La cattedrale milanese fu voluta da Gian Galeazzo Visconti come emblema della sua potenza.
E’ una delle chiese più ricche di storia della nostra penisola, il prodotto di un cantiere durato oltre 500 anni, tra ripensamenti, aggiustamenti, ripieghi stilistici, demolizioni e rifacimenti.
Il Duomo di Milano è una delle chiese più ricche di storia della nostra penisola, il prodotto di un cantiere durato oltre 500 anni, tra ripensamenti, aggiustamenti, ripieghi stilistici, demolizioni e rifacimenti.
E nonostante tutte le contraddizioni, è stato capace di partorire un unicum stilistico, che oggi si presenta come un organismo unitario, una gigantesca macchina, un capolavoro di marmo e luce. Ecco la sua storia!
1. La cattedrale dei record
Nel suo sogno di grandezza politica, Gian Galeazzo Visconti vedeva nel Duomo l’emblema di una Milano che si facesse guida di un’Italia unita.
Lo volle in marmo, a imitazione delle grandi cattedrali d’Oltralpe (in sostituzione del tradizionale mattone rosso), e per erigerlo chiamò architetti francesi e tedeschi, che accesero infuocate dispute con le maestranze “italiane”.
Si trattava di coniugare gli stilemi del Nord con la “parlata” lombarda, e non era affatto facile.
Era solo il primo episodio di una storia infinita, talmente infinita che la Fabbrica del Duomo, istituita da Gian Galeazzo, è assunta, nei modi di dire milanesi, a emblema di qualcosa che, appunto, non ha mai termine.
D’altronde, ancora oggi la Fabbrica è viva e vegeta, perché la chiesa è sempre bisognosa di restauri. Per estensione, il Duomo è superato, in Europa, solo da San Pietro e dalla cattedrale di Siviglia.
Più che una cattedrale, è il sogno di grandezza di Gian Galeazzo Visconti, ma è anche il teatro del trionfo di Napoleone, qui incoronato re d’Italia nel 1805. Fu lui a imporre di terminarne la facciata, così come la vediamo oggi.
Il Duomo di Milano è una delle chiese più ricche di storia della nostra penisola, il prodotto di un cantiere durato oltre 500 anni, tra ripensamenti, aggiustamenti, ripieghi stilistici, demolizioni e rifacimenti.
E nonostante tutte le contraddizioni, è stato capace di partorire un unicum stilistico, che oggi si presenta come un organismo unitario, una gigantesca macchina di pietra e di luce.
Le misure del Duomo di Milano sono imponenti:
- la guglia più alta, quella della Madonnina, si eleva dal suolo per ben 108,50 m (la statua stessa è alta 4 metri e 16cm e, fino a non molti anni fa, era il vertice più alto di Milano);
- l’altezza della facciata al centro, nel punto più elevato, è di 56,50 m mentre quella della navata maggiore è di 45 m;
- la lunghezza del Duomo all’esterno è pari a 158,5 m.
Imponente la superficie interna: 11.700 m2. Le colonne sono 52, 136 le guglie e ben 3.400 le statue, di cui 2.300 sono collocate all’esterno.
2. Il luogo
Dove ora c’è il Duomo e la sua piazza, nel 1300 c’erano la cattedrale di Santa Maria Maggiore e la basilica di Santa Tecla, sacrificate all’edificazione della nuova cattedrale richiesta per primo dall’arcivescovo Antonio de’ Saluzzi, nel maggio del 1386, e con lui dalla gran parte della comunità milanese.
Un desiderio al quale fu felice di accondiscendere Gian Galeazzo Visconti, che da poco era riuscito a scalzare dal potere il terribile zio Bernabò.
Il nuovo signore di Milano assunse il controllo dei lavori per imprimere all’intero progetto una grandiosità conforme alla sua ambizione.
Per questo pretese il marmo invece del mattone e concesse forti esenzioni fiscali al commercio dello stesso che, dalle cave di Candoglia, in val d’Ossola, navigava sulle chiatte attraverso il Toce, il Lago Maggiore, il Ticino e il Naviglio Grande, fino al cuore di Milano.
Attraversava un sistema di chiuse che arrivava quasi fin sotto il cantiere: perché là dove adesso c’è il Duomo c’era anche il Laghetto di Santo Stefano, che la moderna toponomastica ricorda con via Laghetto.
I blocchi di marmo bianco-rosa portavano il marchio “Auf” (ad usum fabricae), a significare il loro impiego da parte della Fabbrica del Duomo, e godevan della franchigia fiscale (da qui il detto milanese “a ufo”, a indicare qualcosa che non si paga).
Là dove adesso c’è il Duomo, c’era il battistero di San Giovanni alle Fonti (i resti sono ancora visibili attraverso una stretta scala interna alla cattedrale), dove la notte di Pasqua del 387 sant’Ambrogio aveva battezzato il futuro sant’Agostino.
Appena iniziato il cantiere, la Fabbrica vendette all’incanto colonne e marmi del battistero, definitivamente demolito nel 1394.
Simone da Orsenigo fu il primo ingegnere capo del nuovo Duomo, apripista di una nutrita fila di architetti, soprattutto francesi e tedeschi, che si alterneranno alla guida di un cantiere condannato a una tensione continua, lacerato dalle dispute tra i responsabili del progetto.
Le maestranze locali erano abituate a mettere becco sui progetti e sulla loro realizzazione, e mal sopportavano la direzione di architetti stranieri.
Ma i Visconti volevano che Milano apparisse come una città dell’Impero, che nel 1395 li avrebbe incoronati duchi. La Fabbrica divenne teatro di infuocate riunioni, estenuanti rinvii e pause lunghe decenni.
3. Terreno minato per architetti
Durante i secoli, fecero le spese di queste contrapposizioni anche giganti come il Bramante e Leonardo, costretti a ritirare o vedersi respinti i progetti relativi al tiburio, cioè la copertura dell’intersezione fra le navate e il grandioso transetto.
Il work in progress provocò diversi problemi, a partire dal primo ripensamento, che si potrebbe chiamare la madre di tutti gli altri inciampi: una volta completate le fondamenta, si decise di passare da tre a cinque navate, creando preoccupazioni in merito alla stabilità della struttura.
Anche per questo venne interpellato il matematico cremonese Gabriele Stornaloco, che modificò l’iniziale progetto dell’edificio, pensato “ad quadratum”, in una versione “ad guram triangularem”, più adatta a reggere l’immane peso della mastodontica struttura.
Il progetto incontrò feroci resistenze, ma venne infine approvato dalla Fabbrica, salvo poi venir di nuovo abbandonato per privilegiare la “concretezza del fare” (eravamo pur sempre a Milano...) ai presupposti teorici.
Questo atteggiamento empirico portò l’architetto francese Jean Mignot, nel 1399, a predire una sicura “ruina” per l’edificio: il vaticinio gli costò l’immediato allontanamento, mentre i lavori per il tiburio vennero momentaneamente accantonati.
Di rovina si tornò a parlare sul finire del Quattrocento, quando il nuovo signore di Milano, Francesco Sforza, chiese conto di eventuali pericoli di crollo.
Una questione così spinosa che Luca Fancelli faceva sapere, in una missiva diretta a Lorenzo de’ Medici, di temere la rovina della copertura, parzialmente smontata e di cui si progettava il rifacimento.
Finalmente, nel 1490 la Fabbrica ruppe gli indugi e affidò congiuntamente a Giovanni Antonio Amadeo e Gian Giacomo Dolcebuono, dopo regolare concorso (quello della bocciatura di Bramante e Leonardo), la definitiva costruzione della cupola, che si concluse il 24 settembre del 1500: una grande volta a ombrello costolata e impostata su otto lunette archiacute.
La cacciata di Ludovico il Moro e la successiva dominazione francese, poi quella spagnola, non fecero bene al Duomo, che vide rallentare i lavori e dovette attendere l’avvento di Carlo Borromeo, nella seconda metà del Cinquecento, per tornare a marciare di buona lena.
L’architetto Pellegrino Tibaldi, designato dal Borromeo, mise mano anche all’annosa questione della facciata, destinata però a trascinarsi ancora per due secoli.
Fu il decisionismo napoleonico a mettere fine alla secolare questione, mediante l’ordine di completare la facciata in stile neogotico, ultimata nel 1813 (anche se le statue sulle mensole verranno sistemate durante tutto il secolo e sono addirittura novecentesche le porte in bronzo).
Ancora nel tardo Ottocento, la Fabbrica indisse un nuovo concorso internazionale per l’intero rifacimento della stessa in stile gotico, concorso che ebbe anche un vincitore nell’architetto Giuseppe Brentano la cui prematura morte congelò il progetto, sebbene i marmi necessari fossero già stati acquistati.
Ma i fedeli milanesi non hanno certo dovuto aspettare tutto questo tempo per ascoltare messa in Duomo: mentre architetti e maestranze lavoravano e dibattevano, dall’agosto 1492, grazie a coperture provvisorie, nella nuova cattedrale già si officiava.
D’altronde, ancora fino ai primi anni del Novecento proseguirono i lavori di completamento delle guglie, delle decorazioni architettoniche e la posa delle statue, alcune in stile art déco.
4. Un merletto fatto di guglie
E proprio le decorazioni sono uno dei tratti distintivi, si può dire inimitabili, del Duomo così come oggi lo ammiriamo.
Un vero e proprio museo a cielo aperto dell’arte statuaria (3.400 opere, di cui oltre 2.000 esterne) si innalzano a raccontarci l’evoluzione stilistica della scultura dal XIV al XX secolo, dai maestri campionesi al Novecento, passando per il barocco e il neoclassicismo.
Il tutto incastonato tra 55 finestroni monumentali (le tre dell’abside sono forse le più grandi al mondo), vero apice dell’arte vetraria supportata dall’ingegno di importanti pittori come l’Arcimboldo.
Il trionfo decorativo raggiunge il suo acme nella foresta di guglie rette da contrafforti, archi rampanti e pinnacoli che slanciano verso il cielo la cattedrale e cingono la copertura a terrazze in marmo, un unicum nell’architettura gotica.
Le terrazze, raggiungibili in ascensore, creano un percorso mozzafiato, che permette di guardare dall’alto tutta Milano e, nelle giornate migliori, gran parte della pianura circostante.
Più in alto ancora, a 108,5 metri, svetta la Madonnina, simbolo della città dal dicembre del 1774.
Disegnata dallo scultore Giuseppe Perego e fusa dall’orafo Giuseppe Bini, la statua dovette essere coperta di stracci durante la Seconda guerra mondiale perché i riflessi del suo oro non servissero da guida ai caccia alleati.
Anche le vetrate furono sostituite da rotoli di tela. L’interno ha un impianto a croce latina a cinque navate, la cui scarsa differenza di altezza è il pegno pagato al gotico lombardo, ben distinguibile anche dalla dilatazione orizzontale dello spazio a controbilanciare lo slancio verticale dell’intera struttura, tratto tipico dello stile transalpino.
Un’ambiguità che è la vera cifra stilistica del Duomo, e che affascina invece di disorientare.
5. 5 piccoli segreti
- 1) PUGILI TRA LE GUGLIE
Tra le migliaia di sculture che fanno capolino dagli intrichi gotici del Duomo, ne spiccano alcune davvero curiose, come queste due coppie di modernissimi pugili, messi in opera negli anni Trenta.
Allo stesso periodo appartiene anche una testa del Duce, resa però irriconoscibile nel dopoguerra.
- 2) IL SANTO SCORTICATO
All’interno, nel transetto destro, è posta l’impressionante statua di San Bartolomeo scorticato, di Marco d’Agrate (1562), la cui anatomia è tanto suggestiva quanto fantastica.
- 3) “LIBERTÀ” DI PLAGIO
Secondo alcuni, una delle due statue ottocentesche che ornano il finestrone centrale della facciata del Duomo, la Legge Nuova di Camillo Pacetti, sarebbe stata una delle fonti di ispirazione della Statua della Libertà di New York.
- 4) IL CAMPANILE INESISTENTE
Curiosamente, il Duomo non ha campanile. Nel 1868 venne abbattuto quello traballante che si trovava sopra la navata, e che non fu più ricostruito. Durante il fascismo si pensò di erigere una nuova, poderosa torre staccata dal corpo della chiesa, ma il progetto restò lettera morta.
- 5) L’OROLOGIO INVISIBILE
Non tutti sanno che sul pavimento del Duomo, poco oltre l’ingresso principale, è presente una monumentale meridiana, realizzata nel 1786: i raggi del sole entrano da un oculo della parete meridionale e colpiscono una lunga striscia di ottone intarsiata nel pavimento e circondata dai segni zodiacali.