“Per quanto difficile possa essere la vita, c’è sempre qualcosa che è possibile fare. Guardate le stelle invece dei vostri piedi”.
Così, dal guscio del suo corpo immobilizzato, l’astrofisico britannico Stephen Hawking, scomparso il 14 marzo scorso (2018) a 76 anni, esprimeva la sua forza d’animo e il suo desiderio di conoscere.
La sua mente non ha mai accettato le limitazioni impostigli dalla malattia che lo ha aggredito appena ventunenne: un’atrofia muscolare progressiva causata da una degenerazione precoce dei motoneuroni.
Chi ne è affetto rimane senza forze, si muove sempre più lentamente e perde massa muscolare fino a restare completamente paralizzato.
A malattia conclamata, i medici non gli danno più di due anni di vita. Invece Stephen Hawking continua a studiare, si laurea in fisica e s’innamora.
E nel 1965 sposa Jane Wilde, una compagna di scuola delle sue due sorelle, che per venticinque anni gli fa da moglie e da infermiera, dandogli anche tre figli.
Ma chi era veramente Stephen Hawking, uno dei più celebri scienziati del secolo? Scopriamolo insieme.
1. Genio disabile
«Un giovanotto camminava in direzione contraria con un’andatura goffa, la testa bassa, il viso nascosto al mondo da una massa disordinata di lisci capelli castani. Immerso nei suoi pensieri, non guardava né a destra né a sinistra, ignaro del gruppo di studentesse dall’altra parte della via».
Così Jane Wilde nel suo libro autobiografico Verso l’infinito (Piemme) descrive l’incontro con Stephen nell’estate del 1962.
Lui è appena entrato a Cambridge come ricercatore in cosmologia e ha un grande senso dell’umorismo.
«I suoi racconti», ricorda Jane, «erano molto coinvolgenti specie perché singhiozzava dal ridere, quasi strozzandosi, alle battute che faceva, molte delle quali su se stesso».
I primi sintomi della malattia si manifestano solo pochi mesi dopo. Hawking continua a inciampare e non riesce più ad allacciarsi le scarpe.
La diagnosi che non lascia speranze lo getta nello sconforto ma lo spinge a continuare a vivere come se tutto andasse bene.
Frequenta Jane finché, stabilendo che il futuro non deve per forza essere cupo come gli suggeriscono le sue peggiori paure, decide di sposarla.
Con la giovane moglie al suo fianco, combatte instancabilmente contro la malattia e intanto si butta a capofitto a studiare ciò che più lo appassiona: le leggi che descrivono le origini e l’evoluzione dell’universo.
Mentre il suo corpo è imprigionato in confini sempre più angusti, la sua mente geniale si espande concependo le più audaci teorie cosmologiche.
2. Celebre come una star
«Per i miei colleghi sono un fisico come un altro, ma per il pubblico più vasto sono forse diventato lo scienziato più famoso del mondo», scriveva Hawking nell’autobiografia Breve storia della mia vita pubblicata nel 2013.
«Ciò è dovuto in parte al fatto che io corrispondo allo stereotipo del genio disabile. Non posso camuffarmi con una parrucca e degli occhiali scuri: la sedia a rotelle mi tradisce».
A farlo conoscere in tutto il mondo era però stato un libro pubblicato nel 1988, dal titolo Dal Big Bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, scritto con l’intento di rendere comprensibili le teorie cosmologiche senza infarcirle di formule.
«Mi avevano detto che ogni equazione avrebbe dimezzato il numero di lettori», diceva Hawking per spiegarne modestamente il clamoroso successo: traduzioni in 40 lingue e vendite a oggi di oltre 40 milioni di copie.
Non c’è dubbio però che la sua figura immobile, il capo inclinato da un lato e quella voce sintetizzata dal curioso accento americano abbiano poi travalicato il campo dell’astrofisica per farne negli anni una vera e propria icona pop.
Nel 1993 era stato addirittura invitato a partecipare alla più longeva delle serie televisive di Star Trek, The Next generation: nell’episodio intitolato “Il ritorno dei Borg” Hawking compare in una scena nella quale, durante una partita a poker con Newton, Einstein e il comandante Data, scambia con gli illustri avversari caustiche battute per iniziati.
«Il principio di indeterminazione non ti aiuterà, Stephen», lo avverte Einstein durante una mano. «Le fluttuazioni quantistiche dell’universo non potranno cambiare le carte che hai in mano».
Ma è il fisico inglese, che aveva fatto bene i suoi calcoli, a vincere. Con l’autoironia che lo contraddistingueva, Hawking prediligeva però le sue apparizioni nei cartoni animati dei Simpson, da lui considerati il miglior show della tv americana.
In vari episodi è raffigurato come un personaggio un po’ surreale la cui sedia a rotelle superaccessoriata è dotata di poteri straordinari: può volare e persino mettere k.o. i prepotenti con un braccio a molla dotato di guantone.
3. Sogni rimasti nel cassetto
Hawking aspirava a viaggiare con la mente attraverso il tempo e lo spazio alla ricerca del Sacro Graal della scienza.
La teoria capace di spiegare l’intera varietà dei fenomeni che osserviamo nell’universo, integrando le due grandi correnti di pensiero della fisica contemporanea, cioè la teoria della relatività di Einstein e la meccanica quantistica.
Le sognava riunite nella cosiddetta “Teoria del tutto”, che nel 2014 ha dato il titolo al film di James Marsh ispirato alla biografia di Jane Wilde.
Non c’è riuscito e malgrado molti fisici ci stiano lavorando il traguardo sembra ancora lontano. Anche un altro dei suoi più ardenti desideri, il viaggio nello spazio, è andato deluso.
Era stato invitato a bordo dell’astronave Virgin Galactic di Richard Branson, ma non ha potuto aspettare che il progetto dell’imprenditore britannico diventasse operativo.
Nel 2007, almeno per qualche breve istante, ne ha però avuto un assaggio: a bordo di un Boeing B-727 della Zero Gravity Corporation ha abbandonato la sedia a rotelle e ha lasciato galleggiare spensieratamente il suo corpo durante la serie di traiettorie paraboliche che simulano l’assenza di gravità.
«Stephen», ha scritto la moglie Jane, «ha completato il suo volo a gravità zero ed è tornato sulla Terra intatto, riempiendo i media di fotogra e trionfanti. Il sorriso sul suo volto mentre fluttuava libero dal suo peso avrebbe commosso le stelle».
4. Le sue teorie sui buchi neri
Alcuni dei lavori più appassionanti del fisico britannico sono stati dedicati ai buchi neri, quegli insaziabili agglomerati di materia nei quali il campo gravitazionale è talmente intenso da impedire di sfuggire a qualsiasi cosa ne attraversi il confine, il cosiddetto “orizzonte degli eventi”.
Il lavoro del grande cosmologo è stato fondamentale per perfezionare la nostra comprensione di questi affascinanti aspirapolvere cosmici. Ecco il suo pensiero.
- I buchi neri hanno i capelli
Secondo una delle ultime teorie di Hawking, non tutto quanto finisce in un buco nero è perso per sempre.
Usando una bizzarra similitudine, il genio britannico spiegava che i buchi neri hanno “capelli”, cioè sono circondati da un alone di sottili linee nelle quali possono essere “memorizzate” informazioni importanti sul tipo di stella che li ha creati e sull’origine dell’universo. - I buchi neri evaporano
Nel 1974 lo scienziato britannico avanzò un’ipotesi rivoluzionaria: i buchi neri possono non essere completamente neri, ma è possibile che emettano un qualche tipo di radiazione luminosa.
La meccanica quantistica prevede che il vuoto non sia affatto vuoto, ma che vi si creino continuamente particelle e antiparticelle che si distruggono a vicenda in modo istantaneo, rilasciando energia.
Questo fenomeno si verifica in ogni parte dell’universo, ma ai confini di un buco nero avviene qualcosa di diverso: mentre una particella viene catturata dalla forza gravitazionale del buco nero, l’altra sfugge alla sua attrazione.
La radiazione così emessa, chiamata radiazione di Hawking, è accompagnata dalla creazione di antiparticelle a energia negativa che ricadono all’interno dei buchi neri, rubando loro piccole frazioni di energia: un fenomeno che li porterebbe a perdere massa ed evaporare progressivamente fino a sparire del tutto. - I buchi neri più piccoli possono essere sfruttati come fonti di energia
Hawking pensava che se un giorno riusciremo a trovare un piccolo buco nero con le dimensioni di una montagna, potremmo teoricamente sfruttarlo per produrre energia elettrica.
Un oggetto del genere, che dovrebbe essere tenuto nello spazio in orbita attorno alla Terra, produrrebbe raggi X e raggi gamma con una capacità totale di circa 10 milioni di megawatt, sufficiente per soddisfare il fabbisogno del nostro pianeta. - I buchi neri potrebbero condurre ad altri universi
I buchi neri potrebbero essere dei passaggi per un altro universo. Ma a senso unico: una volta oltrepassato il confine, infatti, è poi impossibile tornare indietro.
5. La depressione, l'intelligenza artificiale e gli alieni
- Mai cedere alla depressione
Hawking doveva combattere anche contro un’altra terribile patologia che lo aveva colpito: la depressione.
In un incontro del 7 gennaio 2016 al Royal Institute di Londra, si rivolse alle persone che ne soffrono paragonando la depressione a uno dei suoi principali oggetti di ricerca, i buchi neri.
«Questi strani oggetti», disse, «non sono neri come li abbiamo dipinti. Non sono le prigioni eterne che un tempo pensavamo fossero. Si può uscire da un buco nero, anche verso un altro universo. Quindi se vi sentite intrappolati in un buco nero non mollate, c’è sempre una via di uscita».
- I pericoli dell’intelligenza artificiale
Il fisico la guardava con sospetto, ritenendo che potesse sfuggirci di mano.
«Non credo», ebbe a dire, «che i progressi nella tecnologia informatica saranno necessariamente favorevoli. Una volta che le macchine raggiungeranno la loro fase critica per evolversi da sole, non potremo prevedere se i loro obiettivi saranno uguali ai nostri.
Siamo sulla soglia di un mondo completamente nuovo. I benefici possono essere tanti, così come i pericoli. Se non ci prepariamo a gestirla, l’intelligenza artificiale potrebbe essere il peggior evento della storia della nostra civiltà».
- Gli alieni esistono e dobbiamo temerli
Secondo Hawking gli alieni esistono e bisognerebbe evitare qualsiasi tipo di contatto con loro.
«Se mai ci visitassero specie più evolute provenienti da altri mondi, la nostra specie sarebbe in grave pericolo», diceva.
«Non solo potremmo essere contagiati da virus contro i quali non possediamo gli anticorpi, ma la situazione che si creerebbe per la nostra civiltà sarebbe simile a quella che si verificò dopo l’arrivo di Colombo per i nativi americani: gli alieni razzierebbero la Terra per attingere alle sue risorse e poi andarsene dopo averla sfruttata».