“La sua calvizie era oggetto scherno tra i suoi detrattori, così, per nasconderla, si pettinava portando avanti i radi capelli, e tra i molti onori che il Senato gli aveva decretato, nessuno fu più gradito del diritto di portare ovunque una corona d’alloro”.
Così lo scrittore latino Svetonio parlava di Giulio Cesare, vanitoso e tormentato dalla sua calvizie a dispetto del suo stesso nome, che tanta assonanza aveva col termine caesaries ovvero “capigliatura lunga e folta”.
Un caso tutt’altro che isolato: molti grandi personaggi della Storia, dal faraone Ramses II all’imperatore Adriano, passando per il “Re Sole” Luigi XIV, Napoleone, Gandhi, Winston Churchill e Charles De Gaulle, sono stati accomunati dalla perdita dei capelli sul cuscino e, spesso, dal rammarico per la chioma volatilizzata.
Come insegna anche il mito biblico di Sansone che trae la sua forza dalla capigliatura e la perde appena tosato nel sonno, il motivo è ancestrale: i capelli maschili sono stati a lungo simbolo di energia, fertilità e virilità, e la loro perdita segno di disonore.
Tra rimedi miracolosi, vittime illustri e anche un santo patrono, la millenaria (e mai vinta) lotta contro la caduta dei capelli.
1. Senza frontiere
C’è, però, un aspetto meno conosciuto della faccenda: è dalla notte dei tempi che l’uomo è alla ricerca di una cura definitiva contro la perdita di capelli.
Per vincere questa battaglia si è fatto ricorso alla magia, alla filosofia e alla religione, mettendo in campo una varietà di cure, terapie e formule che ha pochi precedenti nella storia della medicina.
I primi preparati anti-calvizie si trovano descritti nel papiro Ebers, una sorta di enciclopedia medica del 1500 a. C. circa, dove si prescrive un “cataplasma composto di parti uguali di grassi di stambecco, leone, coccodrillo, serpente, oca e ippopotamo [...] assieme ad aghi bruciati di porcospino sott’olio, frammenti di unghie e una miscela di miele, alabastro e ocra rossa" da somministrare alzando invocazioni “all'eterno e immutabile Aton (il dio Sole) contro la divinità maligna che governa la testa calva”.
Altri si accontentarono di giocare la carta dell'autoironia: se nel V secolo a. C. Socrate diceva che “sulla roccia non cresce l’erba", otto secoli dopo il filosofo libico Sinesio di Cirene sosteneva nel suo Elogio della calvizie che adùlteri ed effeminati erano capelluti, mentre saggi e filosofi sempre calvi.
Fu invece il padre della medicina Ippocrate di Kos (circa 460-370 a. C.) il primo a considerare la calvizie una malattia (ancora oggi la forma più comune è chiamata “ippocratica”) anche se per curarla prescriveva una cura bizzarra: una pomata a base di olio di rose e succo di acacia e, nei casi più gravi, impacchi di cumino, sterco di piccione, rafano e ortica.
Nella sua Storia naturale (I secolo d. C.) Plinio il Vecchio consigliava trattamenti ancora più rivoltanti: sulla fronte andava applicato un unguento "ottenuto dalle ceneri degli escrementi di pecora disciolte nel miele" (Libro 29) o a base i “vescica di scorpione e ceneri di rane, mescolate con miele o diluite in pece o catrame liquido” (Libro 32).
2. La parrucca, soprattutto
A dare il quadro desolante della situazione fu il drammaturgo inglese William Shakespeare che per bocca dei suoi personaggi profetizzava nel dramma dell’Enrico V che “una testa riccia diventerà calva" e che “non v’è modo per un uomo di recuperare i capelli che cadono per natura".
In compenso, nella Commedia degli equivoci si legge che ad avere la testa pelata “si risparmiano i quattrini per le acconciature e mangiando non cadono capelli nella zuppa ”.
L’unica misura risolutiva, tra ’600 e ’700, fu la parrucca, tornata in auge con Luigi XIII di Francia (nella foto), calvo a 29 anni ma convinto che una massa di capelli fosse indispensabile per darsi un tono.
La rilanciò poi Luigi XIV, tormentato dalla calvizie ma anche dalla bassa statura.
Su di lui fiorirono varie leggende, come quella secondo cui il suo cranio fu visto solo dal barbiere: ogni sera attraverso la tenda chiusa del baldacchino dava a un paggio la parrucca boccoluta, che gli veniva restituita ravvivata il mattino.
Quasi due secoli dopo la situazione era immutata e i leader pelati continuavano a essere bersaglio di lazzi umoristici: lo zar Alessandro I di Russia fu ribattezzato “il bulletto pelato” nel Don Juan (1819-24) di Lord Byron, mentre Napoleone Bonaparte fu soprannominato “le petit tondu" (“il pelatino”) nonostante il sapiente uso di pettine e riporto.
3. Rispetto ai calvi e bando ai ricci
A giudicare dai nomignoli dati al generale romano Gneo Cornelio Scipione “Calvo” (nella foto accanto) e al generale cartaginese Asdrubale “il Calvo”, il problema era già sentito nel III secolo a. C., e presto toccò i livelli più bassi di popolarità.
"Brutto a vedersi è un caprone scornato, brutto è un campo spogliato, brutto è un cespuglio senza fronde. Altrettanto orribile è una testa senza capelli" diceva nel I secolo a. C. lo scrittore Ovidio, mentre il collega Svetonio, nelle Vite dei Cesari, alzava un velo anche su altri personaggi tormentati.
L’imperatore Domiziano (51-96) “così permaloso riguardo alla sua calvizie da prendere come insulto personale qualunque cosa rivolta a qualunque altro uomo calvo", e soprattutto Caligola (12-41), peloso su tutto il corpo tranne che in testa “a tal punto che guardarlo dall'alto al basso mentre lui passava[...] veniva considerata un’offesa capitale".
Inoltre “ogni volta che s'imbatteva in uomini avvenenti e dotati di una folta chioma, li deturpava facendo loro rasare la nuca".
Invece di aiutarsi con il riporto cui ricorreva Giulio Cesare (imitato anche in questo da Napoleone) o con pomate colorate e corone di alloro, il vanitoso imperatore Adriano preferì un rimedio ereditato dagli antichi Egizi: una parrucca di capelli chiari e sottili, provenienti dalle teste dei prigionieri germanici, che diventò una moda tra Romani calvi.
La caduta dell’Impero romano riportò la sobrietà in fatto di acconciature, spiega il chirurgo francese Pierre Bouhanna, autore di un libro sull’argomento: a tal punto che uno dei concili di Costantinopoli minacciò la scomunica per chi portava capelli lunghi e ricci.
E se non c’erano che le corone a coprire le teste del re franco Carlo II (823-877) e di Baldovino II delle Fiandre (865-918) - entrambi detti “il Calvo” - in compenso continuavano a fiorire medicamenti stravaganti.
Come quelli prescritti dal medico arabo Mesuè di Damasco (VIII secolo) a base di "noccioli di datteri, garretti di levriero abissino e zoccoli di asino fatti bollire nell’olio", ma anche di corna di montone frantumate (specifiche per ex chiome ricce) o di 30 rossi d’uovo, da friggere, spremere e scolare in testa.
E addirittura, in un manuale inglese del 1594 intitolato Il sentiero della salute, tra le cure "scientificamente provate della calvizie" furono inclusi i sempre popolari escrementi di pollo, mischiati con sali di potassio.
4. Bisturi
Nuovi studi al microscopio, condotti dall’anatomista seicentesco Marcello Malpighi (nella foto accanto), avevano intanto fatto luce sulle due principali forme di calvizie.
La misteriosa “alopecia volgare” (oggi “alopecia androgenetica”) caratterizzata da arretramento dell’attaccatura dei capelli, stempiatura e chierica, che si riteneva indotta da “scarsità di umori interni dell’individuo”, e la reversibile "alopecia areata” (chiamata in passato “Area Celsi”) annunciata dalla perdita di capelli “a chiazze”, a lungo imputata alle cause sbagliate: un fungo, il restringimento dei vasi sanguigni, una disfunzione della tiroide e persino la sifilide congenita.
Bisognò attendere il XX secolo perché l’anatomista statunitense James B. Hamilton individuasse la causa reale della calvizie in una concomitanza tra predisposizione genetica, età e influenza degli ormoni.
E lo scoppio della Seconda guerra mondiale perché nel 1939 il chirurgo giapponese Okuda effettuasse il primo trapianto di capelli, fino a oggi il solo trattamento risolutivo della calvizie.
Già anticipato nell’800 dal chirurgo tedesco Johann Friedrich Dieffenbach, fu diffuso dall’americano Norman Orentreich a partire dal 1959.
Nonostante le promesse della scienza, dalla coltivazione di peli “in vitro” al trapianto di follicoli e alla terapia genica, a sentire gli esperti, Shakespeare ha ancora ragione: non c’è verso di fare ricrescere la chioma a un calvo di natura. Però si è in buona compagnia.
5. Calve per forza o per castigo e bacchette "magiche" anti-calvizie
- Calve per forza o per castigo
Il loro simbolo è l'antico tempio di Venere Calva, eretto secondo lo storico latino Lattanzio sul colle romano del Campidoglio nel IV secolo a. C. Celebrava il sacrificio delle donne che si tagliarono le chiome per farne corde da arco durante l'assedio dei Galli.
Teste volutamente calve caratterizzarono in seguito sia sante che peccatrici, in quanto simbolo di sottomissione o castigo.
Nella Bibbia si legge che il Signore renderà tignoso il cranio delle figlie di Sion, il Signore denuderà le loro tempie" (Isaia, 3:17-24) per punirle della loro superbia.
Ma la pelata non ha risparmiato nemmeno le teste coronate. Come quella di Nefertiti, moglie del faraone Akhenaton (al potere dal 1348 al 1331 a. C.) che secondo lo studioso francese Pierre Bouhanna soffrì di un diradamento dovuto forse a un’alopecia areata, o “a chiazze”.
Un destino condiviso, secolo dopo, da Elisabetta I d'Inghilterra (1533-1603), nella foto, che fu vittima di uno sfoltimento sulle tempie subito dopo l'ascesa al trono e che collezionò 80 parrucche (ricciolute e color rosso carota).
E persino dalla rivale Maria Stuarda (1542-1587) cattolicissima regina di Scozia tradita dal boia: quando quest'ultimo si chinò a raccogliere la sua testa, dopo la decapitazione, afferandola per le trecce ramate, rimase con la parrucca in mano. - Bacchette "magiche" anti-calvizie
Da sempre l’ossessione per la caduta dei capelli è stata terreno fertile di maghi e ciarlatani prodighi di soluzioni "miracolose’'.
«Uno dei primi truffatori fu un certo Bartlett, che nell'8oo viaggiò per l’Europa con una bacchetta di vetro attaccata a un generatore di elettricità statica che, avvicinata ai capelli, li faceva drizzare all’estremità, allettando i creduloni» racconta Kevin Baldwin autore di un libro sull'argomento.
Nel 1874 Andrew Taylor Still, un finto medico certo che la dislocazione di alcuni ossicini nella spina dorsale fosse causa della calvizie, dichiarò di essere riuscito a far crescere di 8 centimetri i capelli di un paziente calvo, solo massaggiandogli la schiena.
Qualche anno dopo fu il turno di una portentosa spazzola elettrica, i cui campi magnetici avrebbero curato la calvizie.
Per dichiarare guerra agli imbroglioni, nel 1906 la British medical association decise di sottoporre ad analisi chimiche alcune presunte lozioni "rigeneranti", svelando che erano a base di innocuo borace, glicerina, alcol e acqua, venduti al quadruplo del costo effettivo.
Ma il pubblico continuò ad acquistarle lo stesso.