Cosa succederebbe se una semplice trasfusione potesse cambiare tutto?
Gli scienziati pensano che il sangue giovane potrebbe invertire la perdita di memoria nei malati di Alzheimer.
Alcune malattie avanzano nel tempo, diventando progressivamente più devastanti.
Ora, gli scienziati possono rimettere indietro l’orologio.
Oggi è possibile recuperare gli effetti devastanti di 5 malattie degenerative (morbo di Alzheimer, cecità, diabete, insufficienza cardiaca e Ptsd)? Scopriamolo insieme!
1. Morbo di Alzheimer
Morbo di Alzheimer - Riparare la memoria con sangue giovane
Più di 1.3 milioni di italiani convivono attualmente con il morbo di Alzheimer.
In America il numero arriva a 5 milioni e si stima che queste cifre siano destinate a triplicare entro il 2050. Nonostante i miliardi spesi per la ricerca, la caccia ad una cura sta avendo poco successo.
Gli studi condotti da Tony Wyss-Coray, neuroscienziato della Stanford University, vanno verso un’insolita direzione.
Quando Wyss-Coray cominciò a studiare il sangue dei malati di Alzheimer, notò una netta differenza rispetto a quello degli individui sani.
Poiché la composizione del sangue cambia con l’età, si domandò se effettuare una trasfusione di sangue giovane potrebbe influire sull’invecchiamento del cervello.
Per scoprirlo, lui e i suoi colleghi hanno condotto un esperimento piuttosto raccapricciante: hanno cucito insieme dei topi giovani e dei topi anziani in modo da fargli condividere lo stesso sistema circolatorio.
Nelle successive cinque settimane, i topi giovani produssero meno neuroni nuovi e i vecchi topi ne produssero di più. Successivamente, i ricercatori hanno iniettato nei topi anziani del plasma dei topi giovani.
Dopodiché li hanno messi in un labirinto e hanno visto che i topi trattati ricordavano più facilmente la strada corretta. I ricercatori stanno ancora cercando di individuare cosa rende il sangue giovane così potente.
Il plasma potrebbe contenere proteine che calmano l’infiammazione, una potenziale causa del morbo di Alzheimer; l’identificazione di tali proteine potrebbe portare a nuove terapie.
Il team ha lanciato una sperimentazione clinica per testare tale ipotesi sugli esseri umani: 18 pazienti riceveranno delle infusioni di plasma giovane per vedere se si verifica un miglioramento dei sintomi del morbo di Alzheimer.
Si tratta di un atto di fede, dice Wyss-Coray, ma con pochi rischi e un enorme potenziale.
2. Cecità
Cecità - Cellule staminali per ripristinare la vista
Le persone con degenerazione maculare legata all’età perdono la loro vista lentamente.
Molti non diventano mai del tutto ciechi, ma vedono gli oggetti sfocati, i colori non nitidi e alla fine i visi possono diventare irriconoscibili.
Qualche anno fa, l’Ocata Therapeutics ha annunciato una terapia con cellule staminali embrionali umane che potrebbe contribuire a ripristinare la vista deteriorata. Nella forma più comune della malattia, l’epitelio pigmentato retinico (EPR), comincia a deteriorarsi.
Questo tessuto trasporta sostanze nutrienti e ossigeno a coni e bastoncelli dell’occhio; senza di essa, i fotorecettori non funzionano più come dovrebbero.
L’Ocata induce le cellule staminali embrionali a diventare cellule dell’EPR, le quali possono poi essere iniettate nell’occhio.
“Cosa accade dopo è ancora poco chiaro: le cellule potrebbero ringiovanire coni e bastoncelli o generarne di nuovi”, dice Eddy Anglade, medico a capo dell’Ocata. Ad ogni modo, la gente comincia a vedere di nuovo.
I dati inerenti le prime due sperimentazioni cliniche dell’azienda, pubblicati lo scorso anno, confermerebbero le risultanze del trattamento.
Dieci persone su 18 hanno registrato un miglioramento alla vista e la terapia è riuscita ad arrestare la perdita della vista nelle altre 7.
Alcuni hanno avuto un sorprendente recupero: un allevatore di 75 anni, cieco da un occhio, è tornato ad allevare i suoi cavalli come prima.
È probabile che si dovrà attendere ancora qualche anno per l’approvazione da parte della Food and Drug Administration (Fda) l’agenzia americana che si occupa della regolamentazione dei farmaci, ma Anglade spera che il trattamento possa un giorno diventare una prassi comune come la chirurgia della cataratta.
3. Diabete
Diabete - Nuove tecniche per perdere peso e abbassare lo zucchero nel sangue
Molte persone con diabete tengono sotto controllo la loro malattia con pesanti dosi di insulina e tanti farmaci.
Per anni, George Treff è stato uno di loro ma, alla fine, il suo corpo ha smesso di rispondere.
Neanche esercizio fisico e dieta lo aiutavano: “Sia che digiunassi, sia che mi sedessi per mangiare 20 chili di cioccolatini non cambiava praticamente nulla”, dice.
Così ad aprile 2009, Treff, che a quel tempo pesava circa 110 chili, provò qualcosa di nuovo: il bypass gastrico Roux-en-Y, un intervento chirurgico in genere riservato ai pazienti obesi.
L’operazione gli restrinse lo stomaco e reindirizzò l’apparato digerente. Dopo l’intervento i pazienti mangiano meno e assorbono meno nutrienti, così perdono peso. Alcune persone mostrano anche dei miglioramenti metabolici nell’arco di pochi giorni.
Dopo l’intervento, lo zucchero nel sangue scese notevolmente e in seguito per lungo tempo non ebbe bisogno di assumere insulina. Oggi, prende solo una parte della dose di cui aveva bisogno una volta.
“Queste operazioni sono meglio per il trattamento del diabete di quanto lo siano per il trattamento dell’obesità”, dice Carel Le Roux, medico presso la University College di Dublino.
La nuova ricerca può aiutare a spiegarne il perché: il corpo aumenta la produzione di acidi biliari, che si legano ad un recettore chiamato FXR, inducendo il rilascio di ormoni che aiutano a regolare lo zucchero nel sangue.
Gli scienziati stanno ora cercando di utilizzare il farmaco per lo stesso effetto.
Michael Downes, biologo molecolare presso il Salk Institute di La Jolla, in California, ha pubblicato uno studio, a gennaio scorso, dimostrando che un farmaco progettato per attivare l’FXR nell’intestino ha aiutato i topi a perdere peso e a controllare la loro glicemia.
Il medicinale potrebbe essere anche più efficace della chirurgia: “Avrete tutti i vantaggi metabolici - spiega Downes - senza dover essere tagliuzzati”.
4. Insufficienza cardiaca
Insufficienza cardiaca - La terapia genica mantiene il pompaggio del cuore
Uno scompenso cardiaco fa sì che una persona si senta stanca, debole e con il fiato corto. Nei casi più gravi si può arrivare anche al trapianto.
Presto, però, potrebbe esserci un’altra opzione: la terapia genica. Per poter battere, le cellule muscolari cardiache devono contrarsi e rilassarsi.
Per contrarsi, degli ioni di calcio fuoriescono dalle cellule attraverso uno speciale organello. Per rilassarsi, una proteina chiamata SERCA2a li pompa all’indietro.
Non riuscendoci, il cuore tende ad avere meno di questa proteina rispetto ad un cuore normale, così Roger Hajjar, un cardiologo del Mount Sinai Hospital di New York, ha sviluppato un modo per fornirne di più.
Il suo laboratorio ha progettato un virus per trasportare delle copie supplementari del gene che codifica il SERCA2a nelle cellule del cuore e inserirle nel DNA.
Di conseguenza, le cellule aumentano la produzione di SERCA2a. Anche se la proteina non può annullare i danni esistenti, può aiutare le cellule rimanenti a funzionare meglio.
Nel 2007, i ricercatori hanno testato la terapia, chiamata MYDICAR, in uno studio clinico su 51 pazienti con insufficienza cardiaca.
Coloro che hanno ricevuto la dose più alta hanno avuto un minor numero di attacchi di cuore e di trapianti di cuore. Tre anni più tardi, hanno anche sperimentato un minor numero di ospedalizzazioni legate al cuore e ai decessi.
Nel 2012, il team ha avviato uno studio su 250 pazienti e, l’anno scorso, la MYDICAR ha ricevuto un’indicazione quale terapia da parte della FDA, il che accelererà il processo di revisione.
Sian Harding, ricercatrice presso l’Imperial College di Londra e collaboratrice di Hajjar, è ottimista circa le sue prospettive: “La terapia potrebbe consentire di condurre una vita normale”, dice.
5. Ptsd
Ptsd (Post-Traumatic Stress Disorder) o Dpts (Disturbo da stress post-traumatico) - La stimolazione cerebrale contrasta la depressione
Come ogni guerra, anche quelle in Iraq e Afghanistan hanno lasciato dietro di sé una scia di ripercussioni su chi è riuscito a tornare a casa.
Gli studi suggeriscono che circa un veterano di guerra su cinque soffrirà di disturbo post-traumatico da stress (DPTS).
Per alcuni, incubi e ansia - tratti distintivi della malattia - scompariranno per conto proprio. Ma per gli altri, nessun supporto e farmaco sembra essere in grado di poterli aiutare.
“Il DPTS è associato ad un’enorme livello di sofferenza”, spiega Ralph Koek, psichiatra presso il VA Sepulveda Ambulatory Care Center di Los Angeles.
Ecco perché Koek e i suoi colleghi hanno recentemente lanciato il primo studio umano per vedere se una stimolazione cerebrale profonda potrebbe aiutare i veterani di guerra che non hanno risposto agli altri trattamenti per il DPTS.
Il team prevede di impiantare degli elettrodi nell’amigdala dei sei partecipanti, la regione del cervello che collega gli eventi legati alle emozioni.
“Nel DPTS, l’amigdala gestisce in particolar modo le emozioni legate alla paura”, dice Jean-Philippe Langevin, neurochirurgo presso il VA Greater Los Angeles Healthcare System di Los Angeles.
Gli scienziati suppongono che il dispositivo possa “disinnescare” il segnale proveniente da un’amigdala iperattiva e aiutare a placare la paura nelle persone con il DPTS nelle situazioni di tutti i giorni.
La ricerca sugli animali sembra andare proprio in questa direzione: uno studio del 2012 sui topi ha scoperto che la stimolazione cerebrale profonda ha ridotto l’ipervigilanza più efficacemente che non gli antidepressivi.
Il DARPA sta lavorando ad uno studio simile. Nel 2013, l’agenzia ha lanciato un programma quinquennale da 70 milioni di dollari per sviluppare un impianto per il cervello.
Grazie al dispositivo sarà possibile monitorare dei circuiti neurali spedifici, con lo stesso obiettivo. “Stiamo cercando di trasformare la vita delle persone”, dice Langevin.