Il Natale è la festa più importante dell’anno.
Il nome “Natale” deriva dal latino “natalis” e significa “relativo al nascere”.
Già nell’antica Roma, prima della nascita di Gesù Cristo, si festeggiava, nel mese di Aprile, il “natalis Romae” – ovvero l’anniversario della nascita della città di Roma – e il “natalis solis”, ovvero il ritorno del sole (solstizio d’inverno) nel mese di Dicembre.
Natale è una festa unica per tutti ma soprattutto per la letteratura, onorata da alcune delle sue principali opere dedicate al giorno più luminoso e festoso dell’anno.
Dagli innumerevoli libri natalizi, scritti negli ultimi due secoli in tutto il mondo (grandi autori, classici, bestseller, biografie ecc.), noi abbiamo selezionato cinque titoli tra i più importanti (e più entusiasmanti) di sempre.
Scopriamoli insieme.
1. “Le lettere di Babbo Natale” di John R. R. Tolkien
Il 25 dicembre 1920 J.R.R. Tolkien cominciò ad inviare ai propri figli lettere firmate Babbo Natale.
Infilate in buste bianche di neve, ornate di disegni, affrancate con francobolli delle Poste Polari e contenenti narrazioni illustrate e poesie, esse continuarono ad arrivare a casa Tolkien per oltre trent'anni, portate dal postino o da altri misteriosi ambasciatori.
Una scelta di questi messaggi annuali, trascritti a volte in forma di colorati logogrifi, formano questa fiaba intitolata "Le lettere di Natale", scritta a puntate da un Tolkien non tanto in vena di paterna e didattica allegria, quanto in groppa all'ippogrifo della sua fantasia filologica e ironica.
John R. R. Tolkien fu uno scrittore inglese. Autore di notevoli opere filologiche sulle leggende medievali sassoni e celtiche, docente di lingua e letteratura inglesi a Oxford (1925-1959), ha scritto alcuni famosi romanzi ispirati a motivi della letteratura fantastica medievale: "Lo Hobbit" (1937) e la trilogia de "Il signore degli anelli" (1954-55).
Il successo di questi romanzi, che nel loro insieme costituiscono un'unica saga, è stato tale da costituire un fenomeno socioculturale molto importante.
Tolkien è riuscito, nonostante la complessità degli intrecci, a creare una mirabile fusione tra motivi apparentemente disparati che, in realtà, interpretano sia le inquietudini, sia i sogni del nostro tempo.
Se da un lato lo scrittore costruisce con deliziosa e ricca inventiva un racconto di pura evasione, dall'altro evidenzia nel comportamento dei protagonisti non i lati erotici e cavallereschi, ma virtù quotidiane, quali il buonsenso, la perseveranza, la pazienza.
2. “Emma“ di Jane Austen
Emma Woodhouse è una giovane ricca e sfrontata, con una sola passione: combinare matrimoni.
Dopo aver trovato marito alla governante che le ha fatto da madre, si dedica con grande determinazione a Harriet Smith, una ragazza povera e ingenua, che spera di poter spingere tra le braccia del reverendo Elton.
Anche se il tentativo si rivela fallimentare, Emma continua a intrecciare flirt con l'indipendenza di chi non teme i sentimenti, finendo però per cadere lei stessa vittima delle proprie manovre.
Con "Emma" Jane Austen crea un'eroina che, secondo le parole della stessa autrice, non poteva piacere ad altri che a lei: una protagonista ben consapevole della propria bellezza e intelligenza, presuntuosa e pungente, ma di uno spessore umano complesso e sfaccettato, capace d'incantare i lettori d'ogni epoca.
"Sono andata a scegliermi un'eroina che nessuno tranne me potrebbe amare...": così diceva, della protagonista, la sua creatrice.
Emma Woodhouse è una giovane donna intelligente, indipendente, che ha sviluppato una forte individualità e una decisa coscienza della propria posizione sociale.
E tuttavia è straordinariamente cieca di fronte ai sentimenti: propri e altrui. Jane Austen costringe la sua eroina a una tardiva quanto autoironica presa di coscienza, attraverso la quale prende forma anche la sua sottile critica dei costumi, della vanità e dell'egoismo, visti alla luce di una profonda comprensione dell'animo umano.
Jane Austen (Steventon, Hampshire, 16/12/1775 - Winchester , 1817) fu una scrittrice inglese. Compì la sua educazione quasi interamente in casa, sotto la guida del padre ecclesiastico.
Nel 1801 si trasferì con la famiglia a Bath; nel 1805, dopo la morte del padre, a Southampton; poi, nel 1809, a Chawton, Hampshire, dove scrisse quasi tutti i suoi romanzi.
Profondamente attaccata alla famiglia, in particolare alla sorella Cassandra, la Austen non si sposò mai e trascorse un’esistenza raccolta e casalinga, interrotta solo da brevi visite a Londra e ai luoghi di villeggiatura sulla costa meridionale inglese.
Il suo primo romanzo completo a noi pervenuto è L’abbazia di Northanger (Northanger abbey), pubblicato solo nel 1818.
Il romanzo è centrato sul tema della maturazione di una giovane ingenuamente romantica, convinta, all’inizio, che la vita sia fatta a somiglianza dei romanzi «gotici» della Radcliffe (dei quali il libro costituisce la garbata parodia) e che alla fine arriva a comprendere, realisticamente, la realtà quotidiana.
Lo stesso tema (la maturazione di un’anima romantica attraverso l’esperienza) è al centro di Ragione e sentimento (Sense and sensibility, 1811), iniziato nel 1797 col titolo di Elinor and Marianne, e ritorna in Orgoglio e pregiudizio (Pride and prejudice, 1813), rifacimento del giovanile e non pubblicato Prime impressioni (First impressions, iniziato nel 1796).
Anche in Mansfield Park (1814), romanzo di complessa struttura narrativa e di ammirevole sincerità, in Emma (1816), considerato uno dei suoi capolavori, e in Persuasione (Persuasion), che fu pubblicato postumo insieme a Northanger Abbey ed è forse la sua opera più ricca e sottile, l’autrice compie un’analisi dei rapporti tra valori personali e valori sociali e della validità delle emozioni come guida del comportamento.
Il mondo descritto non si estende mai al di là dei limiti della vita e degli ambienti da lei direttamente conosciuti; ma il suo fine tocco ironico, la sua prosa elegante e fredda, la sottigliezza con cui analizza e descrive il conflitto tra esigenze psicologiche e morali di varia natura conferiscono a questa narrativa una non comune complessità e collocano la Austen tra i più grandi nomi del romanzo inglese.
3. “Ricordo di Natale“ di Truman Capote
Buddy e Sook, amici per la pelle, a dispetto di tutto e tutti. Eh sì, perché Buddy ha solo sette anni e Sook qualche decina di più…
Buddy sa solo che è una sua lontana cugina, ma soprattutto è una mattacchiona, sempre pronta a scherzare e a costruire aquiloni, la loro comune passione.
Buddy non ha nessun altro al mondo, Sook nemmeno – eccetto quel manipolo di parenti brontoloni che vivono nella loro stessa casa, e li trattano sempre male; forse proprio per via di quella loro insolita complicità.
Quello che è certo è che Buddy e Sook si vogliono un gran bene e che ogni anno, quando si avvicina Natale, hanno un rituale tutto loro, che sa di bosco, noci, abeti e regali.
Ma questo Natale lascerà in Buddy un ricordo speciale, poiché sarà l’ultimo che passeranno insieme, e per mantenerlo vivo nella memoria, Buddy da grande ne racconterà la storia…
Da par suo, visto che nel frattempo è diventato Truman Capote. Ricordo di Natale fu infatti uno dei tre racconti pubblicati nel 1958 nel volume dal titolo Colazione da Tiffany – un romanzo breve e tre storie –, che consacrerà definitivamente Capote come indiscusso talento della letteratura americana contemporanea.
Gaia, lieve e poi struggente, la storia di questa amicizia senza tempo è diventata in America un piccolo classico di Natale, con decine di riedizioni e adattamenti teatrali, al cinema e in tv, tra cui quello celeberrimo del 1967, raccontato dalla stessa voce di Capote e interpretato dalla grande Geraldine Page, che vinse un Emmy Award e che è oggi un gettonatissimo pezzo d’annata sul web.
Truman Capote (1924-1984), scrittore, drammaturgo, giornalista, è stato una delle figure più rappresentative e controverse della scena intellettuale e mondana americana tra gli anni sessanta e settanta.
Nato a New Orleans, all’età di quattro anni fu affidato dai genitori divorziati a dei lontani parenti in Alabama, dove trascorse l’infanzia aggrappandosi all’affetto di Sooky, l’anziana cugina protagonista del suo Ricordo di Natale, e alla futura scrittrice Harper Lee, autrice del best-seller Il buio oltre la siepe.
Ormai adolescente, andò a vivere a New York con la madre e il suo secondo marito, un facoltoso sudamericano di cui adottò il cognome.
Ma fu la pubblicazione dei suoi primi racconti tra il 1943 e il 1945 a segnalare il suo talento e ad aprirgli le porte del jet-set newyorchese.
Autore di due leggendari romanzi come Colazione da Tiffany (1958) e A sangue freddo (1966), Capote rimane un’icona dell’America del secondo Novecento.
4. “Il Natale di Poirot“ di Agatha Christie
A Natale, secondo la tradizione, le famiglie che sono state separate tutto l'anno, dopo aver messo da parte ogni contrasto, si riuniscono per festeggiare. Tutto questo, però, a volte ha solo lo scopo di mascherare odi e rivalità feroci.
Come fa notare un acuto osservatore del carattere umano come Poirot: "A Natale c'é molta ipocrisia... e lo sforzo per essere amabili crea un malessere che può essere in definitiva pericoloso."
Quasi a dimostrare la validità di questa riflessione la riunione familiare voluta dal vecchio e tirannico Simeon Lee, che ha chiamato attorno a sé tutti i figli e i nipoti, anche quelli che un tempo si erano ribellati a lui e lo avevano abbandonato, si trasforma ben presto in dramma.
A farne le spese é proprio il vecchio patriarca, misteriosamente assassinato alla vigilia di Natale in una stanza chiusa dall'interno. Ma é possibile che l'assassino sia proprio un membro della famiglia?
Tutti sono sospettabili, tutti avevano un motivo per volere la sua morte. Un caso complicato, ma nessun criminale può sperare di ingannare il grande Poirot.
Scritto nel 1939, l'epoca d'oro del giallo classico, Il Natale di Poirot, é un romanzo di grande suggestione nel quale la Christie ha utilizzato, con eccezionale bravura, tutti gli elementi più tipici della sua narrativa.
Agatha Christie è lo pseudonimo di Agatha Mary Clarissa Miller, scrittrice inglese. Di famiglia agiata, viene educata privatamente. Ancora bambina scrive racconti e poesie; alcune di queste vengono pubblicate nel 1908 in «Poetry Review».
Nel 1914 sposa Archibald Christie dal quale divorzia nel 1928. Il genere letterario con cui raggiunge il successo in campo internazionale è il romanzo poliziesco.
I suoi detective, tra i quali primeggiano Hercule Poirot (che compare per la prima volta in Poirot a Styles Court, 1920) e Miss Jane Marple (che compare per la prima volta in una serie di racconti apparsi in rivista e raccolti nel 1932 in l tredici problemi e che diventa per la prima volta protagonista di un romanzo in La morte nel villaggio nel 1930), sono entrambi abilissimi nel risolvere i più intricati enigmi polizieschi.
Essi concentrano la loro (e la nostra) attenzione sul comportamento degli indiziati e sulle loro reazioni emotive e verbali. L'azione ha sempre poca importanza, le prove non sono mai particolarmente signignificative; ciò che conta sono le motivazioni psicologiche che potrebbero aver spinto al delitto. ln un mondo di buone maniere, di modi raffinati, di anziane signore molto amanti della conversazione e di impettiti colonnelli in pensione, depositari di antichi valori e tradizioni, l'autrice può nutrire l'illusione di controllare il delitto e, grazie all'acume dei suoi detective, di riportare tutto alla normalità.
La "signora del crimine" ha scritto più di 50 romanzi e 100 racconti; da molti di questi sono stati tratti film, commedie e telelfilm.
Nei suoi due ultimi romanzi, Sipario, l'ultima avventura di Poirot (1975) e Addio, Miss Marple (1976) l'autrice ha scelto di far morire i suoi due, ormai vecchissimi, detective: i romanzi erano stati scritti anni addietro, la scrittrice scelse di mantenerli inediti sino a poco prima della sua morte.
La mia vita (An Autobiography, 1977), é stata pubblicata postuma.
5. “I morti“ di James Joyce
Racconto conclusivo e momento epifanico della raccolta "Gente di Dublino", "I morti" è divenuto un "objet de eulte" a sé stante della narrativa breve novecentesca.
Come nei quattordici racconti che lo precedono, è Dublino la veta protagonista, impietosamente e dolorosamente rappresentata nella paralisi culturale e motale dei suoi abitanti e nella fissità claustrofobica dei suoi rituali, dei suoi ideali e dei suoi simboli asfittici.
Ed è appunto il più simbolico dei rituali - la tradizionale festa natalizia delle signorine Motkan - che fa da cornice al racconto: una "natura morta" splendidamente dipinta nel dettagliato resoconto degli arrivi e partenze, nell'inventario minuzioso di cibi e bevande, nell'annuncio gridato delle figute della quadriglia e nelle ridondanti formule di benvenuto e commiato che aprono e chiudono la festa.
Officiante supremo del rito è Gabriel Conroy, maschera di Joyce, che si muove insofferente e impacciato tra sussiego e disagio, autocompiacimento e insicurezza, alla ricerca di conferme di una identità traballante sul vuoto vertiginoso della propria paralisi e del proprio fallimento interiote.
Fino allo struggente e ambiguo finale, quando percepisce nel turbamento improvviso e nella distanza di sua moglie Gretta la presenza di un fantasma del passato e di una frattura tra loro, sempre esistita sotto la superficie dotata del grande amore e della famiglia felice.
È il momento di una dolorosa agnizione, e dell'incontro con i morti, i morti che tornano a minacciare il presente...
James Joyce era il primogenito di una numerosa famiglia della buona società irlandese, di forte tradizione cattolica e nazionalista che lo iscrisse nei migliori collegi cattolici della città.
Poi le condizioni della famiglia andarono peggiorando, fino ad arrivare a uno stato di assoluta povertà dopo la morte della madre (1903).
L’educazione gesuitica influenzò la sua formazione, tanto da provocare in lui una temporanea vocazione sacerdotale, presto abbandonata.
Dopo la pubblicazione dei primi lavori letterari, ancora all’università, conobbe Yeats ed ebbe uno scambio epistolare con Ibsen.
Dopo la laurea, spinto dal vago proposito di studiare medicina alla Sorbona, trascorse un breve periodo a Parigi, dove approfondì anche le sue nozioni di scienze naturali; fra i suoi interessi principal rimaneva comunque la letteratura.
Ritornato a Dublino, lavorò per un periodo come insegnante privato e nel 1904 sposò Nora Barnacle (che gli rimase accanto tutta la vita, dandogli due figli, Giorgio e Lucia). Dopodiché lasciò definitivamente l'Irlanda.
Trasferitosi prima a Pola e, l’anno seguente, a Trieste - dove rimase (salvo una breve parentesi romana fra il 1906 e il 1907) fino al 1915 - insegnò sempre alla Berlitz e in altri istituti. Nel frattempo nasceva l'amicizia con Italo Svevo. La guerra lo costrinse a lasciare Trieste per Zurigo, dove soggiornò fino alla fine del conflitto entrando in contatto con Pound e intrecciando molte amicizie.
Nel 1920 si trasferì a Parigi, dove rimase vent’anni, frequentando Valéry-Larbaud, Aragon, Eluard, Th.S. Eliot, Hemingway, Fitzgerald, Beckett. Lì nel 1922 pubblica Ulysses, grazie al rapporto di stima con Sylvia Beach, fondatrice della libreria-editrice Shakespeare and Company, importantissimo luogo di aggregazione culturale parigino.
Nella vita personale fu importante la salute della figlia Lucia. Fu per curare lei che nel 1934 ebbe un incontro con C.G. Jung, grazie al quale approfondì le sue conoscenze sulla psicologia del profondo. Lasciata la Francia a causa della guerra imminente, si stabilì nuovamente a Zurigo, dove morì il 13 gennaio 1941 praticamente cieco a causa di una malattia degli occhi che lo aveva accompagnato per tutta la vita.
Ricordiamo le opere: The Holy Office, 1904; Musica da camera (Chamber Music, 1907); Gas from a Burner, 1912; Gente di Dublino (Dubliners, 1914); Dedalus (A Portrait of the Artist as a Young Man, 1917); Esuli (Exiles, 1918, unica opera teatrale); Ulisse (Ulysses, 1922); Poesie da un soldo (Pomes Penyeach, 1927; Collected Poems, 1936; La veglia di Finnegan (Finnegans Wake, 1939); Stephen Hero, 1944; Letters, Vol. 1, 1957; Vol, 2-3, 1966; Critical Writings, 1959; Giacomo Joyce, 1968; Selected Letters, 1975.