Il ruolo di CEO (Chief Executive Officer) è molto difficile da ricoprire.
Stando al Conference Board, tra il 2000 e il 2013 circa un quarto delle uscite dei CEO da aziende della classifica Forame 500 sono state involontarie.
La ricaduta economica di questi licenziamenti può essere pesantissima: uno studio effettuato nel 2014 da PwC sulle 2500 più grandi aziende del mondo ha dimostrato che l’allontanamento forzato dei numeri uno costa agli azionisti qualcosa come 112 miliardi di dollari all’anno in capitalizzazione di mercato persa.
Sono cifre scoraggianti per i membri dei CdA che hanno il delicato compito di nominare i CEO – e terrorizzanti per qualunque leader che aspiri al posto di comando.
Evidentemente, molti leader e molti board peraltro competentissimi stanno sbagliando in qualcosa. La domanda è: in cosa?
E quali sono i comportamenti essenziali che aiutano di CEO a ottenere le posizioni di vertice e a conservarle con dei risultati eccellenti? Scopriamoli insieme!
1. Il CEO Genome Project
Esiste una grossa discrepanza tra quelle che secondo i consigli di amministrazione sarebbero le caratteristiche del CEO ideale e ciò che produce in realtà una performance elevata.
La discrepanza parte da uno stereotipo irrealistico ma largamente diffuso, che è sensibilmente influenzato dalle biografie ufficiali dei leader nella classifica Fortune 500.
Il CEO di successo sarebbe un bianco carismatico alto almeno un metro e 80, laureato in una prestigiosa università, dotato di una grande visione strategica, accompagnata da un iter di camera che conduce inevitabilmente al vertice e dalla capacità di prendere decisioni ottimali quando si trova sotto pressione.
Ma ben pochi leader di successo corrispondono a tale profilo. Questa presa di coscienza ha spinto diversi esperti del settore a mettere in cantiere uno studio decennale, il CEO Genome Project.
Il suo obiettivo è identificare le caratteristiche specifiche che differenziano i CEO ad alta performance (definiti come executive che soddisfano o eccedono le aspettative di ruolo, a giudizio di membri di board e azionisti di maggioranza che conoscono bene la performance del leader aziendale).
In collaborazione con alcuni economisti della University of Chicago e della Copenhagen Business School, e con gli analisti di SAS, fu attinto a un database creato da una società di consulenza specializzata nello sviluppo della leadership, ghSmart, che contiene oltre 17.000 valutazioni di top manager, tra cui 2.000 CEO.
Il database mette a disposizione informazioni dettagliate sulla carriera, sui risultati e sui modelli comportamentali di ogni leader.
Successivamente furono passate al setaccio quelle informazioni, alla ricerca di ciò che distingueva i candidati chiamati a ricoprire il ruolo di vertice da quelli che non c’erano arrivati e quelli che eccellevano nel ruolo da quelli che davano una performance insoddisfacente .
Le scoperte hanno messo in discussione molti assunti tradizionali. Per esempio, l’analisi ha rivelato che mentre i board sono attratti spesso da soggetti estroversi e carismatici, gli introversi tendono un po’ di più a superare le aspettative dei board e degli investitori.
Tutti i candidati alla posizione di CEO avevano commesso gravi errori in precedenza e che il 45% di loro aveva avuto almeno un “incidente di percorso” che gli aveva fatto perdere il posto o era costato molto all’azienda. Eppure, alla fine, più del 78% dei componenti di quel sottogruppo di candidati erano arrivati al top.
Fu scoperto inoltre che il pedigree scolastico (o la sua mancanza) non si correla in nessun modo con la performance: solo il 7% dei CEO ad alta performance si erano laureati presso una università della Ivy League, mentre l’8% non aveva neppure una laurea di primo grado.
E quando si sono confrontate le caratteristiche apprezzate dai consigli di amministrazione nelle interviste ai candidati con quelle che aiutano i leader a fare meglio, la sovrapposizione era a dir poco evanescente.
Per esempio, la fiducia in se stesso raddoppia le probabilità del candidato di essere scelto per la posizione di CEO ma non gli assicura alcun vantaggio nella performance operativa. In altre parole, ciò che rende appetibili i candidati agli occhi dei board c’entra ben poco con ciò che ne assicura il successo nel ruolo di CEO.
Ma la scoperta più importante era che i CEO di successo tendono a esibire quattro comportamenti specifici che si dimostrano essenziali per la loro performance.
Si è scoperto altresì che quando si focalizzano su quei comportamenti nei processi di selezione e di sviluppo, i consigli di amministrazione hanno molte più probabilità di assumere il candidato giusto.
Quando i leader che aspirano alla posizione di CEO - l’87% degli executive, stando a un’indagine effettuata nel 2014 da Kom Ferry - sviluppano deliberatamente quei comportamenti, è molto più probabile che diventino dei chief executive sovraperformanti. Ben difficilmente i leader di successo eccellono in tutti e i quattro comportamenti.
Ma fu rilevato un collegamento interessante. Circa metà dei candidati forti (quelli che avevano ottenuto una A su una scala a tre livelli, A, B e C) si erano distinti in uno o più dei quattro comportamenti essenziali, mentre solo il 5% dei candidati deboli (quelli che avevano ottenuto una B 0 una C) avevano fatto la stessa cosa.
I comportamenti che stiamo per descrivere sembrano ingannevolmente semplici. Ma occorre praticarli con una coerenza maniacale e per molti leader è difficilissimo.
2. Decidere in tempi brevi e con convinzione
Le leggende sui CEO che sembrano sapere sempre esattamente come guidare le proprie aziende verso un successo incondizionato pullulano nel business.
Ma fu scoperto che i CEO ad alta performance non si distinguono necessariamente perché prendono sempre decisioni efficaci.
Si distinguono, piuttosto, per una maggiore determinazione. Decidono prima, più rapidamente e con maggiore convinzione. E lo fanno costantemente, anche nelle fasi di ambiguità, quando le informazioni sono incomplete e in ambiti con cui hanno scarsa familiarità.
In base ai dati della ricerca, le persone che si definivano “decise” avevano probabilità 12 volte maggiori di diventare CEO sovraperformanti. Curiosamente, i dirigenti dall’IQ più elevato a cui facciamo coaching, quelli che apprezzano la complessità intellettuale, a volte sono anche i meno risoluti.
Anche se la qualità delle loro decisioni è spesso buona perché cercano sempre la risposta perfetta, possono metterci troppo tempo a fare delle scelte o a fissare priorità chiare - e i loro team pagano uno scotto elevato.
Questi decision maker intelligenti ma troppo riflessivi diventano dei colli di bottiglia e i loro team provano una grossa frustrazione (che può portare all’uscita di persone di talento) o diventano eccessivamente cauti anch’essi, bloccando l’intera azienda.
Non c’è dunque da sorprendersi se durante lo studio degli executive che venivano giudicati poco decisi, fu scoperto che solo il 6% otteneva voti bassi perché decideva troppo in fretta. La stragrande maggioranza - il 94% - riceveva una valutazione negativa proprio perché decideva troppo poco e troppo tardi.
I CEO ad alta performance sanno che spesso una decisione sbagliata è comunque meglio di una non-decisione.
Come ha riferito l’ex CEO di Greyhound Stephen Gorman, che ha guidato l’azienda-simbolo degli spostamenti da una città all’altra degli Stati Uniti in una ristrutturazione, «Una cattiva decisione era sempre meglio della mancanza di direzione strategica. Quasi tutte le decisioni si possono modificare, ma devi imparare a muoverti con la velocità giusta».
I CEO determinati si rendono conto di non poter aspettare informazioni ottimali. «Quando ho un 65% di certezza sulla risposta, devo prendere una decisione», spiega Jerry Bowe, CEO di Vì-Jon, che fabbrica prodotti a marchio privato.
Ma sollecitano punti di vista diversi e interrogano spesso un grappo ristretto di consiglieri fidati accuratamente selezionati, che assicurano opinioni sincere e giudizi affidabili.
Bowe si automotiva ad applicare immediatamente le decisioni con un ragionamento efficace: «Mi faccio due domande: primo, qual è l’impatto se sbaglio? E secondo, quanto bloccherò altri processi se non deciderò rapidamente su questo punto?».
Il suo approccio, per giunta, ispira i collaboratori a fidarsi del proprio giudizio quando devono prendere decisioni operative - uno step fondamentale per lasciare al CEO meno decisioni, ma più importanti.
A questo scopo, i CEO di successo sanno anche quando non decidere. Stephen Kaufman, ex CEO di Arrow Electronics, osserva che è fin troppo facile infilarsi in un processo decisionale a getto continuo.
Consiglia di fermarsi un attimo, per capire se una decisione non andrebbe in realtà presa a livello organizzativo più basso, e se rinviarla di una settimana o di un mese non farebbe emergere informazioni importanti senza causare danni irreparabili.
Ma scelta una via, i CEO ad alta performance vanno avanti senza esitazioni. Ci ha detto Art Collins, ex presidente e CEO di Medtronic: «I dipendenti e altri stakeholder critici perdono immediatamente la fiducia dei leader che tentennano o fanno marcia indietro dopo aver preso una decisione».
E se le decisioni non si rivelano azzeccate? La suddetta analisi indica che sebbene tutti CEO commettano degli errori, in massima parte non sono letali. Tra i CEO licenziati per problemi legati al processo decisionale, solo un terzo aveva perso il posto per decisioni sbagliate; gli altri erano stati allontanati per la loro indecisione.
3. Volontà di incidere
Dopo aver fissato un corso d’azione chiaro per un’azienda, i CEO devono ottenere il consenso dei dipendenti e di altri stakeholder.
Si è scoperto che i good performer mettono in equilibrio piena conoscenza delle priorità dei loro stakeholder e focalizzazione incessante sulla produzione di risultati operativi.
Partono dalla comprensione dei bisogni e delle motivazioni dei loro referenti, e poi coinvolgono le persone mettendo al centro la performance e allineandole intorno all’obiettivo di creare valore.
In base ai dati della ricerca, i CEO che coinvolgevano abilmente gli stakeholder con questo orientamento ai risultati avevano il 75% di successo in più nel ruolo. I CEO che eccellono nel coinvolgimento dei dipendenti pianificano ed eseguono comunicazioni e strategie di influenzamento strutturate.
«Per tutte le decisioni importanti, creo una mappa delle persone-chiave di cui vorrei ottenere il consenso», spiega Madeline Bell, CEO del Children’s Hospital di Filadelfia.
«Identifico i detrattori e le loro preoccupazioni, poi mi chiedo come prendere l’energia che potrebbero mettere nella resistenza e incanalarla in qualcosa di positivo. Dico loro che sono importanti per il processo e che contribuiranno a un’impresa vittoriosa. Ma devi mettere bene in chiaro che sei tu a decidere e che ti aspetti una piena collaborazione».
Quando interagiscono con gli stakeholder, i CEO come Bell sono pienamente consapevoli di come possono incidere il proprio umore e il proprio linguaggio sull’impatto delle loro comunicazioni.
Anche se sono stati versati fiumi di inchiostro sul “contagio emotivo”, i CEO di prima nomina restano sorpresi spesso dal danno involontario che può causare una parola o un gesto fuori posto.
«Tutti i commenti che fai e tutte le espressioni che assume il tuo viso verranno lette e moltiplicate per dieci dall’organizzazione», dice Kaufman. «Se fai una smorfia durante una presentazione perché hai male alla schiena, la persona che tiene la presentazione pensa di essere ormai prossima al licenziamento».
La compostezza è un requisito della posizione e più di tre quarti dei migliori candidati del nostro campione dimostravano una calma olimpica anche quando erano sotto pressione.
I CEO che sanno coinvolgere gli stakeholder non investono le proprie energie nel tentativo di rendersi popolari o di evitare ai loro team decisioni spiacevoli. In realtà, ambedue i comportamenti si notano comunemente nei CEO meno brillanti.
Invece, i CEO efficaci ottengono l’appoggio dei colleghi convincendoli che guideranno il team al successo, anche se vuol dire prendere decisioni spiacevoli o fare mosse impopolari.
Questi numeri uno non si sottraggono al conflitto nel perseguimento degli obiettivi di business; anzi, come risulta dall'analisi della ricerca, due terzi dei leader aziendali che eccellevano nel coinvolgimento venivano giudicati, particolarmente bravi nella gestione del conflitto.
La capacità di gestire punti di vista contrastanti sembra anche aiutare i candidati ad avvicinarsi alla stanza dei bottoni. Quando furono analizzati dei leader che ci erano arrivati molto prima della media, una delle qualità che apparivano più evidenti era proprio la disponibilità ad affrontare il conflitto.
Quando affrontano dei temi controversi, i leader che sanno coinvolgere i collaboratori danno voce a tutti, ma non il diritto di voto. Ascoltano e sollecitano opinioni, ma non cercano un processo decisionale basato sul consenso.
«Il consenso è una bella cosa, ma richiede troppo tempo, e a volte si finisce per concordare sul minimo comun denominatore», osserva Christopher Weber, CEO di "Meda Pharmaceuticals.
Weber tiene abitualmente riunioni destrutturate con una trentina di alti potenziali dell’azienda prima di prendere le decisioni più importanti. L'obiettivo di quelle riunioni è mettere in discussione le sue idee e presentare nuovi punti, di vista, ma lui ci tiene a non creare l’illusione della democrazia.
Nulla di tutto questo implica che i CEO debbano agire da dittatori o da lupi solitari. In genere, i CEO che “non fanno prigionieri” durano solo finché l’azienda è costretta ad applicare una terapia-shock.
Questi personaggi vengono quasi sempre messi alla porta appena l’azienda si riprende dallo stato di crisi - perdono l’appoggio dei loro team o dei consiglieri di amministrazione, ormai stufi dei darmi collaterali.
Non è un caso se le carriere dei CEO-ristrutturatori si riducono quasi sempre a una serie di lucrosi mandati di due o tre armi; spengono gli incendi e poi vanno da qualche altra parte.
4. Adattamento proattivo
Per capire quanto sia importante per le imprese e per i leader adeguarsi a un ambiente in rapido cambiamento basta guardare a quello che è accaduto all'indomani della Brexit e delle ultime elezioni presidenziali americane.
L'analisi dimostra che i CEO più capaci di adattarsi hanno probabilità di successo 6,7 volte maggiori.
Gli stessi CEO ci hanno detto ripetutamente che questa competenza era determinante. Quando gli abbiamo chiesto cosa distingue i CEO efficaci, Dominic Barton, global managing partner di McKinsey & Company, ha risposto immediatamente:
«La capacità di gestire situazioni che non sono previste nel manuale. Nel ruolo di CEO sei costantemente alle prese con situazioni per le quali non può esistere un manuale. Occorre essere sempre pronti ad adattarsi».
Quasi tutti i CEO sanno di dover dividere la propria attenzione tra prospettive di breve, medio e lungo termine, ma i CEO adattabili trascorrevano una parte molto maggiore del loro tempo - ben il 50% - a ragionare sul lungo termine.
Gli altri top manager, per contro, dedicavano in media il 30% del proprio tempo alla riflessione strategica. Una fecalizzazione sul lungo termine sia d’aiuto perché rende i CEO più inclini a cogliere i segnali precoci.
I CEO altamente adattabili attingono regolarmente a vasti flussi informativi: scandagliano network estensivi e fonti eterogenee di dati, e colgono aspetti che a prima vista potrebbero apparire estranei al loro business.
Di conseguenza percepiscono prima il cambiamento e fanno delle mosse strategiche per trame vantaggio. I CEO adattabili sanno bene che le difficoltà sono parte integrante del cambiamento di rotta e vedono nei propri errori opportunità di apprendimento e di crescita.
Nel campione della ricerca, i numeri uno che vedevano nelle battute d’arresto dei fallimenti avevano il 50% di probabilità di successo in meno.
I CEO vincenti, invece, fornivano resoconti pacati e obiettivi dei loro sbagli (e delle ragioni che li avevano determinati) e li corredavano con esempi specifici di come avevano modificato il proprio approccio per fare meglio la volta dopo.
Analogamente, gli aspiranti CEO che mostravano questo tipo di atteggiamento (quella che Carol Dweck di Stanford chiama “mentalità orientata alla crescita”) avevano maggiori probabilità di arrivare in cima alla piramide: quasi il 90% dei migliori candidati alla posizione di capo azienda avevano ottenuto un punteggio elevato sulla capacità di far fronte a difficoltà impreviste.
5. Produzione costante di risultati
Per quanto possa apparire scontato, la capacità di produrre costantemente risultati era probabilmente il comportamento più decisivo dei quattro che contraddistinguono i migliori CEO.
Nel campione della ricerca, i candidati alla poltrona numero uno che avevano ricevuto un punteggio elevato in termini di affidabilità avevano il doppio delle probabilità di ottenere la posizione e quindici volte le probabilità di ricoprirla con successo.
I board e gli investitori apprezzano la mano ferma e i dipendenti si fidano dei leader credibili. I leader che ignorano l’importanza dell’affidabilità lo fanno a proprio rischio e pericolo.
Simon - un dirigente ad alto potenziale - era noto nella sua azienda come una sorta di “mago”. In una cultura nella quale fare meglio del piano del 2% veniva considerato un successo straordinario, aveva appena fatto il 150% del target di ricavi.
Nonostante qualche scivolone precedente, adesso guidava brillantemente la business unit più grande dell’azienda - il suo gioiello della corona.
Quando Simon si è candidato per la promozione a CEO, i director erano molto colpiti dalla sua performance eccezionale, ma non capivano bene come l’avesse realizzata, e di conseguenza dubitavano che fosse replicabile.
Perciò il board gli ha preferito un candidato “più sicuro” che era noto per la regolarità con cui dava risultati costanti prevedibili di anno in anno.
I dati confermano l’importanza fondamentale dell’affidabilità. Uno straordinario 94% dei migliori candidati a CEO che fu esaminato otteneva dei punteggi elevati sul rispetto costante degli impegni assunti.
Qui è essenziale fissare aspettative realistiche fin dall’inizio. Nelle prime settimane del nuovo incarico, i CEO affidabili resistono alla tentazione di entrare nell’operatività. Studiano budget e piani, e parlano con consiglieri di amministrazione, dipendenti e clienti per capirne le aspettative.
Nello stesso tempo, valutano rapidamente il business per farsi un’idea di ciò che è realistico e si danno da fare per allineare le aspettative a quegli obiettivi.
Nel 2012, quando Scott Clawson ha preso il timone di Culligan, leader mondiale nel trattamento delle acque, ha ereditato un’azienda in difficoltà che per tutti gli analisti aveva un’EBITDA di 60 milioni di dollari. Al termine della sua due diligence, ha dovuto comunicare agli investitori che il vero utile operativo era più vicino ai 45 milioni di dollari.
Anche se all’inizio si è visto respingere il nuovo target più basso, ha rilanciato il business dell’azienda facendo leva sulle sue competenze specifiche e ha prodotto risultati al di sopra delle aspettative - con grande gioia del board e degli investitori.
I CEO che venivano apprezzati per la loro affidabilità impiegavano anche altre tattiche. Tre quarti di loro venivano valutati molto positivamente sulle capacità organizzative e di pianificazione.
Avevano introdotto sistemi di gestione che includevano riunioni periodiche, quadri di controllo degli indicatori di performance, responsabilità chiare e canali multipli per monitorare i risultati ed effettuare rapide correzioni di rotta. Ma soprattutto, si circondavano di team di qualità.
Sfortunatamente, non era così per tutti i CEO: l’errore più comune in assoluto tra quelli di prima nomina - commesso da un altissimo 60% di loro - era non mettere assieme abbastanza rapidamente il team giusto.
Per i CEO che devono scegliere dei collaboratori di talento, la posta in gioco è alta e gli errori sono evidenti. Quelli di successo agiscono con decisione per sviluppare i talenti.
Mettono l’asticella in alto e si concentrano su una performance adeguata al ruolo anziché puntare sul comfort personale o sulla lealtà - due criteri che producono spesso scelte sbagliate.
Per essere chiari, non c’è un mix ottimale dei quattro comportamenti, un mix che vada bene per tutte le posizioni di CEO. Il settore e la tipologia dell’azienda concorrono a determinare i comportamenti e le competenze più importanti per ogni situazione specifica.
Un CEO che opera in un settore in rapida evoluzione - per esempio l’alta tecnologia - dovrà eccellere certamente nell’adattamento proattivo, ma quel tipo di comportamento potrebbe contare di meno in settori stabili.
Vi domanderete a questo punto che peso hanno l’integrità e altre caratteristiche di base. Sono critiche per escludere dei candidati inadatti, ma non vi aiuteranno a separare i migliori dagli altri.
Tenete presente che, nel campione esaminato, il 100% dei CEO sottoperformanti avevano ottenuto punteggi elevati in termini di integrità e il 97% erano apprezzati per l’etica del lavoro.
In conclusione, la ricerca dimostra che il successo nei ruoli di leadership non dipende da caratteristiche immodificabili o da un pedigree inarrivabile. Non c’è nulla di miracoloso negli ingredienti principali: determinazione, capacità di coinvolgere gli stakeholder, adattabilità e affidabilità.
Anche se non c’è nessun approccio “universale”, la focalizzazione su questi comportamenti essenziali accrescerà sia le probabilità del board di scegliere il CEO giusto, sia le probabilità del singolo leader di avere successo in quel ruolo.
Note
L'idea in breve:
- IL PROBLEMA
Troppi CEO falliscono nel loro ruolo. Tra il 2000 e il 2013, il 25% dei chief executive della classifica Fortune 500 che hanno lasciato le proprie aziende sono stati messi alla porta. - LA CAUSA
Una delle ragioni principali del fenomeno è una grossa discrepanza tra quelle che secondo i consigli di amministrazione sarebbero le caratteristiche del CEO ideale e ciò che produce in realtà una performance elevata. - LE SCOPERTE
Le indicazioni ricavate da un database che contiene 17.000 valutazioni di top manager mette in luce quattro comportamenti specifici che si dimostrano essenziali per la loro performance: sono decisi, vogliono avere un impatto, si adattano proattivamente e producono costantemente risultati.