Quando, nel 1864, il grande autore di fantascienza Jules Verne scrisse Viaggio al centro della Terra, probabilmente sapeva che la sua trama era pura fantasia.
I personaggi di Verne (Otto, Axel e la loro guida Hans) scendono solo per qualche chilometro, ma già prima dell’epoca vittoriana si sapeva che non era possibile viaggiare verso il nucleo terrestre.
Ancor oggi non siamo riusciti a perforare la Terra per più di una dozzina di chilometri, mentre il centro del Pianeta si trova a una distanza di oltre 500 volte maggiore: 6370 chilometri.
E allora, come facciamo a sapere che cosa c’è là sotto? Decifrare com’è fatto il cuore del nostro mondo è stato uno straordinario rompicapo scientifico. Ecco perché.
1. Vivere su una palla
L’idea che il Pianeta ha un centro ben preciso è legata al fatto che è a forma di palla, e gli esseri umani sanno da molto tempo che non vivono su un disco.
Che nel Medioevo si credesse che la Terra fosse piatta è un mito, derivante da un misto di propaganda antireligiosa e di fraintendimento delle carte geografiche stilizzate dell’epoca.
Più di 2200 anni fa il poliedrico studioso greco Eratostene compì le prime misurazioni del diametro della sfera terrestre e da allora è sempre stato chiaro che avesse un centro.
Ciò non significa però che i filosofi di altri tempi percepissero la Terra come facciamo oggi. Secondo la fisica greca antica il mondo era composto da una serie di sfere concentriche dei quattro elementi fondamentali: terra, acqua, aria e fuoco.
In questa arcaica visione delle cose, il centro del Pianeta doveva essere solido, perché non ci poteva essere aria all’interno della sfera dell’elemento terra.
Chiaramente la sfera della terra non poteva essere completamente circondata da quella dell’acqua (altrimenti non ci sarebbero state le zone emerse in cui vivevano gli uomini), e quindi una parte della terra doveva venir fuori, ma credevano si trattasse di un unico continente.
La scoperta delle Americhe fu uno dei primi risultati sperimentali scientifici a confutare l’idea di un singolo continente e fece fare un significativo passo avanti sulla strada che ha portato al superamento della visione greca.
L’idea che la Terra fosse interamente cava, o con vaste caverne che raggiungono il centro come nel romanzo di Verne, è invece diffusa nella narrativa e nella mitologia fin dall’antichità, e figura anche in varie teorie pseudoscientifiche e cospirazioniste.
Sembra però che nessuno scienziato l’abbia mai presa sul serio. Solo l’astronomo Edmond Halley, nel 1692, ipotizzò una Terra cava per spiegare alcune insolite osservazioni con la bussola.
Circa un secolo dopo, nel 1798, un eccentrico scienziato inglese pose fine una volta per tutte a questa ipotesi: fu quando Henry Cavendish “pesò” il Pianeta.
2. Pesare la Terra
Cavendish era un uomo bizzarro, che proveniva da una famiglia aristocratica e comunicava con i suoi servitori solo con dei bigliettini, per evitare di averci a che fare di persona.
Dedicò la vita alla scienza, occupandosi sia di chimica sia di fisica, e il suo risultato più famoso fu un esperimento per calcolare la densità della Terra.
Usando una semplice bilancia di torsione, riuscì a calcolare l’entità della forza provocata dall’attrazione gravitazionale di due palle più grandi su due più piccole.
Confrontandola con l’attrazione gravitazionale della Terra, ottenne la densità del Pianeta (e, visto che le dimensioni della Terra erano già note, ne dedusse la sua massa).
La densità suggerì che il nostro Pianeta doveva essere per lo più solido, a meno che non ci fossero materiali ignoti, estremamente densi, nelle sue profondità.
Oggi sappiamo che l’interno della Terra si divide in tre livelli:
- la crosta, che è lo strato esterno, con uno spessore fra 5 e 75 chilometri;
- il mantello, che si estende fino a una profondità di circa 2900 chilometri;
- e il nucleo – quello che ci interessa qui – che ha un raggio di circa 3500 chilometri attorno al centro della Terra e a sua volta ha due parti.
Il nucleo interno è una sfera estremamente calda ma solida di nichel e ferro, con un raggio di circa 1200 chilometri; la sua temperatura, sui 5400°C, non è lontana da quella della superficie del Sole.
Il resto è il nucleo esterno, liquido, anch’esso per lo più di ferro, con temperature simili, che salgono verso l’interno. Ma come possiamo sapere così tanti dettagli su un luogo inaccessibile?
Data l’impossibilità quasi totale di arrivare anche solo a mille chilometri dal nucleo, tutte le nostre conoscenze sono indirette e derivano dalla sismologia, la scienza che studia i terremoti.
Dopo una scossa le onde sismiche viaggiano attraverso la Terra, cambiando di forma e direzione a seconda dei materiali che attraversano.
I geofisici usano queste informazioni per dedurre che cosa si trova all’interno del Pianeta; i sismografi, gli strumenti per misurare queste onde, sono un po’ l’equivalente dei telescopi per lo Spazio, ma sono puntati verso l’interno della Terra.
All’inizio del Novecento le temperature crescenti che si osservavano scavando sempre più a fondo, unite all’analisi delle onde sismiche, fecero pensare che l’interno del nostro Pianeta fosse almeno in parte fuso, tanto caldo da trasformare roccia e metallo in liquido.
Le scoperte fondamentali si devono a due scienziati che, incredibilmente, non furono neppure mai candidati a un premio Nobel: il geologo britannico Richard Oldham e la sismologa danese Inge Lehmann.
3. Onde meravigliose
Se pensiamo a un’onda probabilmente ce ne verrà in mente una di superficie, come quelle che vediamo al mare, ma molte onde – per esempio quelle sonore – viaggiano attraverso l’interno della materia.
Le onde sismiche che provocano danni durante un terremoto sono quelle che si muovono sulla superficie, ma ci sono anche due tipi di “onde di corpo” che passano dentro la Terra.
Le onde P (“P” sta per “primario”) sono onde longitudinali, come quelle sonore: vibrano nella direzione del moto, e fanno sì che la Terra si comprima e si dilati al loro passaggio.
Queste onde si muovono velocemente, a circa 5 chilometri al secondo in una roccia come il granito e fino a 14 km/s nelle parti più dense del mantello.
Le onde del secondo tipo, le onde S (“S” sta per “secondario”), sono onde trasversali, cioè si muovono lateralmente: sono più lente e a differenza delle onde P non si trasmettono attraverso il liquido, il che ci fa capire perché questi due tipi di onde si siano rivelati essenziali per capire il nucleo terrestre.
Immaginiamo un fortissimo terremoto. Le onde cominciano ad attraversare la Terra: partono prima le onde P, mentre le onde S le seguono a circa metà della velocità.
Entrambi i tipi sono rilevati dai sismografi di tutta la Terra ma là dove le onde attraversano il nucleo per raggiungere una stazione di misurazione lontana c’è una cosiddetta zona d’ombra.
Se ci spostiamo di circa 104° lungo la circonferenza terrestre partendo dall’epicentro del terremoto le onde spariscono, mentre da 140° in poi le onde P riappaiono, ma senza le corrispondenti onde S.
Già nel 1906 Richard Oldham comprese il senso di questa strana ombra. Aveva trascorso buona parte della carriera nel Geological Survey of India, lavorando spesso nell’Himalaya.
Quando nel 1903 andò in pensione in Gran Bretagna, fece uso dei dati accumulati negli anni precedenti per sondare l’interno della Terra. Si rese conto che il comportamento che era stato osservato per le onde P e per le onde S si poteva spiegare se il centro della Terra era liquido.
In questo caso le onde P venivano rifratte dal liquido, rimanendo deviate come la luce quando passa dall’acqua all’aria e lasciando un’ombra caratteristica. Le onde S, invece, sarebbero state fermate del tutto da un nucleo liquido.
La scoperta di Oldham portò al concetto generalmente accettato di un nucleo fuso, ma trent’anni dopo Inge Lehmann comprese che l’idea di Oldham era troppo semplice.
La rifrazione delle onde P da parte del liquido denso al centro della Terra avrebbe dovuto produrre un’ombra totale, mentre le misurazioni svolte con i sismografi più sensibili, ormai disponibili ai tempi della Lehmann, mostravano che nella zona d’ombra continuavano ad arrivare fioche onde P.
Studiando i dati delle onde che avevano attraversato il pianeta provenendo dalla Nuova Zelanda durante il terremoto del 1929, la Lehmann ipotizzò che esse venissero riflesse dal confine fra un nucleo interno solido e quello esterno liquido.
I suoi risultati, pubblicati nel 1936, furono confermati due anni dopo da Beno Gutenberg e Charles Richter, che diedero un modello accurato degli effetti di un nucleo solido. Nel 1970, infine, giunsero le prime misurazioni dirette di queste onde sismiche riflesse.
4. Sotto pressione e solo con la mente
- Sotto pressione
L’esatta natura del nucleo interno è comunque ancora oggetto di forti dibattiti.
Le sue temperature, per esempio, si possono ricavare solo da studi sperimentali su come si fondono e solidificano sotto pressione vari materiali.
E l’ipotesi che il nucleo sia formato principalmente da ferro e nichel è stata formulata deducendola dalla frequenza con cui i diversi elementi sono presenti nella nostra regione della Via Lattea e da ciò che sappiamo su come si formò il nostro Pianeta.
Sotto l’immensa pressione che si raggiunge nel centro della Terra – più di 3 milioni di volte la pressione atmosferica – i materiali si possono comportare in modo molto diverso dalle condizioni normali.
Anche se il candidato più ovvio per il nucleo interno è una lega solida di nichel e ferro, è possibile che un plasma estremamente denso – lo stato della materia che si trova nelle stelle – abbia proprietà simili.
Una delle difficoltà è che non sappiamo come si comportano i materiali in ambienti così estremi. Ecco quindi entrare in gioco la cella a incudini di diamante. In questo strumento incredibile le punte di due diamanti, larghe una frazione di millimetro, vengono spinte l’una contro l’altra.
Applicando una forza su un’area piccola si ottiene una pressione maggiore che su un’area ampia: per questo se su un piede ci finisce un tacco a spillo ci fa più male di una suola piatta.
La cella a incudini di diamante è in grado di creare pressioni fino al doppio di quella del nucleo terrestre, e si può scaldare usando dei laser.
Quando campioni di metallo vengono compressi e riscaldati fino a condizioni simili a quelle del nucleo, il risultato suggerisce che nel centro della Terra potrebbe esserci un solido cristallino. - Solo con la mente
Realisticamente non ci avvicineremo mai al centro della Terra: i livelli di calore, pressione e radioattività (una delle fonti principali di riscaldamento interno) sono così elevati che persino se riuscissimo a perforare 6000 chilometri di roccia di metallo una sonda non potrebbe sopravvivere.
Rispetto all’ipotesi di raggiungere il nucleo terrestre, viaggiare verso l’estrema periferia del Sistema solare è una banalità.
Ma le vibrazioni del nostro stesso Pianeta, prodotte dai terremoti e interpretate da scienziati ingegnosi come Inge Lehmann, ci danno modo di immaginare con la mente ciò che non potremo mai vedere di persona.
5. La scoperta chiave
Il 17 giugno 1929, alle 10.17 ora locale circa, un terremoto di magnitudine 7,3 colpì l’isola sud della Nuova Zelanda.
Le onde sismiche furono registrate dai sismografi di tutto il mondo, in particolare a Francoforte, Copenhagen, Baku, Sverdlovsk e Irkutsk.
Questi apparecchi sono formati da un grosso peso sospeso a un telaio; quando la Terra e il telaio vibrano, l’inerzia del peso gli impedisce di muoversi insieme a loro, creando una differenza di movimento che può essere catturata da un pennino su un rotolo di carta in movimento.
I primi sismografi precisi rispondevano ai movimenti verticali di un braccio orizzontale, ma poco prima del terremoto della Nuova Zelanda si era cominciato a usare un nuovo tipo di sismografo che usava un peso sospeso verticalmente, il che si mostrò essenziale per la scoperta.
La sismologa danese Inge Lehmann lavorava da un paio d’anni confrontando le rilevazioni di diverse stazioni sismiche, inizialmente con dati pubblicati e poi direttamente con le registrazioni originali perché “le letture pubblicate non erano sempre soddisfacenti”, e così scoprì stranezze nella forma delle onde.
Si rese conto che le onde sismiche che arrivavano fra 104° e 140° dall’epicentro avevano interagito con un interno solido, smentendo la precedente opinione che il nucleo della Terra fosse interamente liquido.