L’uomo è la specie animale di maggior successo sulla Terra. Ma ne ha fatta di strada per diventarlo. E con molte tappe.
Tutti d’accordo. La culla dell’umanità è stata l’Africa. Ma poi come ci siamo diffusi in tutto il mondo?
Nuovi metodi di studio potrebbero ribaltare le date della nostra evoluzione. Scopriamoli insieme.
1. Da dove veniamo?
Immaginiamo di ritrovare la carcassa di una spider nella soffitta di Leonardo da Vinci, pur essendo certi che nessuno vi ha più messo piede dopo di lui.
Sarebbe una scoperta sconvolgente, di quelle in grado di ribaltare tutta la storia della meccanica.
Qualcosa del genere è capitato agli scienziati statunitensi Alison Brooks e John Yellen nel 1988, durante uno scavo archeologico a Katanda, in un angolo remoto dello Zaire: all’improvviso, tra i resti fossili di pesci gatto giganti e ciottoli di fiume, è emersa la punta di un arpione d’osso ben lavorato. Poi altre due. Poi ancora i frammenti di altre cinque.
In sé niente di eccezionale, se non fosse che fino ad oggi si pensava che quegli strumenti così raffinati venissero utilizzati dai nostri antenati alla fine del Paleolitico superiore, cioè 14 mila anni fa, mentre Brooks e Yellen stavano lavorando su uno strato geologico almeno cinque volte più vecchio.
La conclusione può essere una sola: 70 mila anni fa vivevano già a Katanda uomini in tutto simili a noi, dotati di un cervello altrettanto grande, capaci di forgiare l’osso e la pietra, ma anche di dipingere artisticamente le loro caverne.
Insomma, mentre il resto dell’umanità vagava ancora per il mondo in uno stato quasi scimmiesco, nello Zaire l'homo sapiens sapiens (cioè noi) si sarebbe già completamente formato: un individuo alto di statura, con fronte diritta, mento massiccio, naso prominente, cranio alto.
Perché allora, data la sensazionalità della scoperta, i due ricercatori non hanno pubblicato i loro studi? Semplicemente, temevano di non essere creduti.
E a ragione: a Katanda, intanto, non sono state ritrovate ossa, ma solo strumenti. E poi, per datare quei reperti, è stato utilizzato un sistema, la termoluminescenza, che non tutti considerano totalmente affidabile.
Con questo metodo si misura infatti la quantità di elettroni che vengono rilasciati da una sostanza (pietra, roccia, ceramica) dopo esser stata riscaldata. Ma perché la misurazione abbia valore, è necessario che quella sostanza abbia in passato subito un “azzeramento, per esempio che sia stata esposta al sole.
In sintesi: per effetto del calore gli elettroni presenti nella sostanza vengono bloccati come in una gabbia, e centinaia di migliaia di anni dopo, grazie all’applicazione di una nuova sorgente di calore, si “risvegliano” producendo luce.
Dalla quantità di quest’ultima si calcola appunto l’età del reperto. I risultati ottenuti con la termoluminescenza però sono a volte così sorprendenti, come dimostra l’esempio di Katanda, da essere considerati discutibili.
2. Carbonio e potassio per studiare i fossili preistorici
Oggi i sistemi più sicuri di datazione dei reperti fossili sono altri due.
Entrambi si basano sul decadimento di elementi radioattivi, cioè sulla loro trasformazione, con il passare del tempo, in altre sostanze.
Conoscendo infatti la quantità di carbonio 14 o di potassio contenuta in un reperto e il tempo di dimezzamento (cioè il numero di anni che questi elementi impiegano per ridursi della metà), si può risalire all’epoca in cui si sono depositati nella roccia (o nella pietra, o nelle selci).
Ma il carbonio 14 consente di arrivare solo fino a 50 o 60mila anni fa, perché il suo tempo di dimezzamento è di 5730 anni. Il sistema del potassio-argo invece permette misurazioni praticamente all’infinito (si dimezza infatti in dieci miliardi di anni), in compenso però si può applicare solo su sedimenti vulcanici. Ecco quindi tutti i limiti scientifici della paleontologia.
Tanto che se oggi c’è qualche accordo sul fatto che la culla dell’umanità è l’Africa (dove oltre centomila anni fa sarebbe nato il nostro più diretto antenato, per poi distribuirsi nel resto del mondo) lo dobbiamo al nuovo impulso fornito dai più recenti studi sul Dna, cioè sul materiale genetico contenuto nelle nostre cellule e responsabile della trasmissione dei caratteri ereditari.
Non potendo ancora estrarre Dna dalle ossa dei fossili, gli studi genetici sulle origini dell’uomo moderno partono da materiale odierno per ricostruire, dalle differenze di oggi, quelle di ieri.
Il genetista Alberto Piazza qualche anno fa analizzò centoventi geni tratti da una cinquantina di popolazioni diverse, e significative. Le popolazioni che hanno frequenze genetiche più uguali sono verosimilmente più simili e perciò la loro differenziazione è avvenuta in tempi molto più recenti.
Si risale quindi via via alle differenziazioni più antiche. Ha potuto allora osservare che la prima diversità a realizzarsi nel tempo è proprio quella tra Africani e non-Africani e che, dal riscontro con i dati paleontologici, questa si può collocare intorno a 130 mila anni fa.
Anche la ricerca condotta dal genetista Allan Wilson sul Dna mitocondriale (cioè quello che viene trasmesso solo per via materna), aveva condotto a un'analoga conclusione: la nostra stirpe risalirebbe a un'unica progenitrice, un'Eva africana, vissuta duecentomila anni fa e la cui eredità è rintracciabile oggi nel corredo genetico di tutti i popoli della terra.
Eppure esistono ancora molte obiezioni a questa tesi : l’antropologo Milford Wolpoff sostenne che l’uomo moderno non sarebbe emigrato dall’Africa nelle altre regioni del pianeta, ma si sarebbe evoluto gradualmente in ciascuna di esse.
Secondo Wolpoff, per esempio, in Asia non esistono tracce concrete di questa “invasione” di nuovi uomini e inoltre i fossili di ominidi della regione Indonesia- Australia dimostrano tra di loro una assoluta continuità anatomica, senza alcuna interruzione a opera di immigranti africani.
«Ma è difficile pensare che, dal punto di vista biologico, in posti così diversi si sia verificata un’evoluzione parallela e contemporanea, che ha poi portato a una forma umana identica per tutti, cioè la nostra», ribattè Piazza.
3. Genetica in conflitto con la paleontologia
Insomma, il conflitto tra paleontologi e genetisti sulle origini dell’uomo moderno continua.
Né potrebbe essere diversamente, visto che le discipline partono da due presupposti scientifici opposti: la genetica viaggia a ritroso, collegando il presente al passato attraverso una serie di generalizzazioni.
La paleontologia, al contrario, studia ossa fossili di individui che potrebbero anche non aver lasciato discendenti. Fin qui abbiamo visto quanto sia difficile la ricostruzione, per tempi e luoghi, della nascita dell’uomo moderno.
Che tuttavia aveva a sua volta alle spalle una nutrita schiera di antenati, molto rozzi e difficilmente paragonabili a noi, dai quali si è lentamente evoluto.
Insomma, se l’uomo moderno è nato in Africa, come era e dove è nato invece il primo rappresentante in assoluto del genere homo, cioè quel primate che gli studiosi hanno chiamato homo habilis, dotato di una capacità cranica di soli 500 centimetri cubici (la nostra è di circa 1500) e tuttavia già in grado di costruirsi strumenti utili e di camminare in posizione eretta?
Su questo almeno non esistono dubbi: «Anche l’uomo più antico è apparso per la prima volta in Africa orientale tre milioni di anni fa, e da qui si è poi diramato nel resto del mondo» spiega Yves Coppens, eminente paleontologo e paleoantropologo francese, dal 2011 professore onorario presso il Collegio di Francia (il suo nome è subito associato a quello della scoperta, nel 1974, dello scheletro dell'ominide Lucy in quanto fu uno dei tre condirettori del gruppo di esploratori).
E continua: «Sull’itinerario che ha poi seguito non ci sono più dubbi: dall’Africa è passato in Medio-oriente e successivamente si è separato in due migrazioni: una verso l’Europa, l’altra verso l’Asia e l’Estremo oriente».
Dobbiamo quindi pensare alla nostra storia come al frutto di due successive migrazioni dall’Africa: la prima dopo aver conquistato la posizione eretta, la seconda dopo aver maturato un grande cervello. Ma in definitiva perchéproprio a noi, tra tutti gli esseri viventi, è toccato di diventare la specie più intelligente? Fu probabilmente una questione di clima.
Durante il periodo del Miocene (tra i 20 e i 12 milioni di anni fa), oltre alla formazione delle catene montuose e all’intensa attività vulcanica, si è verificato un forte cambiamento climatico, che ha inaridito le regioni dell’Africa orientale e ridotto quindi progressivamente gli spazi abitativi.
Questo ha messo in concorrenza più gruppi di primati nella foresta finché alcuni individui hanno iniziato ad adattarsi anche a spazi più aperti delle foreste, e finalmente hanno conquistato, quattro milioni di anni fa, la posizione eretta.
Una maggiore capacità cranica e chissà, forse anche il linguaggio, sono intervenuti solo due milioni di anni più tardi a differenziarci completamente dalle altre scimmie».
Insomma, se volessimo ripercorrere all’indietro tutta la nostra storia evoluzionistica dovremmo alla fine ammettere di essere tutti figli di Purgatorius, il più antico fossile con aspetto di primate, rinvenuto nel Montana, dove viveva circa 70milioni di anni fa, arrampicato sugli alberi.
4. Parliamo da ben due milioni di anni e l'uomo venuto dal freddo del Pleistocene
- Parliamo da ben due milioni di anni
Sembra che le condizioni morfologiche necessarie alla nascita del linguaggio, cioè le strutture anatomiche e i centri nervosi preposti a questa funzione, siano comparsi per la prima volta nell'homo erectus (cioè 1 milione 600 mila anni fa), se non addirittura nell'habilis (2 milioni di anni fa).
Del resto i primi ominidi vivevano già secondo un'organizzazione sociale definita, nella quale la comunicazione verbale era indispensabile.
Quali sono queste nuove strutture? Essenzialmente si tratta della cavità faringea, cioè lo spazio tra la base del cranio e la laringe. Più grande è questo spazio, maggiore la capacità vocale.
L'Australopithecus (vissuto 3 milioni di anni fa) aveva per esempio una cavità faringea troppo ristretta per poter emettere dei suoni articolati.
L'altra caratteristica necessaria alla nascita del linguaggio risiede naturalmente nel cervello: già l'homo habilis probabilmente presentava un certo sviluppo dell'area di Broca, cioè della zona,nella corteccia cerebrale che sovrintende all'elaborazione del linguaggio articolato.
Ma che lingua parlavano i primi uomini? Alcuni studiosi, come il linguista Merritt Ruhlen, sostengono che l'umanità delle origini parlasse un linguaggio comune, che via via è andato diversificandosi nelle varie regioni a causa delle successive migrazioni.
D'accordo con lui anche i genetisti, che attraverso le analisi del Dna di numerose popolazioni hanno riscontrato numerose concordanze tra somiglianze nel patrimonio genetico e somiglianze linguistiche. - L'uomo? E' venuto dal freddo del Pleistocene
Come era la Terra quando è nato il primo essere umano?
Durante il Pleistocene (così è chiamato il periodo geologico che va da 3 milioni a 9 mila anni fa), i continenti attuali erano praticamente formati, mentre un grande cambiamento si verificò invece nel clima, che progressivamente si fece sempre più freddo (si calcola un abbassamento della temperatura di oltre 7 gradi, dai 22 gradi in media di 60 milioni di anni fa ai 15 gradi di 5 milioni di anni fa).
Anche per questo il manto forestale che ricopriva l'Africa iniziò a diradarsi, cedendo sempre più ampi spazi alle praterie.
E' in questo ambiente che la prima scimmia antropomorfa conquista la posizione eretta.
Verso la metà del Pleistocene ha inoltre inizio la grande glaciazione, che abbassa ulteriormente la temperatura media fino ai 12 gradi, inaridisce il clima e porta al ricambio o addirittura all'estinzione di alcune faune (le antilopi africane per esempio scompaiono).
Appare in questo momento il primo uomo, l'habilis.
5. Neanderthal, il giallo nella grotta
Perché il primo europeo è scomparso all'improvviso? Forse l'ha ucciso Cro Magnon (nella foto accanto), venuto dal Medio Oriente.
Yves Coppens, l'eminente paleontologo e paleoantropologo francese, dal 2011 professore onorario presso il Collegio di Francia (il suo nome è subito associato a quello della scoperta, nel 1974, dello scheletro dell'ominide Lucy), è lo studioso più autorevole di quel nostro lontano parente: l'uomo di Neanderthal.
Che doveva essere piuttosto originale: vissuto in Europa tra 80mila e 40 mila anni fa, presentava ancora nella struttura ossea i segni di una certa rozzezza (corpo tozzo e massiccio, fronte sfuggente, mancanza di mento, mascellari rigonfi), eppure la sua capacità cranica è paragonabile alla nostra e la sua vita culturale era già molto progredita (usava il fuoco, si costruiva strumenti per la caccia, seppelliva i morti, aveva credenze religiose e manifestazioni artistiche).
Ma il vero mistero che lo riguarda è un altro, e cioè la sua improvvisa scomparsa: dai 35mila anni in poi non se ne trovano più le tracce, mentre il nuovo tipo umano che si afferma in Europa è il Cro Magnon (cioè homo sapiens sapiens), con fronte diritta, alta statura, mento massiccio, naso prominente.
Insomma assolutamente incompatibile con un Neanderthal. «Per qualche tempo» spiega Coppens, «si è parlato di genocidio dei Neanderthaliani proprio a opera dei Cro Magnon, molto più numerosi e specializzati, immigrati in Europa dal Medio Oriente.
Ma non sono mai stati trovati segni di violenza sulle ossa fossili. Quindi quel che è più probabile è che la sostituzione dei Cro Magnon ai neanderthaliani non sia avvenuta all’improvviso ma nell’arco di 5 millenni, quindi con fenomeni di mescolamento tra le due sotto-specie umane».
Più cauto è il professor Giacomo Giacobini, autore degli scavi italiani neanderthaliani nella Caverna delle Fate (Finale Ligure):
«Ci sono prove archeologiche del fatto che le due popolazioni si sono incontrate, ma che ci siano stati anche veri e propri “incroci” non è dimostrabile. Alcuni lo affermano in base ai cambiamenti nelle “industrie”: gli ultimi strumenti neanderthaliani mostrano un’evoluzione forse dovuta all’imitazione delle industrie dei Cro Magnon. Qualche studioso tornava addirittura a proporre una distinzione tra i due a livello di specie».
Con la conseguente impossibilità di incroci. Materiale di studio sull’argomento in Italia non manca: oltre ai resti ossei di Caverna delle Fate (70mila anni fa), i primi venuti alla luce in Italia settentrionale, c’è il cranio famosissimo di Grotta Guattari (Monte Circeo, risale a 50mila anni fa), la cui insolita posizione (era rovesciato e circondato da un cerchio di pietre) aveva fatto pensare a un rituale magico, finché la grotta non è stata identificata semplicemente come un rifugio di iene, che qui forse portavano le loro prede.
Ma da dove sarebbero arrivati l’uomo di Neanderthal, e poi il suo successore? «L’Europa, dopo il primo popolamento (un milione e mezzo di anni fa), ha fatto di se stessa un’isola: le glaciazioni hanno coperto le Alpi e tutto il Nord del nostro continente, lasciando solo un corridoio di passaggio molto stretto tra il Mediterraneo e le Alpi, e uno leggermente più ampio all’altezza delle pianure tedesche», spiega Coppens.
Dal quale sarebbero passati, in arrivo dal Medio Oriente, sia i Neanderthaliani prima che, più tardi, i Cro Magnon.
Note
COME ERAVAMO, DALLA SCIMMIA ALL'UOMO, UN CAMMINO DI 20 MILIONI DI ANNI:
- Proconsul il primate: Vissuto 20 milioni di anni fa in Kenya, era una scimmia quadrupede, e fu il primo degli Ominoidei.
- La scimmia del Kenya: Erede del Proconsul, il Kenyapithecus aveva denti più grandi e già 10 milioni di anni fa poteva alzarsi sugli arti posteriori.
- Un anello importante: L'ominide Pre-Australo pithecus: 3,6 milioni di anni fa camminava in posizione eretta. Da lui forse si è staccato il genere Homo.
- Il primo cacciatore: Aveva denti più piccoli ma usava bastonie pietre. L' Austra lopithecus africanus visse 3 milioni di anni fa.
- Il primo artigiano: 2 milioni di anni fa nacque Australopithecus robustus, che forse fu il primo a scheggiare la selce e la pietra.
- Homo habilis: Visse 2 milioni di anni fa, e inventò strumenti. Aveva una capacità cranica di 500 cc. Forse parlava.
- Homo erectus: 1,6 milioni di anni fa riuscì a domare il fuoco. Possedeva una capacità cranica fino a 1250 cc. e visse fino a 150 mila anni fa.
- Sapiens arcaico: E' il primo uomo moderno, evolutosi tra 150 mila e 100 mila anni fa. Seppelliva i suoi morti e forse già osservava culti religiosi.
- Il padre dell'Europa: Neanderthal è l'homo sapiens arcaico del Vecchio continente, vissuto tra 80 mila e 40 mila anni fa.
- Sapiens sapiens: Tra 35 mila e 15 mila anni fa si impone il tipo umano più evoluto, per forme fisiche e livello culturale.