Oggi nella cassetta della posta troviamo solo multe, bollette e pubblicità: le lettere arrivano sul computer.
Una volta non era così e comunicare a distanza è stato uno dei problemi più antichi dell’umanità: dai segnali luminosi e sonori, passando per papiri e pergamene, fino ad arrivare alle tavolette di argilla dei Sumeri, prime lettere della Storia.
Nell’antico Egitto a inviare missive erano soprattutto i faraoni: quelli della XIX dinastia 3.200 anni fa intrattenevano una regolare corrispondenza con i re assiri e babilonesi attraverso papiri che viaggiavano sul Nilo.
Ai tempi di Augusto, 2mila anni fa, i fulminei corrieri a cavallo romani (“ispirati” da quelli persiani) macinavano migliaia di chilometri per portare gli ordini imperiali. Ma la corrispondenza, come la intendiamo noi, è un fenomeno più moderno.
Affinché potesse decollare un vero “sistema poste” servivano 4 condizioni. Innanzitutto le persone dovevano saper leggere e scrivere (alla fine del XIX secolo i due terzi degli italiani, tanto per fare un esempio vicino a noi, erano analfabeti).
Poi serviva un destinatario: soltanto dal Duecento i commerci si estesero abbastanza, mentre prima (e per moltissimi anni anche dopo) si lavorava a due passi da casa.
Inoltre servivano supporti più economici di papiri e pergamene: il problema fu risolto solo nel tardo Medioevo con la diffusione della carta in Europa. Solo quando queste condizioni raggiunsero una “massa critica” arrivò il quarto ingrediente: qualcuno che recapitasse le lettere, cioè il postino.
Però, almeno fino al Settecento, solo eserciti e sovrani ne avevano uno, sotto forma di messaggero a cavallo. E solo i ricchissimi potevano pagare un inviato per consegnare lettere d’amore o d’affari.
Dai corrieri persiani ai cursores romani, fino alle mail: ecco tutte le tappe e i primati dei servizi postali.
Curiosità:
Ecco alcuni numeri:
– 21 GIORNI
Impiegati dai messaggeri medioevali per consegnare una lettera da Prato a Barcellona. Il compenso? 18 fiorini d’oro.
– 3 GIORNI
Il “record postale” di una lettera partita il 24 dicembre 1856 con la diligenza da Milano, per arrivare a Lione (Francia).
– 84,5 ORE
Il tempo impiegato dai “cavallari” di Gian Galeazzo Visconti per andare da Milano a Roma, con cambi ogni 70 km.
– 26 GIORNI
Il tempo necessario a una lettera di Giulio Cesare a Cicerone per arrivare, via terra, dalla Britannia a Roma.
– 1000 CHILOMETRI
La distanza percorribile in un giorno da un piccione viaggiatore usato in guerra.
1. Dai faraoni ai Romani
- Caro faraone ti scrivo...
L’origine della posta, a ben vedere, precede l’invenzione della scrittura.
I primi mezzi per comunicare erano torce e specchi usati per segnali luminosi o di fumo; oppure corni e trombe per quelli sonori, che in Cina usavano migliaia di anni fa.
Le più antiche testimonianze di lettere scritte sono emerse durante gli scavi archeologici di Kültepe, in Turchia, nel 1925: erano tavolette d’argilla incise a caratteri cuneiformi dai Sumeri nel 1900-2000 a.C.
Secondo alcuni storici le prime tracce di sistema postale sono da cercare invece nella Cina di oltre 2mila anni fa.
Ma più verosimilmente l’innovazione fu merito dell’imperatore Shih-Huang-ti, che tra il 246 e il 210 a.C. riunì l’impero e per impartire ordini dal centro alla periferia si avvalse di messaggeri a cavallo.
E se nell’antico Egitto fu lo stesso faraone Ramses I a promuovere una rete di comunicazione con papiri che viaggiavano sul Nilo, in Persia toccò a Ciro il Grande, nel VI secolo a.C., lanciare un servizio postale che dall’attuale Iran arrivava fino al Mediterraneo: 2.700 km di “via regia” punteggiata da 111 stazioni, che i corrieri imperiali percorrevano in 9 giorni cavalcando 24 ore su 24.
“Niente è più rapido del modo di trasmissione dei messaggi inventato dai Persiani”, scrisse ammirato il greco Erodoto. Che aggiungeva: “Su tutte le strade sono disseminate le stazioni per il cambio di uomini e cavalli sfiniti dalla corsa, e i corrieri si scambiano l’un l’altro le notizie”. - Gli instancabili corrieri di Roma
Al fondatore dell’Impero romano, Ottaviano Augusto (63 a.C.-14 d.C.), non sfuggì l’importanza strategica della “via regia” persiana.
Perfezionando un modello sperimentato da Giulio Cesare in Gallia, lanciò il cursus publicus romano: era il primo sistema di posta pubblica lungo la rete stradale romana.
Qualcosa come 200mila km di rete si irradiava dal “miliario aureo” del Foro romano fino alla Scozia e all’Etiopia, dalle sponde dell’Atlantico fino all’Arabia e al Golfo Persico.
Il cursus publicus era organizzato in stazioni di sosta e di cambio cavalli (mansiones e mutationes) riservate a chi viaggiava per ragioni di Stato.
Più che un servizio postale, dunque, era uno strumento per mantenere la coesione politica dell’impero: per trasmettere gli ordini militari fino alle più remote province i corrieri a cavallo (cursores) percorrevano fino a 270 km in 24 ore.
Ma dove erano scritti quei messaggi? Inizialmente su tavolette d’osso o metallo spalmate di cera, poi su rotoli di papiro con inchiostri vegetali.
Nella foto sotto:
1) Lettera commerciale inviata nell’antico Egitto di 3mila anni fa per chiarire un disguido su una fornitura di merci.
2) Calice con inciso l’itinerario postale da Cadice a Roma, del I secolo d.C.
3) Rotula tardo-medioevale: la risposta era aggiunta in coda al messaggio.
2. Monaci e “maestri di posta”
Il tramonto dell’Impero romano d’Occidente (IV-V secolo d.C.) fu accompagnato dalla frammentazione degli Stati europei.
E senza un potere centrale la trasmissione delle notizie fu relegata a messaggeri locali.
Gli araldi richiamavano la popolazione con squilli di tromba e leggevano le volontà del signore del luogo. I servizi postali medioevali furono lasciati alla libera iniziativa di università e monaci.
E i postini più creativi furono proprio quelli che lavoravano per i monasteri. I monaci-corrieri inventarono infatti la rotula: le risposte alle lettere di abati e vescovi erano cucite sotto le missive originali e poi arrotolate in cilindri di legno.
Quella che annunciò nel 1113 la morte di Matilde, badessa a Essen (Germania), toccò 242 monasteri e alla fine misurava 20 metri. I più interessati, per ragioni d’affari, alla posta erano però i mercanti.
La corporazione dei macellai tedeschi, per esempio, aveva un proprio servizio postale, la Metzerpost. E il fiorire dei commerci portò a un boom nella domanda di “scarsellieri” (il nome deriva dalla borsa, detta scarsella, usata per trasportare denaro o documenti).
Viaggiavano a piedi su strade battute da briganti e soldati e il loro era un mestiere pericoloso. La loro vita migliorò alla fine del Trecento, quando si trasformarono in corrieri a cavallo e poi, con le diligenze, in postiglioni.
I pionieri del settore furono due italiani, i fratelli bergamaschi Zanetto e Francesco Tasso: nel 1504 ricevettero dall’imperatore Massimiliano I d’Asburgo il monopolio postale in tutto l’impero.
Alla fine del XVIII secolo la famiglia Tasso (germanizzata in Thurn und Taxis, da cui deriverebbe la parola “taxi”) gestiva 20mila “maestri di posta”, migliaia di cavalli e castelli ed era una delle più ricche d’Europa.
Nella foto sotto:
1) Un’immagine del 1890 di un postino nipponico coperto di irezumi, il tipico tatuaggio giapponese.
2) Francesco Tasso
3. Al servizio di Sua Maestà e una rivoluzione bollata
- Al servizio di Sua Maestà
La scoperta dell’America nel 1492 segnò il debutto della posta “transatlantica”, imbarcata sui galeoni.
Ma quei viaggi erano talmente costosi che imperatori, re, papi e duchi iniziarono a rivendicare il cosiddetto “diritto postale”, imponendo che la loro corrispondenza viaggiasse gratis.
Il sistema postale divenne sempre più caro: le perdite economiche provocate dalle tasse, dal rischio che i plichi non venissero consegnati per smarrimento, morte o assenza del destinatario erano così ingenti da sfociare in tariffe postali esorbitanti, alla portata solo di nobili e ricchi mercanti.
I servizi postali erano così redditizi che nel corso del Seicento le poste private europee vennero “nazionalizzate” dagli Stati assetati di denaro.
Carlo Emanuele I di Savoia nel 1604 istituì il primo monopolio governativo delle corrispondenze private.
Francia e Inghilterra ne seguirono l’esempio e i corrieri si dotarono di divise e stemmi reali. - Rivoluzione bollata
Il 6 maggio 1840 entrò ufficialmente in circolazione nel Regno Unito il Penny Black: era il primo francobollo della Storia e segnò una svolta.
La nascita del francobollo deriva della riforma postale inglese del 1837, organizzata dal politico Rowland Hill: scopo di Hill era abbattere i privilegi postali dell’aristocrazia.
Due anni di battaglie parlamentari sfociarono in due novità: l’adozione di una tariffa unica, ispirata al principio “pagare meno, pagare tutti”, calcolata in base al peso del plico, e il pagamento anticipato della tariffa.
Per scovare il migliore sistema di affrancatura nel 1839 fu bandito un concorso: vinse il francobollo con l’effigie della Regina Vittoria su fondo nero, battezzato Penny Black (dal valore di un penny, cioè un sesto della tariffa allora vigente).
Il primo francobollo italiano fu emesso nel 1863: raffigurava ovviamente il primo re d’Italia, Vittorio Emanuele II.
Nella foto sotto Penny Black (1840, a sinistra) e Penny Red (1841, a destra), i primi due francobolli emessi al mondo.
4. La cartolina postale e i portalettere del Regno d’Italia
- La cartolina postale
L’Ottocento fu il secolo d’oro della posta.
I cartoncini di auguri diffusi in Europa a partire dal Settecento ispirarono l’invenzione della cartolina postale.
Ideata nel 1865 come “foglio aperto per brevi comunicazioni”, costava meno di una lettera.
Nel 1870, in Germania, videro la luce le Grüß aus... (“Saluti da...” in tedesco): erano cartoline stampate con un “collage” di luoghi di interesse storico o turistico.
Dal 1885 poi iniziarono a diffondersi anche in Italia, con affrancatura ridotta a 10 centesimi.
Le prime “cartoline illustrate autorizzate dal Governo italiano”, stampate dall’editore Danesi di Roma, raffiguravano monumenti storici e scorci panoramici. - Portalettere del Regno d’Italia
Le Regie Poste del Regno d’Italia furono istituite il 5 maggio 1862.
Per ambire a diventare portalettere bisognava avere oltrepassato la maggiore età, essere cittadino del Regno, di specchiata onestà e superare un attento esame per dimostrare di “saper leggere e scrivere, far di conto e conoscere il francese”.
Era vietato “cambiare itinerario, entrare nei caffè e nei bar, fumare, chiacchierare per via e leggere i giornali che doveva distribuire”.
La divisa era fornita dallo Stato, ma andava rimborsata in 24 rate. Nel 1863 furono assunte come addette alle Poste e Telegrafi, le “vedove, figlie o sorelle di un impiegato defunto che abbia servito all’Amministrazione della Posta”.
Ma il loro stipendio era più basso di quello dei colleghi uomini.
Nella foto sotto un ufficio postale di Londra nel 1800.
5. Dal cavallo al sommergibile e la posta di guerra
- Dal cavallo al sommergibile
Le lettere, si sa, devono arrivare in fretta: perciò i servizi postali sono sempre stati all’avanguardia nell’impiego dei mezzi di trasporto.
Alla fine del Settecento furono introdotte le carrozze per il trasporto della posta (in Italia battezzate “velociferi”); le diligenze a cavallo hanno lasciato il posto a uffici mobili su navi e vagoni ferroviari (il primo “ambulante postale ferroviario” fu istituito dal Regno di Sardegna nel 1855) e da tram cittadini muniti di una buca delle lettere.
Agli albori delle quattro ruote, nel 1908, le Poste italiane promossero un “concorso delle automobili pel servizio postale rurale”: fu vinto da una società di Torino con un omnibus dotato di motore da 30 cavalli, 15 posti e ripostiglio per la posta: era nata la “corriera”.
Con la Grande guerra si inaugurò la posta aerea: il 27 maggio 1917 decollò il primo velivolo postale, in servizio fra Torino e Roma.
Germania e Spagna sperimentarono invece l’impiego postale dei sommergibili e negli anni Venti, per la corrispondenza con le Indie, l’Olanda adottò casseforti postali galleggianti: in caso di naufragio restavano a galla e lanciavano razzi di segnalazione. - Posta di guerra
Il primo conflitto mondiale fu il battesimo del fuoco per la posta militare.
Gli scambi epistolari da e per il fronte arrivarono a 4 miliardi circa di lettere ordinarie, 20 milioni di raccomandate, 9 milioni di pacchi, 30 milioni di vaglia transitati per le trincee.
C’era da regolare tutto quel traffico. Ma, soprattutto, c’era da evitare che i soldati passassero informazioni e seminassero disfattismo.
La censura sulla corrispondenza esisteva da sempre in Europa, ma riguardava solo le lettere di ufficiali o del corpo diplomatico.
Con la Grande guerra si superò un confine che pareva inviolabile: il segreto epistolare.
Nella foto sotto una diligenza portalettere in partenza dall’ufficio postale del passo del Sempione.