Ascesa e caduta dell’ufficiale di origini italiane che salvò la Rivoluzione Francese, sconfisse gli Asburgo, si proclamò imperatore e batté sei coalizioni di stati europei uniti contro di lui.
Finì perdente ed esiliato, ma la sua gloria non venne mai scalfita.
Napoleone nacque ad Ajaccio, in Corsica, il 15 agosto 1769, da Carlo, avvocato di origini toscane, e Maria Letizia Ramolino.
Solo grazie alle sue nobili ascendenze poté iscriversi, a 9 anni, alla Scuola reale di Brienne, nel Nord della Francia.
Come egli stesso dichiarò, divenne ateo a 11 anni, quando sentì dire da un predicatore che Catone e Cesare erano dannati: l’idea che «i due uomini più virtuosi dell’antichità bruciassero in eterno nelle fiamme dell’inferno mi indignò».
Tuttavia amava ascoltare la recita dell’Ave Maria alla sera. Nella scuola di Brienne incontrò difficoltà in latino, letteratura e arti, mentre era il migliore della classe in matematica.
La sua grafia era orribile (e potrebbe essergli costata il trono, dato che nella campagna di Waterloo un ordine decisivo, redatto di suo pugno, venne male interpretato proprio perché era scritto in modo incomprensibile) e la sua ortografia pessima (il francese non era la sua lingua madre e aveva dovuto studiarlo come lingua straniera).
Veniva preso in giro dai suoi compagni, che lo chiamavano “l’italiano”. A 16 anni fu ammesso alla scuola militare di Parigi, grazie a una borsa di studio finanziata dal re. Quando glielo rinfacciavano, ribatteva: «Non sono allievo del re. Sono allievo dello stato».
Ricevette il brevetto di artigliere il 1° settembre 1785: risultò 42° su 58, ma aveva completato in un solo anno il corso che gli altri avevano effettuato in 2 o 3.
Non appena ricevette la sua uniforme, andò a farsi ammirare da madame Permon (la sua affittuaria), le cui figlie scoppiarono a ridere per via degli stivali che indossava, dove le sue magre gambe sparivano: «Sembri il gatto con gli stivali!», gli dissero. E il soprannome gli rimase appiccicato per i primi anni della sua carriera.
Così fu descritto: «Riservato e laborioso, preferisce lo studio a ogni divertimento. Molto applicato alle scienze astratte; poco curioso delle altre; conosce a fondo le matematiche e la geografia. Silenzioso, amante della solitudine, capriccioso, altero, estremamente portato all’egoismo. Parla poco, energico negli impegni, con molto amor proprio, ambizioso e aspirante a tutto» (Gaspard Monge, scienziato, 1746-1818).
1. Da studente a salvatore della Rivoluzione (1769-95)
Nei primi anni Novanta del XVIII secolo Napoleone era solo un ufficiale appena conosciuto in Francia e del tutto ignoto oltre confine.
I suoi meriti militari si limitavano al decisivo contributo nella presa di Tolone, la città sulla costa mediterranea che nel 1793 si era ribellata alla Rivoluzione Francese e si era messa sotto la protezione degli inglesi, i quali le assicuravano i rifornimenti, rendendo vani gli assalti degli ottusi comandanti delle armate rivoluzionarie.
Il giovane Bonaparte intuì che la soluzione consisteva nel conquistare un piccolo forte, l’Éguilette, che dominava la rada del porto.
Una volta convinto a fatica il comandante in capo delle forze francesi a concedergli la possibilità di attaccare la postazione, la conquistò rapidamente e iniziò a bombardare le navi inglesi, che furono costrette ad andarsene. Da quel momento il destino della città era segnato: cadde il 19 dicembre del 1793.
Era solo un episodio marginale e certo da solo non sarebbe bastato per assicurare la carriera del giovane militare, anche se venne promosso generale di brigata.
Molto più importante, invece, fu un episodio ben poco glorioso: il 5 ottobre 1795 a Parigi il partito favorevole al ritorno del re in Francia riuscì a organizzare un colpo di stato che fu sul punto di riuscire con l’assedio della Convenzione (il Parlamento rivoluzionario).
Il governo rivoluzionario, il famoso Direttorio, era nel panico: nella capitale non c’erano forze militari fedeli alla Rivoluzione. Napoleone era per caso a Parigi e prese in pugno la situazione.
Ordinò a Gioacchino Murat, allora sconosciuto comandante di uno squadrone di cavalleria, di precipitarsi a catturare i vecchi cannoni conservati come cimeli agli Invalides, l’ospedale per i soldati mutilati.
Poi aprì il fuoco per oltre tre quarti d’ora contro i circa 25mila uomini che assediavano l’edificio della Convenzione, facendo almeno 300 vittime tra i civili.
2. Diventa generale e sbaraglia gli Asburgo (1796-97)
La Rivoluzione era salva e Napoleone si era guadagnato la gratitudine del governo.
Ma nemmeno questo gli fu sufficiente, per quanto il Direttorio lo nominasse generale del corpo d’armata dell’interno.
La spinta decisiva venne da una donna, Giuseppina Beauharnais. Era l’ex-amante di Paul Barras, uno dei capi del Direttorio.
Napoleone la sposò il 9 marzo 1796 e grazie alle pressioni di Barras (che era sposato e fu grato a Napoleone per avergli tolto dai piedi la donna) ricevette immediatamente il comando dell’armata d’Italia.
Secondo alcuni storici, si trattò della migliore campagna militare di tutta la sua carriera. L’esercito consisteva di soli 36mila uomini demoralizzati e demotivati, che avrebbero dovuto bloccare circa 60mila piemontesi e austriaci nelle Langhe.
Nel giro di poche settimane, Napoleone risollevò il morale delle truppe con una serie di elettrizzanti ordini del giorno, badando anche a far arrivare il soldo arretrato di mesi e fornendo scarpe e uniformi nuove.
Poi individuò nella zona dietro Savona il punto in cui tendere una trappola all’esercito nemico: tra i paesi di Millesimo e Carcare, infatti, si uniscono le vallate della Bormida e del Tanaro, separate da montagne basse ma ripide.
Gli austro-piemontesi invece di attenderlo nella Pianura Padana iniziarono a risalire lentamente le due vallate, dividendosi.
Napoleone allora conquistò Millesimo il 12 aprile, riportando una schiacciante vittoria sugli austriaci; poi sbaragliò i piemontesi il 13 nella vallata del Tanaro; in fine fece risalire i suoi soldati per attaccare di nuovo gli austriaci a Dego il 14.
Con queste vittorie l’esercito piemontese venne sbaragliato e i Savoia furono costretti a uscire dalla guerra: Napoleone si diresse a Milano senza ostacoli e poi verso Mantova, che mise sotto assedio.
Nei mesi successivi gli austriaci inviarono diversi eserciti, sia attraverso il Veneto sia attraverso il Trentino, per liberare Mantova. Napoleone li sconfisse tutti, facendo muovere le sue truppe da un punto all’altro dello scacchiere.
Alla fine l’impero asburgico rimase senza più truppe e fu costretto ad accettare la pace di Campoformio (1797), con la quale cedeva il Belgio ai francesi, ricevendo in cambio la Repubblica veneta.
3. Depone il Direttorio, si autonomina console e s’incorona imperatore dei francesi (1797-1804)
Questi strepitosi successi furono ottenuti da Napoleone applicando uno dei principi fondamentali della sua strategia, ossia attaccare le forze nemiche separatamente in modo da poter godere di superiorità numerica.
Per mettere in pratica questa strategia le truppe dovevano marciare anche per 60-70 km al giorno («Le battaglie si vincono con le scarpe dei soldati», usava dire) e i reparti lasciati di copertura dovevano resistere anche in condizioni di grande inferiorità agli assalti dei nemici per permettere al generale di sferrare efficacemente l’attacco decisivo.
In effetti, la campagna d’Italia mostrò il volto pragmatico e di potere di Napoleone, che non esitò a sacrificare gli ideali rivoluzionari riguardanti la libertà dei popoli (in questo caso quello italiano) per ottenere vantaggi per la Francia.
Di conseguenza, l’entusiasmo che aveva suscitato in tutta Europa si raffreddò in modo notevole: Beethoven, che aveva composto la Terza sinfonia in suo onore, ne cambiò il nome trasformandolo in Eroica per non celebrare colui che ai suoi occhi era un traditore della Rivoluzione.
Napoleone in realtà era un militare e tendeva inevitabilmente a risolvere tutti i problemi con la forza. Così il 9 novembre 1799, di fronte a una situazione politica complessa e incerta, effettuò un vero e proprio colpo di stato deponendo il vecchio Direttorio per mettere al suo posto un triumvirato di consoli, di cui lui, naturalmente, era il primo.
La mossa successiva fu farsi nominare console a vita, sbarazzandosi dei colleghi e avendo cura di far confermare la mossa con un plebiscito popolare. L’ultimo passo fu l’autoproclamazione a imperatore dei francesi, il 2 dicembre del 1804.
Consolidato il proprio potere, che in ultima analisi si basava sulla fedeltà dell’esercito e sulle sue vittorie, Napoleone provvide a consolidare anche le conquiste della Rivoluzione Francese, promuovendo la stesura di un nuovo codice di leggi (Codice Napoleonico) che facesse piazza pulita delle eredità del sistema feudale e organizzasse la società sulla base di concetti tipicamente borghesi e illuministici: l’uguaglianza di fronte alla legge, il valore della proprietà privata, la laicità dello Stato, la certezza del diritto, l’abolizione del feudalesimo.
Napoleone intervenne personalmente solo sul diritto di famiglia: la posizione della donna migliorò leggermente rispetto alla legislazione precedente, ma i pregiudizi antifemministi dell’imperatore erano evidenti. Il divorzio, per esempio, era concesso senza difficoltà se era la donna a tradire; la moglie, viceversa, poteva chiederlo solo se il marito portava l’amante a convivere in casa con la famiglia legittima.
In compenso venne abolito il maggiorascato (ossia la norma feudale per la quale l’eredità andava tutta al primogenito) e quindi le ricchezze paterne potevano essere distribuite in parti uguali tra tutti gli eredi. Il Codice divenne il punto di partenza per tutte le legislazioni europee, a eccezione della Gran Bretagna, l’unico Paese del continente mai conquistato dai francesi.
Tutta la Francia venne riorganizzata secondo linee guide che durano ancora oggi: il territorio fu diviso in dipartimenti, guidati da prefetti; il deficit venne ripianato con i bottini di guerra; furono istituiti licei e politecnici per la formazione della classe dirigente; si arrivò al Concordato con la Chiesa cattolica (1801). Tutte le proprietà della Chiesa rimasero però allo stato francese.
4. Napoleone è solo contro tutta l’Europa, la sconfitta di Waterloo, l’esilio e la morte (1805-21)
In politica estera Napoleone non seppe trovare un equilibrio stabile con le altre potenze, che per oltre vent’anni continuarono a formare coalizioni (se ne contano ben sette) contro la Francia.
Nel 1800 sconfisse la seconda nella battaglia di Marengo; quando nel 1805 si formò la terza, dopo la breve pace di Amiens del 1802, annientò un primo esercito austriaco a Ulma il 20 ottobre e il 2 dicembre ad Austerlitz il secondo, austriaco e russo.
L’anno successivo fu la Prussia a opporsi alla Francia, con Inghilterra e Russia: Napoleone spazzò via l’esercito prussiano a Jena il 14 ottobre, entrando a Berlino due settimane dopo: fu una sorta di blitzkrieg (guerra lampo) che gli strateghi tedeschi avrebbero tentato di copiare nella Prima e nella Seconda guerra mondiale.
Nel 1807 anche la Russia dovette venire a patti con lui dopo le sanguinose battaglia di Eylau e di Friedland. Attorno al 1810 tutta l’Europa continentale era di fatto controllata da Napoleone, che due anni prima aveva occupato anche la Spagna.
L’Inghilterra era rimasta la sola a opporglisi. Essa però godeva di un vantaggio strategico decisivo: il controllo assoluto del mare. Già il 21 ottobre 1805, infatti, a Trafalgar l’ammiraglio Horace Nelson aveva annientato la flotta francese, alleata di quella spagnola, rendendo impossibile ogni invasione dell’isola.
Napoleone tentò di piegare gli inglesi con il “blocco continentale”, ossia il divieto per i mercanti europei di commerciare con l’Inghilterra, andando però incontro al suo primo clamoroso fallimento.
Commise lo stesso errore che avrebbe fatto Hitler centotrent’anni dopo: si convinse che il governo britannico aspettasse l’aiuto di Mosca e che quindi fosse necessario invadere la Russia.
Per Napoleone, la campagna del 1812 segnò l’inizio della fine. La Grande Armée, forte di 600mila uomini, sconfisse più volte l’esercito russo in ritirata e arrivò a occupare Mosca, ma l’imperatore Alessandro I non si arrese.
L’arrivo del gelido inverno mise in gravissima difficoltà Napoleone: privo di rifornimenti, fu costretto a una terribile ritirata in cui perse quasi tutte le sue truppe.
Subito tutte le principali nazioni europee formarono la sesta coalizione contro la Francia e nella battaglia di Lipsia, chiamata “battaglia delle nazioni”, del 16 ottobre 1813, Napoleone fu per la prima volta duramente sconfitto.
Nonostante la brillante campagna dell’anno successivo (dove vinse ben 10 battaglie) fu alla fine piegato dalla schiacciante superiorità numerica dei suoi avversari e dovette arrendersi.
Esiliato all’isola d’Elba, ne fuggì il 26 febbraio 1815, sbarcando a Cannes, dove fu accolto trionfalmente. Naturalmente gli stati europei si coalizzarono ancora e accerchiarono la Francia.
Napoleone tentò l’ultima carta attaccando gli inglesi e i prussiani in Belgio. La battaglia di Waterloo, il 18 giugno 1815, segnò la sua definitiva sconfitta. Fu deportato sull’isola di Sant’Elena, nell’Atlantico meridionale, dove morì il 5 maggio 1821.
5. Alcune curiosità su Napoleone
- Napoleone, re di cuori: Giuseppina, Maria Luisa e le altre
«Per farsi amare ci vuole tempo», scrisse Napoleone, «e io, anche quando non avevo nulla da fare, ho sempre creduto di non aver tempo da perdere».
I fatti, però, lo smentiscono. Il suo primo amore fu una sedicenne di Valence, Caroline du Colombier.
Fu un amore casto: «Tutta la nostra felicità si riduceva a mangiare ciliegie insieme», lasciò scritto lui in seguito. Aveva 17 anni e nessun futuro e la madre di lei rifiutò la sua proposta senza pensarci troppo.
Napoleone fece l’amore per la prima volta con una giovanissima prostituta quando aveva 18 anni.
Dopo altre storie (tra cui un breve fidanzamento con Désirée Clary, sorella di sua cognata) s’innamorò di Giuseppina di Beauharnais (nella foto), una bellissima creola originaria delle Indie Occidentali, vedova di un ufficiale decapitato durante la Rivoluzione.
Anche Giuseppina era stata imprigionata e aveva rischiato la ghigliottina: si era salvata solo perché il copista del Comitato di salute pubblica, invaghitosi di lei, aveva fatto sparire l’atto d’accusa.
Una volta uscita di prigione, senza un soldo, usò la sua bellezza per crearsi amicizie importanti, come quella di Paul Barras, uno dei membri più in vista del Direttorio.
Questi, che era già sposato, le presentò un ufficiale disponibile per il matrimonio: Napoleone appunto, che fu travolto dalla passione.
In lei invece prevalsero i motivi di interesse: nei primi anni della loro unione, infatti, lo tradiva regolarmente, in particolare con un ufficiale degli Ussari.
Dal 1804, dopo l’incoronazione a imperatrice, le parti si invertirono: Giuseppina venne costretta alla castità per la sua nuova posizione sociale e dovette subire i numerosi tradimenti di lui fin quando nel 1810 non decise di divorziare perché non riuscivano ad avere figli.
Subito dopo sposò Maria Luisa d’Austria, figlia dell’imperatore Francesco I, da cui ebbe il tanto sospirato erede.
La sua attività sessuale, in ogni caso, non subì alcun rallentamento: il suo punto di vista, decisamente maschilista, gli consentiva infatti di prendersi tutta la libertà che la sua posizione gli consentiva, a condizione di mantenere una adeguata riservatezza, mentre criticava duramente lo stesso comportamento nelle sue compagne.
Spesso le giovani aristocratiche gli si concedevano di loro volontà, spinte anche dalle famiglie che speravano di avere vantaggi.
Tra le amanti più celebri di Napoleone, spiccano la polacca Maria Walewska, della quale fu sinceramente innamorato e che gli diede un figlio, la cantante d’opera lombarda Giuseppina Maria Camilla Grassini, conosciuta dopo la battaglia di Marengo e che frequentò di tanto in tanto fino a prima dell’esilio a Sant’Elena, e l’attrice francese Marguerite Weimar (che nel 1808 venne spedita a Mosca con l’ordine di sedurre lo zar Alessandro I). - La moda non gli interessava
Napoleone non si curava minimamente della moda: preferiva abiti larghi e comodi perché quelli attillati l’ostacolavano e gli facevano perdere tempo per indossarli.
Usava scarpe e vestiti fino a quando erano consunti ed era indispensabile sostituirli.
Anche per quanto riguarda il cibo, i suoi gusti erano semplici: apprezzava la carne di pollo e quella di montone, mangiava alcuni tipi di frutta e voleva solo pane della migliore qualità.
Il suo pranzo durava raramente più di una decina di minuti (anche se magari i suoi ospiti avevano dovuto aspettare ore che finisse di sbrigare i suoi impegni di governo), e la fretta gli faceva spesso usare addirittura le mani per finire prima.
Non si intendeva di vino e ne beveva sempre di una sola qualità, un Borgogna che proveniva dal comune di Gravey e che allungava con acqua.
Gli piaceva molto il caffè e gradiva l’orzata, mentre rifiutava i liquori e faceva un uso modesto del tabacco da fiuto. - Ordini trasmessi col telegrafo ottico
Uno dei modi in cui Napoleone comunicava con le sue truppe era il telegrafo ottico, inventato nel 1793 da Claude Chappe. Si trattava di una torre sulla quale era montata un’asta verticale.
L’asta sosteneva un braccio orizzontale mobile che a sua volta sorreggeva alle estremità 2 bracci più corti, anch’essi mobili.
Facendo assumere ai bracci una serie di posizioni prestabilite, si potevano trasmettere informazioni in codice leggibili a grande distanza tramite un cannocchiale.
Una catena di queste stazioni era in grado di trasmettere gli ordini in poche ore a centinaia di chilometri di distanza. - Ogni soldato aveva 3 scarpe: quella di riserva andava bene per entrambi i piedi
Quando nel 1805 Napoleone guidò l’esercito dalla Manica ad Austerlitz nell’attuale Repubblica Ceca, impose ai soldati marce di 30-40 km al giorno per un mese, con uno zaino da 35-40 kg sulle spalle.
Erano previste soste di 5 minuti ogni ora e una fermata più lunga (la “sosta delle pipe”) a metà percorso.
L’armata non aveva tende e non bivaccava in un vero campo: la sera i soldati si acquartieravano nelle abitazioni private requisite nella zona.
In teoria, specifici ufficiali precedevano l’esercito e smistavano le truppe, ma in pratica si andava per le spicce, buttando giù le porte delle prime case che si incontravano.
Tra i problemi più impellenti c’erano le scarpe, che secondo un detto militare bastavano “da Fontainebleau a Poitiers” (circa 200 km): non erano mai abbastanza e Napoleone doveva continuamente ordinare di requisirne o farne di nuove.
La scarpa destra e la sinistra erano uguali e ogni soldato portava nello zaino una calzatura di scorta che usava indifferentemente per entrambi i piedi.