Gli animali sono intelligenti?
Se la risposta a questa domanda è ormai assodata (sì) meno scontati sono i meccanismi e i processi mentali con i quali gli animali arrivano a risolvere i problemi, a memorizzare, a contare.
E anche se anno dopo anno le ricerche aggiungono nuovi tasselli alla conoscenza del “pensiero” animale, i dubbi da chiarire sono superiori alle certezze.
Già nella definizione partono le prime difficoltà: l’intelligenza è quella della logica o delle emozioni? E poi, in un’ipotetica misurazione, come si decide chi è più brillante fra una scimma, un gatto o una foca?
Gli scienziati sanno che il rischio, nell’etologia, è quello di valutare nelle varie specie animali processi tipicamente umani (come il linguaggio, la capacità di manipolare strumenti, il pensiero astratto).
Un pregiudizio che condiziona anche le persone comuni: di fronte alla performance del nostro cane non pensiamo forse che ci “sembra umano”?
La studiosa di delfini Denis Herzing è chiara: l’idea di intelligenza parte da ciò che sappiamo di noi. Per questo ritenevamo le scimmie antropomorfe più in gamba di quanto non siano i delfini, i cani o i gatti.
La verità è che sul nostro pianeta coesistono varie forme di intelligenza, ognuna delle quali affronta in modo diverso la sfida della sopravvivenza. Ma quali sono le menti più raffinate?
La capacità di risolvere problemi è nata in vari gruppi animali, anche evolutivamente distanti tra loro. Ma dove si trovano i vertici dell’intelligenza?
Risposta: tra i mammiferi e gli uccelli (i “migliori” anche nella capacità di provare emozioni), in uno nei molluschi cefalopodi e in alcuni tra gli insetti sociali, come formiche e termiti. In questi ultimi però non sono i singoli animali che risolvono i problemi ambientali, ma intere colonie.
Scopriamo come ragionano gli animali….
1. Cervello di gallina e habilis
- Cervello di gallina
Di primo acchito, se dovessimo pensare a una creatura intelligente, dopo la scimmia metteremmo il cane. Con qualche ragione.
I cani, infatti, secondo lo psicologo americano Stanley Coren posseggono ben tre tipi di intelligenza: istintiva, adattativa e di lavoro.
L’intelligenza adattativa è quella che permette loro di affrontare problemi e concetti nuovi: per esempio, un border collie chiamato Chaser riesce a comprendere, oltre alle parole del padrone, anche singoli concetti, come “palla” per tutti gli oggetti rotondi, di qualsiasi dimensione e struttura. Chaser in pratica è in grado di “astrarre”.
«Proprio come un bambino di circa 2 anni e mezzo», spiega Coren nel suo libro The Intelligence of Dogs.
E se vogliamo continuare il raffronto con l’uomo, è bene sapere che alcune creature sono, in precisi compiti, addirittura più capaci di noi.
Un gruppo di ricerca giapponese ha scoperto che presentando sullo schermo di un computer per pochi decimi di secondo una serie di dieci numeri, uno scimpanzé ne ricorda la posizione e l’ordine. Un compito impossibile per un uomo. E non sono solo gli scimpanzé a “umiliarci”.
Quanto a capacità mnemoniche altri animali possono essere considerati simili a noi, se non migliori. È il caso della ghiandaia americana (Aphelocoma coerulescens) che riesce a ricordare decine e decine di nascondigli dove ha riposto il cibo.
Anche minuscoli pipistrelli, come Glossophaga soricina, che si nutre di nettare, sono in grado di ricordarsi fino a 40 siti che hanno già visitato, per non tornare sui fiori già sfruttati.
E che dire della famosa memoria dell’elefante, che i fatti hanno dimostrato essere ben più di una leggenda? Giorgio Vallortigara e Nicla Panciera in Cervelli che contano (Adelphi), spiegano inoltre la capacità di “giocare con i numeri” che è presente anche in animali insospettabili come i pulcini di gallina.
Oppure in Alex, un pappagallo cenerino che, secondo la sua addestratrice, sapeva contare e parlare; o nei lemuri catta in grado, secondo Elizabeth Brannon della Duke University, di discriminare tra quantità differenti.
- Habilis
A lungo l’uso degli strumenti è stato considerato una delle peculiarità della nostra specie, tanto che un nostro antenato è definito Homo habilis (abile cioè con gli strumenti).
Ebbene, di scoperta in scoperta sono saltate fuori decine di specie in grado di usare strumenti, dall’elefante alle solite scimmie antropomorfe, ai corvi – in particolare quello della Nuova Caledonia (Corvus moneduloides) – dai pappagalli alle orche ai delfini.
Anche gli animali domestici si destreggiano bene. Ma fra questi, il cane sconta per esempio l’amicizia con l’uomo. In un esperimento di qualche anno fa, compiuto in Ungheria, fu mostrato ad alcuni cani come aprire un cancello.
Quasi nessuno, lasciato solo, lo fece. Erano stupidi? No. Come dimostrato da Vilmos Csanyi stavano solo aspettando il permesso del padrone per agire.
Un segno che l’intelligenza pura e semplice è inestricabilmente unita alle capacità sociali e ai “sentimenti” (negli animali come negli esseri umani). Un cane impara in fretta anche a usare una macchinetta che emette palline, purché avvenga con la presenza dell’uomo.
Alcune specie vanno oltre: non si limitano, cioè, a usare gli strumenti, sono in grado di costruirseli!
Così è per il corvo o gli scimpanzé. Il corvo della Nuova Caledonia, per esempio, strappa pezzetti della foglia di una palma e li pulisce per costruire una specie di amo che usa per estrarre bruchi dagli alberi.
Ma fa di più: costruisce attrezzi anche da materiali che non incontra normalmente in natura. Questo uccello ha inoltre reso desueto un tradizionale criterio di valutazione dell’intelligenza fra animali: quello delle dimensioni del cervello.
L’organo pensante di un corvo della Nuova Caledonia pesa infatti soltanto 10-15 grammi, a fronte di capacità sorprendenti.
2. Polpi giocherelloni
Non è enorme neppure il cervellino del polpo, tuttavia questi animali, molluschi senza conchiglia e quindi indifesi, sanno sfruttare quello che vedono attorno a loro come rifugio.
Per esempio una bottiglia rotta, una noce di cocco spezzata (lo fanno i polpi della specie Amphioctopus marginatus), oppure molta della spazzatura di cui alcuni mari sono pieni.
Risolvono, in fretta e bene, anche problemi molto più complessi, come aprire il coperchio di un barattolo contenente una preda.
Oppure mettersi a soffiare getti d’acqua su giocattoli buttati nell’acquario, senz’altro scopo che divertirsi!
Il polpo dimostra che l’intelligenza animale non è una vera e propria scala che va dalle specie più semplici a quelle più complesse, ma è “sorta” un po’ ovunque nel regno animale quand’era utile per risolvere problemi.
Tanto che, secondo Laura Beani, professore di zoologia all’Università di Firenze, non si può escludere che gli animali che lei studia, le vespe cartonaie, siano intelligenti.
I maschi delle vespe, come quelli delle api e delle formiche, hanno il solo compito di accoppiarsi con le femmine:
«Eppure la loro breve performance è complessa, bizzarra, e richiede precisi requisiti: una robusta memoria spaziale perché il loro raggio d’azione è oltre la colonia; una percezione, olfattiva e visiva, raffinata tanto da poter distinguere la futura regina dall’operaia sterile; la capacità di combattere coi rivali valutandone le qualità».
Anche le formiche hanno un’intelligenza totalmente aliena. Le loro colonie sono sistemi complessi che fondano gran parte delle loro attività su meccanismi di auto-organizzazione, secondo un certo numero di regole di interazione tra gli individui che ne fanno parte.
L’effetto è l’emergere, nel formicaio, di comportamenti più complessi, che però non possono essere previsti osservando quelli più semplici propri delle operaie.
Il sistema funziona in modo decentralizzato, senza un “capo” che comanda. Molti hanno paragonato la colonia di formiche a un superorganismo.
Alcune delle modalità di funzionamento delle colonie sono probabilmente simili a quelle di un altro sistema biologico complesso: il cervello. Insomma, se infine l’intelligenza è soprattutto un “metodo” per risolvere problemi, ha funzionato egregiamente in tutte le specie animali.
3. Emozioni o sentimenti?
Gilly, un border collie, era entrata in famiglia da appena una settimana, giusto al momento della nascita del secondo figlio dei suoi “padroni”.
Durante la prima notte che il neonato passò a casa, Gilly svegliò la mamma del bambino, che dormiva profondamente e cominciò a correre, avanti e indietro, dal letto matrimoniale alla culla.
La donna si alzò e vide che il piccolo era bluastro e non riusciva a respirare, soffocato dal muco. Gli liberò le vie respiratorie e il neonato riprese colore.
Gilly era intervenuta per aiutare un individuo in difficoltà (per di più di un’altra specie e appena conosciuto): aveva avuto compassione di lui.
Washoe è stata uno degli scimpanzé più celebri, la prima a imparare il linguaggio umano dei segni; è quindi vissuta sempre a stretto contatto con i ricercatori che ne studiavano il comportamento.
Washoe perse il suo piccolo di due mesi, Sequoya, a causa di una polmonite. Ne fu enormemente abbattuta tanto che i ricercatori pensarono di farle adottare un altro scimpanzé.
Quando uno degli studiosi annunciò a Washoe che le avrebbe portato un piccolo, la scimmia si eccitò molto e disse con i segni “il mio cucciolo”.
Un paio di giorni dopo, arrivò effettivamente il neonato, ma Washoe si rifiutò di prenderlo in braccio e tornò a essere abbattuta: era evidente che aveva sperato di riavere il suo piccolo. In seguito però adotto ugualmente il nuovo venuto e fu un'ottima madre.
Episodi simili a questi, descritti dagli etologi oppure semplicemente da chi possiede un animale domestico, sono piuttosto diffusi. Ma può un animale provare sentimenti complessi come la compassione o la speranza? Gli animali provano emozioni, proprio come noi.
Ma i sentimenti veri e propri nascono dalla consapevolezza delle emozioni provate. Questo secondo “passo” è ancora lontano negli animali, perché richiede l’utilizzo dei simboli.
Non c’è dubbio, però, che soprattutto alcune specie si avvicinino molto in alcuni loro comportamenti a ciò che noi, comunemente, chiamiamo sentimento.
Difficile, per esempio, non definire rabbia il curioso episodio osservato dallo studioso Peter Dews, che descrisse gli esperimenti fatti con alcuni polpi addestrati a tirare una leva per accendere una luce e poi a nuotare verso di essa per ricevere un pezzetto di cibo.
Uno dei polpi sembrava avviato come gli altri che l’avevano preceduto a imparare il compito senza problemi, ma un giorno tirò la leva così forte da romperla, poi nuotò verso la luce, afferrò la lampada e tentò di trascinarla nella vasca. Dopodiché cominciò a schizzare acqua sui ricercatori che stupiti attorniavano l’acquario.
E non si può non chiamare gioia quella degli scimpanzé che, quando trovano una grande quantità di cibo, si danno pacche sulle spalle a vicenda, si mettono a saltare, si tengono per mano e si baciano sulla bocca l’un l’altro prima di calmarsi abbastanza per poter mangiare.
O desiderio di sfida quello dei bonobo dello zoo di San Diego, che sono stati osservati inventare il gioco di coprirsi gli occhi per affrontare una struttura di tubi predisposta per arrampicarsi, cercando così di mantenere l’equilibrio anche “al buio”.
4. Creature sociali e questione di chimica
- Creature sociali
La capacità di provare emozioni, che fino a pochi decenni fa tutti ritenevano un’esclusiva dell’uomo, vale a dire l’altruismo, l’affetto per un compagno e perfino la consapevolezza della morte, è più accentuata nei mammiferi e negli uccelli, soprattutto nelle specie sociali, che in natura vivono in branchi o in stormi.
Questi animali, secondo gli studiosi, hanno sviluppato tre strategie essenziali per la vita in comunità: la cura del più debole (vale a dire degli individui vulnerabili o feriti), forme di equità e reciprocità (importanti per costruire una società in cui ci si possa fidare gli uni degli altri) e infine il rispetto dell’autorità e delle norme.
Non a caso gli etologi hanno osservato cuccioli di coyote che venivano castigati per non aver giocato in maniera equa, mentre i macachi rhesus vengono puniti se non emettono grida dopo aver scoperto un luogo dove sia presente del buon cibo.
È noto poi che, nei leoni, i maschi adulti che non si sottomettono all’autorità del capo vengono allontanati dalle femmine.
Sono queste caratteristiche, le stesse presenti nella società umana, a rendere molti comportamenti animali riconoscibili anche da noi Homo sapiens.
Ci sono studi che dimostrano che i ratti smettono di premere una leva per ricevere cibo se, ogni volta che la premono, un altro ratto riceve una scossa.
È impossibile sapere se il ratto smette di azionare la leva per altruismo o perché vedere un altro ratto che riceve la scossa è per lui sgradevole, ma in fondo tra le due ipotesi non c’è molta differenza.
E l’etologa Joyce Poole ricorda di aver visto un elefante trasalire vedendo un proprio simile allungare la proboscide verso la recinzione elettrica.
Una cosa è certa: gli animali sociali si affezionano tra loro e l’uomo ovviamente beneficia di questa tendenza innata, come sanno bene tutti i proprietari di cani.
«Per i mammiferi sociali, anticipare ciò che gli altri faranno è di suprema importanza: l’altro condividerà, morderà, colpirà, si accoppierà, o cosa? Per questo sono così bravi a leggere le emozioni e a predire le intenzioni altrui», fa notare Patricia Churchland, docente di filosofia all’Università di San Diego e autrice del libro Neurobiologia della morale (Raffaello Cortina).
«Perfino gli animali più solitari possono diventare più socievoli quando l’abbondanza di risorse riduce la competizione. Per esempio, ci sono dei video che mostrano un orso polare, allo stato naturale, che gioca amichevolmente con un cane husky».
- Questione di chimica
L’etologo e primatologo olandese Frans de Waal sostiene che le singole componenti della morale sono già presenti in molti animali, capaci di altruismo, empatia, rifiuto dell’ingiustizia.
Patricia Churchland è d’accordo, ma aggiunge che il merito di tutto ciò sta nella chimica del cervello, che si è evoluta nello stesso modo in molti animali sociali e che “premia” con sensazioni di benessere i comportamenti di cura.
«I meccanismi di gratificazione che in molte specie sono nati per rendere piacevole occuparsi dei piccoli si sono poi estesi alle azioni come prendersi cura di un individuo debole, anche se non imparentato, o di un compagno», sottolinea la studiosa.
Si spiegano così episodi come quello riferito dalla biologa Marcy Cottrell Houle, che osservava i falchi pellegrini sulle Montagne Rocciose.
Stava seguendo in particolare una coppia che a turno nutriva i 5 pulcini. Un giorno la femmina non tornò al nido e il comportamento del maschio cambiò: chiamò ripetutamente restando in ascolto di eventuali risposte.
Si trattenne vicino al nido molto più tempo di quanto faceva prima, diradando la caccia e continuando a chiamare. Il terzo giorno emise un forte grido, che la ricercatrice definì estremamente triste, poi rimase fermo su una roccia un giorno intero.
Nei giorni seguenti cercò di andare a caccia con grande frequenza, per sfamare i piccoli, due dei quali arrivarono all’età adulta.
«Quando guardo negli occhi il mio cane, mi rifiuto di pensare che in lui non ci sia un qualche grado di autoconsapevolezza. Da scienziato, però, so che il riconoscimento del sé, la coscienza di esistere, al momento può essere attribuita solo a poche specie di scimmie antropomorfe, ai delfini e forse agli elefanti. Tutto qui», conclude lo scienziato.
«Ma della mente, e quindi del cuore, animale sappiamo ancora troppo poco».
Del resto, l’intelligenza emotiva è meno studiata di quella razionale. Anche nell’uomo.
5. I cani con una marcia in più
La classifica delle razze di cani stilata da Stanely Coren si basa sulla capacità di capire gli ordini e di obbedire al primo comando.
Non significa che altre razze siano “stupide”, ma solo meno pronte a obbedire e capire velocemente le richieste dell’uomo.
Anche se tutti i padroni giurano sull’elevata intelligenza del loro quattrozampe, come specie il cane (Canis lupus) non può competere con scimpanzé, corvi, o delfini.
Ma, a differenza di questi animali, ha una profondissima empatia con l’essere umano, tanto da riuscire a capire con anticipo quali siano le intenzioni del padrone.
La sua intelligenza ha a volte caratteristiche che sembrano quasi umane; per esempio è in grado di riconoscere facce dopo aver visto la loro immagine fissa, oppure a classificare in categorie differenti (paesaggi o cani) complesse fotografie a colori.
Anche tra i cani, però, c’è una “classifica” dell’intelligenza, fatta dallo psicologo Stanley Coren nel libro The Intelligence of Dogs del 1994.
Affidandosi alle risposte degli addestratori di cani associati all’American e al Canadian Kennel Club, Coren ha stilato un elenco delle razze più intelligenti.
Sono risultati tra i primi alcuni cani da pastore, come il border collie o il pastore tedesco, oltre a cani da compagnia, come il barbone o l’épagneul nano. Non sorprendentemente, la classifica è stata contestata da appassionati di altre razze di cani.
2) Barbone
5) Dobermann
6) Pastore delle Shetland
8) Épagneul nano
9) Rottweiler
10) Australian cattle dog