La storia di Napoleone, un semplice tenente di artiglieria che in 10 anni riuscì a diventare uno dei più potenti leader d’Europa e nel giro di un’altra dozzina perse tutto, colpisce ancora oggi.
Ma come fece a precipitare “dall’altare alla polvere”? Per comprenderlo bisogna tener conto dello scontro secolare tra Francia e Inghilterra.
Alla fine del Settecento quest’ultima aveva già vinto: con la Guerra dei sette anni (1756-63) s’era assicurata il Canada e l’India, solide basi del suo impero coloniale.
Insieme era decollata la rivoluzione industriale: potenti macchine a vapore fornivano energia a basso costo alle prime fabbriche inglesi, stravolgendo il sistema di produzione tradizionale e relegando tutte le altre economie al ruolo di lontane inseguitrici.
Dinamiche evidenti oggi, ma che sfuggivano a Napoleone, un soldato abbagliato dai suoi successi militari.
Il 9 novembre 1799 s’impadronì del potere con un colpo di stato suo momento d’oro: economia e commercio conobbero uno slancio straordinario, il franco divenne una moneta fortissima e si consolidarono le conquiste della Rivoluzione (il Codice civile francese ispirò tutta la legislazione dell’Europa continentale).
Gli errori di Napoleone furono tattici, politici, personali: gli sbagli del famoso “imperatore dei francesi”, l’uomo che conquistò l’Europa in 10 anni e in altrettanti la perse, furono tanti e diversi.
Ma secondo gli storici sono tutti riconducibili alla sua mentalità di militare, convinto che la guerra si vincesse solo sui campi di battaglia.
Ecco i 5 errori che hanno decretato la fine di Napoleone.
1. Primo e secondo errore
- Primo errore
Il primo grande errore di Napoleone fu di non aver salvaguardato a ogni costo questa condizione favorevole.
Gli inglesi, trovandosi tra i piedi di nuovo gli agguerriti concorrenti francesi, furono i primi a violare alcune clausole del trattato di pace: non riconsegnarono l’isola di Malta, di cui capivano l’importanza per il controllo del Mediterraneo, e ostacolarono il commercio francese.
Napoleone per ripicca rifiutò di cedere i territori occupati, in particolare il Piemonte, e intervenne in Svizzera e Olanda.
Ragionava da soldato e dava ascolto alle esigenze di chi traeva vantaggio dalle guerre, senza avere la pazienza di accettare i tempi della diplomazia.
La pace di Amiens, unico periodo tranquillo in 23 anni di conflitti, durò un anno.
- Secondo errore
A Napoleone era chiaro che il nemico principale era l’Inghilterra e credeva che gli sarebbe bastato sbarcare a Dover con l’esercito per sconfiggerla in una battaglia campale.
S’illudeva: se si pensa alle difficoltà insormontabili che i suoi eserciti avrebbero incontrato nel tentativo di domare la popolazione della poverissima Spagna nel 1809, sembra lecito ipotizzare che nella ricca Inghilterra le armate francesi sarebbero riuscite a sconfiggere l’esercito britannico, ma non a controllare il territorio e sarebbero state costrette a ritirarsi.
Il secondo grande errore di Napoleone fu di costringere gli ammiragli della flotta francese, alleata per l’occasione con quella spagnola, a decidere tutto in un’unica grande battaglia navale.
Ma anche se numericamente la flotta franco-spagnola superava quella britannica, sia gli equipaggi sia i comandanti non erano all’altezza di quelli inglesi.
La battaglia decisiva avvenne davanti a capo Trafalgar (in Spagna, tra Cadice e Gibilterra, foto sotto) il 21 ottobre 1805 e fu disastrosa per Napoleone.
La flotta francese fu annientata e con essa la speranza di invadere l’Inghilterra.
Da quel momento la Francia fu sempre costretta alla difensiva strategica, nonostante le folgoranti vittorie che Napoleone inanellò a Ulm (1805), Austerlitz (1805) e Jena (1806), e questa disposizione strategica portò all’errore successivo.
2. Terzo e quarto errore
- Terzo errore
L’Inghilterra aveva il controllo del mare e del commercio mondiale.
Le sue navi navigavano indisturbate sugli oceani, mentre la Royal Navy bloccava i porti francesi impedendo ogni traffico.
Napoleone, conquistata Berlino dopo la vittoria di Jena, proclamò allora il “blocco continentale”, ossia il divieto per chiunque in Europa di commerciare con l’Inghilterra.
Fu il suo terzo, grande errore. Gli europei s’erano abituati alle merci che venivano dal resto del mondo (dallo zucchero prodotto alle Antille al cotone indiano) e non erano disposti a farne a meno.
Appena fu imposto il blocco, scattò un contrabbando su scala continentale che costrinse l’imperatore (si era autoproclamato tale il 2 dicembre 1804) a misure impopolari: non era più colui che portava le libertà della Rivoluzione francese, ma un feroce tiranno.
Il blocco contro l’Inghilterra per funzionare doveva essere totale e quindi Napoleone, sempre guidato dalla sua logica da militare, fu spinto a nuove guerre e nuove annessioni per imporlo a Paesi come Spagna e Portogallo che non ne volevano sapere.
- Quarto errore
La politica di espansione e di annessioni poteva sembrare sulla carta una espressione di potenza (l’Impero francese arrivò a controllare quasi tutta l’Europa) ma era in realtà sintomo di impotenza contro l’Inghilterra.
Questa debolezza era resa più grave dal fatto che Napoleone scelse sistematicamente suoi parenti come sovrani dei territori controllati, puntando cioè su una (supposta) fedeltà di sangue.
Tentò perfino di creare una nuova dinastia, divorziando da Giuseppina Beauharnais per sposare una principessa austriaca (foto sotto), come aveva fatto Luigi XVI, l’ultimo re di Francia.
La svolta avvenne nello scontro con la Russia. Napoleone si convinse che solo sconfiggendo l’immenso Paese avrebbe piegato l’Inghilterra, rimasta isolata.
La campagna del 1812 fu un disastro: la Grande Armée, forte di 600mila uomini, si dissolse in pochi mesi tra andata e ritorno da Mosca.
3. Quinto errore
L’imperatore aveva appena 43 anni e gli bastò una notte di sonno a Parigi per rimettersi al lavoro.
Bloccò tentativi di ribellione, rincuorò l’opinione pubblica, ricostituì un nuovo esercito.
Ma commise l’ultimo errore: tentò di salvare la situazione per via militare senza capire che le vittorie non bastavano per vincere la guerra.
Secondo molti storici la campagna del 1813-14 contro le forze coalizzate di tutti i Paesi europei fu una delle migliori mai combattute da lui.
Pur essendo in inferiorità numerica dopo la sconfitta di Lipsia (foto sotto) nel 1813 (la prima della sua vita), riuscì ancora a cogliere di sorpresa l’avversario di turno per sconfiggerlo.
Furono vittorie inutili perché non erano finalizzate a una qualche strategia politica e diplomatica. All’inizio le richieste dei coalizzati erano pesanti ma ragionevoli: costringere la Francia a rientrare nei confini pre-napoleonici.
Napoleone rifiutò quando era ancora in condizioni di trattare e si convinse a farlo quando era troppo tardi: nel marzo del 1814, quando venne costretto dai suoi stessi marescialli alla resa, non aveva più che 50mila soldati in tutto contro i 180mila che aveva di fronte (e altre decine di migliaia in arrivo).
4. L'errore più grave lo commise a Waterloo
Il “volo dell’Aquila” è la metafora romantica con cui si allude all’ultima impresa di Napoleone.
Fuggito il 26 febbraio 1815 dall’isola d’Elba, dove le potenze vincitrici lo avevano confinato, Napoleone sbarcò a Cannes e con una fulminea marcia raggiunse Parigi raccogliendo attorno a sé tutti i nostalgici dell’Impero.
Ancora una volta l’Europa si coalizzò contro di lui e ancora una volta egli scelse il confronto militare anziché la trattativa diplomatica.
La Francia era circondata da eserciti nemici, ciascuno dei quali molto più forte di quello francese: scegliere il confronto sul campo era un azzardo che solo Napoleone poteva tentare, sperando di ribaltare sul piano tattico (la vittoria in battaglia) lo svantaggio strategico (l’inferiorità di uomini e di mezzi, 72mila francesi contro 140mila alleati).
La campagna di Waterloo iniziò magistralmente per Napoleone ma poi tutto gli si rivoltò contro. Gli eserciti non potevano più essere guidati da un uomo solo, come era all’inizio della sua carriera.
Era indispensabile delegare il comando di intere armate e ciò implicava la capacità di scegliere le persone giuste: cosa che venne a mancare all’imperatore a Waterloo, dove affrontò gli eserciti del generale inglese Wellington e del prussiano Blücher.
I generali che Napoleone scelse per portare a termine compiti delicati (Ney, d’Erlon, de Grouchy) si rivelarono inadatti.
- D’Erlon, prima della battaglia, non seppe decidere come schierare la sua divisione e impedì così la distruzione di uno dei due eserciti nemici.
- Ney, sul campo di battaglia, lanciò la cavalleria in un assalto senza speranza da cui uscì massacrata.
- De Grouchy, incaricato di inseguire l’esercito di Blücher che Napoleone aveva sconfitto a Liegi, non portò a termine il compito e lasciò che i prussiani si riunissero indisturbati agli inglesi a Waterloo, facendo pendere a loro favore la bilancia.
5. La colpa fu anche di questi 3 uomini
- Michel Ney
Nato nel 1769 (come Napoleone), si arruolò nel 1787 in un reggimento di ussari.
Diventato ufficiale di cavalleria e salito rapidamente di grado dopo la Rivoluzione, partecipò a molte battaglie importanti.
Era testardo, avventato e attaccabrighe, ma Napoleone lo stimava per il suo coraggio: «Quell’uomo è un leone!», esclamò dopo la sua decisiva carica di cavalleria a Friedland.
Nella campagna di Russia si guadagnò l’appellativo di “prodi tra i prodi” per il modo in cui protesse la ritirata.
A Waterloo però lanciò al massacro la sua cavalleria, un errore fatale per Napoleone. Venne fucilato nel 1815.
- Jean-Baptiste d’Erlon
Figlio di un falegname nato nel 1765, si arruolò volontario nel 1792. Scalò abbastanza rapidamente la gerarchia, combattendo soprattutto in Spagna.
A Waterloo ricevette l’ordine di condurre l’attacco principale ma, nonostante il suo coraggio, «si rese inutile», come commentò amaramente Napoleone.
Graziato dai sovrani borbonici, morì nel 1843.
- Emmanuel de Grouchy
Figlio di aristocratici, nato nel 1766, abbracciò gli ideali della Rivoluzione.
Guidò per molti anni reparti di cavalleria e durante la ritirata di Russia protesse l’esercito.
Nella campagna di Waterloo fu incaricato di comandare 30mila uomini all’inseguimento dei prussiani, battuti il giorno prima da Napoleone: commise l’errore fatale di seguire alla lettera gli ordini dell’imperatore senza accorgersi che la situazione era cambiata.
Non bloccò Blücher e condannò Napoleone alla sconfitta. Morì nel 1847.