Ieri, 25 marzo 2017, è stato un anniversario importantissimo: l’Europa comunitaria ha compiuto ben 60 anni!
I leader dell’Unione europea si sono riuniti nella capitale Italiana per celebrare il 60º anniversario dei trattati di Roma, firmati in quella stessa data nel 1957.
“Abbiamo bisogno di una legge europea, di una corte di cassazione europea, di un sistema monetario unico, di pesi e di misure uguali […]. Avrei voluto fare di tutti i popoli europei un unico popolo. Ecco l’unica soluzione”.
Così parlò nel 1816 Napoleone dall’esilio di Sant’Elena, non sapendo che lo scenario da lui ipotizzato avrebbe iniziato a divenire realtà un secolo e mezzo più tardi.
Fu infatti dopo le atrocità della Seconda guerra mondiale che i governanti del Vecchio continente pianificarono la nascita di un’organizzazione sovranazionale per porre un freno ai nazionalismi da cui era scaturito il conflitto.
Iniziò così un processo di integrazione che investì l’ambito economico per poi strizzare l’occhio a quello politico.
Il progetto di un’istituzione che convogliasse i destini degli Stati europei in un clima di pacifica cooperazione era peraltro già emerso nei secoli precedenti, e alcuni storici individuano i primi germi di una comune identità addirittura nell’Impero romano, quando si creò un’omogeneità culturale poi cementata dal cristianesimo.
L’idea di un’Europa unita ha radici lontane. Ma la fine della Seconda guerra mondiale ne ha accelerato la realizzazione e la firma, 60 anni fa, dei Trattati di Roma ne ha sancito la nascita.
Oggi è una realtà consolidata. Con qualche intoppo.
1. Ragioni per unirsi
Se le ragioni concrete della cooperazione tra Stati europei sono da ricercarsi nelle due guerre mondiali, è perché queste furono un’importante “esperienza generazionale”, che coinvolse in prima persona molti politici e pensatori del tempo.
A un certo punto, fu chiaro a tutti che la pacificazione del continente dovesse passare da qualche forma di collaborazione.
E per alcuni Paesi, come Germania e Italia, c’era anche l’esigenza di recuperare prestigio diplomatico, cosa più semplice all’interno di un’istituzione internazionale.
A erodere il mito dello Stato-nazione, sviluppatosi nel XIX secolo e responsabile di ripetute atrocità, contribuì la pubblicazione clandestina del Manifesto di Ventotene.
A scriverlo furono nel carcere di Santo Stefano, di fronte all’isola di Ventotene (Latina), alcuni antifascisti al confino, producendone più versioni tra il 1941 e il 1944. Si trattava di Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, supportati dalla tedesca Ursula Hirschmann.
Il Manifesto proponeva la creazione di un sistema basato su un’interdipendenza degli Stati: una casa comune in cui sarebbe scomparso ogni vecchio motivo di attrito. Nello specifico, si immaginava una federazione con un parlamento eletto a suffragio universale.
Le istanze europeiste furono condivise da molti politici del tempo, alcuni dei quali – come i francesi Jean Monnet e Robert Schuman, il tedesco Konrad Adenauer e l’italiano Alcide De Gasperi, oltre naturalmente allo stesso Spinelli – sono oggi celebrati come “padri fondatori” dell’Europa unita.
Alla diffusione delle loro idee si sommò il fatto che i vecchi Stati europei si ritrovarono sovrastati dalle superpotenze Usa e Urss, evento da cui derivò la sensazione che solo presentandosi compatti di fronte al resto del mondo avrebbero potuto recuperare posizioni nello scenario internazionale.
In tale contesto gli europei occidentali rimarcarono peraltro la loro fedeltà al blocco filoamericano, contrapposto a quello sovietico nell’ambito della Guerra fredda.
2. Passi decisivi
Nel settembre 1946 fu la volta dell’ex primo ministro inglese Winston Churchill, che in un celebre discorso propose la nascita degli “Stati Uniti d’Europa”.
Due anni dopo (maggio 1948) all’Aja (Olanda) si organizzò un congresso per discutere di una futura unione economico-politica.
Solo un mese prima era stata inoltre creata l’Oece, Organizzazione europea di cooperazione economica, pensata per coordinare la ricostruzione post-bellica basata sui fondi americani del piano Marshall.
Il processo avviato all’Aja avrebbe portato il 5 maggio 1949 alla firma dei trattati di Londra, con cui si diede vita al Consiglio d’Europa.
L’organizzazione contribuì alla promozione dei diritti umani, elaborando nel 1950 la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali», riprende Rapone.
Il cammino verso l’unità subì un’accelerata il 9 maggio 1950 (oggi giorno della “festa dell’Europa”).
Con una storica dichiarazione, il ministro degli Esteri francese Robert Schuman (nella foto) propose la creazione di una comunità internazionale i cui membri avrebbero dovuto mettere in comune le loro produzioni del carbone e dell’acciaio.
L’idea di fondo, accolta da sei Paesi, era semplice: unificando gli interessi in questi settori si sarebbe resa impossibile una corsa individuale agli armamenti, favorendo nel contempo l’economia continentale.
Detto, fatto: a Parigi, il 18 aprile 1951, Germania Ovest, Francia, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo firmarono un trattato per la gestione comune delle proprie industrie pesanti.
L’anno dopo nasceva la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, o Ceca. La dichiarazione Schuman e la creazione della Ceca ebbero grande valore sul piano economico, rilanciando i bilanci dei Paesi firmatari.
Su quello politico, attenuarono le tensioni tra Francia e Germania, nazioni storicamente ostili e fresche rivali nella Seconda guerra mondiale. I francesi, tuttavia, nutrivano ancora parecchie riserve verso i tedeschi in tema di riarmo.
Proprio queste ritrosie fecero naufragare nel 1954 l’ipotesi di un esercito europeo, nonostante nel 1952 fosse stato firmato un trattato che prevedeva la nascita di una Comunità Europea di Difesa (Ced) basata su una cooperazione militare.
3. Nasce la CEE
Sulla scia dei successi della Ceca, i sei Paesi firmatari siglarono il 25 marzo 1957 i Trattati di Roma (nella foto a sinistra).
Nascevano la Comunità europea dell’energia atomica (Euratom), per indirizzare l’energia nucleare a fini pacifici, e, soprattutto, la Comunità economica europea (Cee), basata su un’unione doganale ma resa zoppa dalla mancanza di una politica di difesa ed estera comune.
Questo aspetto fece storcere la bocca a chi attendeva la nascita di una federazione, ma in compenso i trattati velocizzarono l’integrazione sul terreno economico. La progressiva liberalizzazione degli scambi commerciali, agevolando le esportazioni, si rivelerà un fattore di sviluppo per le diverse nazioni coinvolte.
In breve, a livello istituzionale vennero creati un’assemblea eletta a suffragio universale, una commissione, un consiglio e una corte di giustizia, mentre in ambito economico fu sancita la nascita di un Mercato europeo comune (Mec) in cui persone, servizi, merci e capitali potevano circolare liberamente.
In seguito gli Stati membri inizieranno a elaborare strategie comuni anche su ambiente, clima, immigrazione e salute. Nel 1992 il trattato di Maastricht mandò in pensione la Cee istituendo l’Unione europea (Ue).
La nuova organizzazione (arrivata nel 2013 a contare 28 Stati membri) iniziò la propria avventura l’anno dopo, non senza intoppi: progetti rimasti incompiuti – come quello di una costituzione europea – e aspre polemiche legate alla moneta unica hanno per esempio diviso gli schieramenti tra europeisti ed euroscettici.
Dal punto di vista storico l’introduzione dell’euro nel 2002 è da leggere come un successo, visto che il sogno della moneta unica era stato coltivato per decenni. E altri successi sono facilmente riscontrabili nella maggiore sicurezza sulla tracciabilità dei prodotti e nei grandi investimenti nell’educazione.
Al netto dei nodi spinosi come quello della Brexit (la scelta del Regno Unito di lasciare l’Ue) e delle molte incognite sul futuro, vi è un ultimo successo che è forse il più rilevante di tutti: il clima di pace che da oltre settant’anni distingue il Vecchio continente, dove una guerra tra Stati membri è oggi inimmaginabile.
Un risultato niente male, dopo secoli di conflitti, tanto da valere nel 2012 all’Ue il Nobel per la Pace.
4. Il pallino settecentesco per la “pace perpetua”
L’idea di un’organizzazione che unisse i destini dei Paesi europei, eliminando ogni motivo di conflitto, prese forma già prima del XX secolo.
Fu in particolare nella Francia del Settecento che furono pubblicati visionari e utopistici trattati dedicati al tema della “pace perpetua”.
Il saggio che fece scuola fu il Projet pour rendre la paix perpétuelle en Europe (1713) del filosofo precursore del pacifismo Charles-Irénée Castel de Saint- Pierre.
Vi immaginò la creazione di un’istituzione sovranazionale guidata da rappresentanti dei vari Stati europei, pronti a risolvere ogni controversia in ambito economico, politico e militare.
I Paesi aderenti avrebbero ceduto parte della loro sovranità per sottomettersi a leggi comuni, ricevendo in cambio la garanzia della pace e vantaggi di altro genere, come una facilitazione dei commerci e la riduzione delle spese militari.
Queste ipotesi furono riprese dagli illuministi Jean-Jacques Rousseau (nella foto) e Voltaire, nonché dal filosofo tedesco Immanuel Kant.
Quest’ultimo pubblicò nel 1795 il trattato Per la pace perpetua, dove prospettava la futura assenza di conflitti nel mondo intero grazie alla sparizione degli eserciti nazionali e al superamento del concetto di sovranità nazionale.
5. Un continente “a due velocità”?
“L’Ue non è perfetta ma è lo strumento più efficace di cui disponiamo per affrontare le nuove sfide che ci attendono”.
Suona così la dichiarazione che lo scorso autunno i leader degli Stati europei hanno elaborato in un incontro a Bratislava (Slovacchia), discutendo del futuro dell’Unione dopo la Brexit e la scelta del Regno Unito di uscirne.
Per mantenere vivo lo “strumento Ue” molti analisti hanno suggerito l’ipotesi di un’Europa “a due velocità”. Ma che cosa si intende con questa espressione?
Nel dettaglio, un’Europa a più velocità – o a geometria variabile – si baserebbe sulla possibilità, per un gruppo di Paesi, di intraprendere accordi in ambito economico, di difesa e di sicurezza senza il consenso della totalità degli Stati membri (i quali potrebbero aderirvi in un secondo tempo).
Con meno galli a cantare nel pollaio, si ipotizza, potrebbe essere più facile affrontare spinose questioni come quelle riguardanti la moneta unica.
L’idea – non nuova – di un’Europa a due velocità è tornata d’attualità con la crisi economica che ha lasciato indietro alcuni Paesi dell'Europa del sud, e a seguito della quale si sta appunto ipotizzando un’Unione trainata da un numero ridotto di Stati, in primis quelli fondatori.