del 1791), di aver cospirato con i nemici della Francia e di aver sperperato fondi pubblici.
Fouquier-Tinville concludeva così: «Preso esame di tutti gli atti trasmessi dall’accusatore pubblico, ne risulta che, parimenti a Messalina, Brunilde, Fredegonda e Caterina de’ Medici, qualificate un tempo regine di Francia, e il cui nome per sempre odioso mai si cancellerà dai fasti della storia, Maria Antonietta, vedova di Luigi Capeto, dal giorno della sua venuta in Francia è stata sempre il flagello e la sanguisuga dei francesi».
4. Condannata a morte
Furono quarantuno i testimoni che, suddivisi in quattro sedute celebrate in due giorni, deposero nel processo alla regina.
Erano ministri, servi o gendarmi che avevano avuto un rapporto diretto con la regina e che, quindi, dovevano aver assistito personalmente agli atti criminali di Maria Antonietta.
Tuttavia, nessuno addusse prove materiali dei fatti, e nelle loro dichiarazioni si limitarono a riferire voci o formulare accuse generiche influenzate dalla propaganda del momento.
Per esempio, un certo Rossillon, «chirurgo e artigliere», la accusò «di essere l’istigatrice dei massacri che sono avvenuti in diversi luoghi della Francia [...] e di aver contribuito a portare la Francia sull’orlo del baratro».
Quando, al termine dell’ultima udienza, il presidente Herman domandò a Maria Antonietta se volesse dire qualcosa in propria difesa, lei rispose: «Ieri non conoscevo i testimoni e non sapevo che cosa avrebbero detto.
Ebbene, nessuno ha pronunciato niente di positivo su di me. Chiudo osservando che fui soltanto la moglie di Luigi XVI e che dovevo pure conformarmi alla sua volontà».
Fouquier-Tinville confermò allora le sue accuse e subito dopo gli avvocati difensori improvvisarono arringhe nelle quali tentarono di convincere i membri della giuria della mancanza di prove dei crimini che si attribuivano a Maria Antonietta.
Molto accorato fu Chauveau-Lagarde, che contestò l’accusa di una «presunta cospirazione con le potenze straniere» e che la regina ringraziò di tutto cuore.
Tronson-du Coudray contestò l’accusa della sua «presunta cospirazione con i nemici all’interno della nazione». Al termine degli interventi, che furono ascoltati «in assoluto silenzio» dal pubblico, gli avvocati vennero arrestati nella stessa sala delle udienze.
L’accusata fu condotta in un’altra stanza, dopo di che il presidente del tribunale pronunciò un’arringa davanti alla giuria nella quale reiterò tutte le accuse e insisté nel dire che non era il momento di soffermarsi sulle prove materiali né di cedere al «sentimento di umanità».
Bastava la testimonianza delle migliaia di rivoluzionari e soldati morti negli ultimi cinque anni «a causa delle macchinazioni infernali» di Maria Antonietta.
I giurati si ritirarono per deliberare e in capo a un’ora dichiararono la regina colpevole di connivenza con il nemico e cospirazione contro la Repubblica, insomma di alto tradimento.
Ricondotta nella sala, la regina ascoltò il pubblico ministero Fouquier-Tinville, che richiese la pena di morte, e poi il verdetto pronunciato dal presidente: «La corte, dopo la dichiarazione unanime della giuria, ascoltata la requisitoria del pubblico ministero, e secondo le leggi da questi citate, condanna la suddetta Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena, vedova di Luigi Capeto, alla pena di morte».
La sentenza doveva essere eseguita in Place de la Révolution (oggi Place de la Concorde).
5. Verso il patibolo
Alle quattro del mattino, Maria Antonietta lasciò il tribunale e fece ritorno in cella.
Per la prima volta da mesi aveva a disposizione carta e penna, che usò per scrivere un’ultima lettera alla cognata Elisabetta: «Sono stata condannata non a una morte vergognosa, essa non è tale che per i delinquenti, ma a raggiungere vostro fratello; innocente come lui».
Nella missiva, che Elisabetta non ricevette mai, Maria Antonietta le chiedeva di prendersi cura dei figli e concludeva: «Chiedo perdono a tutti quelli che conosco e perdono a tutti i miei nemici il male che mi hanno fatto».
La giornata di mercoledì 16 ottobre 1793 si presentava mite, con una leggera foschia. Con un semplice vestito bianco, una cuffietta, i capelli tagliati corti e le mani legate dietro la schiena, Maria Antonietta uscì dalla Conciergerie verso le undici del mattino.
Tutta Parigi si era riversata nelle vie per assistere al corteo. La gente che gremiva tetti e balconi fischiava e insultava la regina, che era diventata l’incarnazione del male.
Secondo un testimone oculare, lei «volgeva tranquillamente lo sguardo sul popolo innumere che gridava “Viva la Repubblica!”». Ci fu soltanto un momento in cui si emozionò, alla vista del palazzo delle Tuileries.
Quando giunse al patibolo, però, si ricompose e recuperò la calma. Un testimone riassunse così la sua esecuzione: «Alle dodici e un quarto in punto la sua testa cadde sotto la spada vendicatrice delle leggi e il boia la mostrò al popolo, che acclamò ripetutamente gridando “Viva la Repubblica! Viva la libertà!”»