Crescono al ritmo di un centimetro al mese, ne perdiamo in media da 60 a 100 al giorno, ma vivono da uno a sei anni.
Sono quei sottili filamenti chiamati capelli dei quali ci prendiamo cura ogni giorno.
Fra le loro proprietà, spicca la grande elasticità: possono allungarsi del 50 per cento quando sono bagnati, e del 20-30 per cento quando sono asciutti.
Costituiti per la maggior parte di cheratina, una proteina molto stabile, e in misura minore da altre sostanze come i grassi e l’acqua, sono una delle strutture più resistenti del corpo umano, tanto che possono sopravvivere per secoli e arrivare praticamente intatti fino ai nostri giorni.
Oggi un numero sempre maggiore di medici, chimici, tossicologi, archeologi li considerano fondamentali oggetti di studio.
Per tutto l’arco della loro vita, infatti, grazie al lento metabolismo che li caratterizza, i capelli sono sede di accumulo delle sostanze con le quali il nostro corpo è venuto a contatto e spie infallibili della loro presenza.
Siamo stati esposti a forme pericolose di inquinamento? Abbiamo ingerito sostanze tossiche? Facciamo uso di droga? Siamo stressati? Tutto è registrato nella nostra capigliatura e resta intatto per secoli. Ecco perché i nostri capelli dicono tutto di noi!
1. Come è fatto un capello?
I capelli sono un mezzo d'espressione ineludibile e, attraverso l’acconciatura, i capelli permettono di modificare l'aspetto esteriore.
Tutti i popoli della Terra, in ogni epoca, hanno elaborato un complesso codice di pettinature diverse per esprimere ogni tappa della vita, per comunicare il loro ruolo, il loro stato sociale e la loro identità culturale.
Il capello è formato da due parti: la radice, che ne è la parte viva, e il fusto.
Conficcata nel follicolo pilifero della cute, la radice possiede una parte terminale leggermente rigonfia e ricca di vasi sanguigni, il bulbo, che produce le cellule che costituiscono il capello: sono queste cellule che, invecchiando, vanno a formare il fusto, una struttura rivestita di minuscole scaglie di cheratina sovrapposte in strati, da 6 a 10, a seconda dello spessore del capello.
Subito sopra il bulbo si trova la ghiandola sebacea, che produce una miscela di diversi lipidi destinati ad ammorbidire la pelle e a mantenere i capelli ben lubrificati.
I principale elementi chimici presenti nel capello sono:
carbonio 45% ,
ossigeno 28% ,
azoto 15%,
idrogeno 6,5% ,
zolfo 5,2%
I costituenti principali del capello, oltre all'acqua, sono: cheratina, lipidi, minerali e pigmenti. I capelli sono una struttura in rapida crescita, che necessita di una buona condizione fisica per ottenere uno sviluppo regolare.
I capelli possono essere definiti come i peli che nell'essere umano ricoprono il capo, anche se se presentano alcune differenze nella loro dinamica fisiologica e nella loro funzione estetica.
2. Sulla scena del delitto identificano gli assassini
Tracce biologiche altrettanto rilevanti per l'attività investigativa possono essere le formazioni pilifere (peli e capelli), attesa la facilità con cui queste sono rinvenibili in generale, e sul luogo del crimine in particolare, ad esempio sulla vittima o tra le sue dita in caso di colluttazione.
Da qui l'importanza di non inquinare la scena del crimine con analoghe tracce non appartenenti agli individui coinvolti nell’evento su cui s'indaga.
Un capello sul luogo del delitto può consentire alla polizia scientifica di identificare a chi appartiene grazie all’analisi del Dna.
Ma deve essere presente il bulbo, l’unica parte del capello che contiene cellule vive, e l’esame va effettuato prima possibile perché il Dna si degrada in fretta per cause ambientali (temperatura, acqua, batteri o altri microrganismi).
Per ovviare al problema un team di biochimici del californiano Lawrence Livermore laboratory ha sviluppato una tecnica nuova: chiamata “proteomica fucile”, consente di spezzare le sequenze proteiche dell’intero capello per analizzarle con estrema precisione.
Le proteine sono lunghe catene molecolari di amminoacidi, i mattoni fondamentali della vita, che si formano sulla base delle informazioni presenti nel Dna. Il verificarsi di una mutazione genetica si riflette nelle proteine modificandone la sequenza molecolare.
Queste variazioni consentono di identificare univocamente una persona. La prova è stata effettuata su vari campioni di capelli: 6 provenivano da individui deceduti tra il 1750 e il 1850, mentre altri 76 appartenevano a viventi di discendenza europea e africana.
Questa prima analisi ha rivelato la presenza di 185 marcatori proteici, un dato che i ricercatori stimano sufficiente a far distinguere un individuo in un milione di persone. In determinate condizioni è possibile analizzare anche Dna vecchio di centinaia di migliaia di anni.
Il sequenziamento genetico diventa però inutilizzabile quando il Dna si degrada per cause ambientali, legate al Ph, alla temperatura, alla presenza di acqua, batteri o altri microrganismi.
3. Conservano le tracce di alcol e droga
Siamo stati esposti ad agenti chimici pericolosi? Abbiamo ingerito cibi contenenti sostanze proibite o tossiche? I capelli lo rivelano perché registrano tutto, o quasi.
Attraverso i capillari che li irrorano, per esempio, incorporano le molecole presenti nella circolazione sanguigna, mentre grazie alla secrezione delle ghiandole sebacee del cuoio capelluto si impregnano dei grassi nei quali si annidano composti chimici derivati dall’assunzione di alcol e droghe.
Per analizzarli gli scienziati si servono del mineralogramma: una tecnica d’indagine che, attraverso la valutazione qualitativa e quantitativa dei minerali presenti nei capelli, fornisce dati obiettivi per valutare lo stato fisiologico di una persona.
L’analisi è effettuata immergendo il campione in una soluzione acida in un contenitore ermeticamente chiuso.
La soluzione viene quindi esaminata con uno spettrofotometro a emissione atomica, uno strumento che rileva radiazioni emesse dal campione: le loro lunghezze d’onda forniscono indicazioni chimiche e fisiche sulle sostanze presenti.
Sono due le ragioni che rendono i capelli un campione biologico molto interessante per l‘accertamento dell‘abuso di sostanze:
• la possibilità di accertare il consumo di una sostanza anche dopo settimane o, addirittura, mesi;
• la possibilità di ricostruire, con approssimazione, la “storia del consumo” di una sostanza (cioè se la sostanza è stata consumata nell‘ultimo mese, oppure 3 mesi fa, ecc.)
Purtroppo un solo capello non basta, anche se la quantità necessaria è comunque molto piccola (una ciocca più o meno del diametro di una matita è più che sufficiente) e, soprattutto, è prelevata senza produrre inestetismi.
4. Testimoni del passato
- Testimoni del passato
Accanto a ossa, tessuti, ceramica e suppellettili varie, grazie alla loro longevità i capelli sono al primo posto nella classifica dei reperti più ambiti nei siti archeologici.
È quanto è emerso durante l’ultimo congresso dell’American association for the advancement of science, intitolato “Il primo americano: una nuova prospettiva”.
Nel corso del convegno l’archeologo Rob Bonnichsen dell’Università dell’Oregon ha, per esempio, spiegato che bastano dieci microgrammi di capelli per datarli con sicurezza attraverso la tecnica del Carbonio 14.
Così anche mummie vecchie di secoli riescono oggi a “raccontare” la loro storia.
È quanto è avvenuto con quelle di due bambini e di una tredicenne inca, trovate quasi intatte vicino alla vetta del vulcano argentino Llullaillaco.
Sottoposte ad analisi biochimica da un team di scienziati britannici dell’Università di Bradford guidati dall’antropologo Andrew Wilson, le loro chiome hanno fornito informazioni su cosa avessero mangiato e bevuto nei loro ultimi due anni di vita. Ne è emerso un quadro agghiacciante.
Evidentemente vittime sacrificali, i tre giovani erano stati drogati con alcol e coca per alterarne lo stato mentale e nutriti abbondantemente per farli resistere ai riti magici della durata di un anno alla fine dei quali sarebbero stati sacrificati.
- C’è chi nasce con i capelli e chi no
Perché c’è chi viene al mondo “capellone” e chi è invece pelato? Il segreto è negli ormoni.
Tra il sesto e il settimo mese di gravidanza tutti i nascituri hanno il capo ricoperto da una fine peluria, il cosiddetto vello fetale, che si forma per la massiccia presenza degli estrogeni prodotti dall’unità feto-placentare.
Verso la fine dell’ottavo mese, questa lanugine tende a scomparire e cominciano a formarsi sopracciglia e capelli.
Alla nascita, con il calo degli steroidi placentari, talora questi scompaiono quasi completamente.
I follicoli piliferi però non sono danneggiati e con il passare dei mesi i capelli tornano a crescere.
5. Nativi americani e stress
- Per i nativi americani erano la parte del corpo più vicina ai pensieri
Per gli indiani Navajo (foto grande, sotto) i capelli erano la parte del corpo più vicina ai pensieri: all’altezza dell’attaccatura c’erano i più recenti, nelle punte i più lontani nel tempo.
Portarli lunghi significava non solo conservare i ricordi, ma accedere a uno speciale “sesto senso”, un’antenna che consentiva alle persone di attingere a informazioni extrasensoriali.
Ma anche il filosofo tedesco Friedrich Wilhelm Nietzsche considerava i capelli "come una leggera trama cui agganciare i propri pensieri spirituali, quasi fossero un filtro di separazione del materiale e dell’istintivo da quello che è spirito e anima”.
Nell’antichità, invece, una lunga chioma era il segreto della sovrumana forza di Sansone: un volta tagliate le sue sette trecce, infatti, l’eroe diventò più debole di un bambino.
- Lo stress non è più un segreto
Come ha dimostrato un recente studio dell’Università di Rotterdam, in Olanda, anche lo stress si riflette nelle nostre chiome.
I ricercatori hanno prelevato a un gruppo di 283 persone capelli della lunghezza media di 3 cm, misurando la concentrazione di cortisolo, un ormone che il nostro organismo produce in maggiori quantità quando siamo sotto stress.
A differenza di un comune esame del sangue, che fornisce una “fotografia istantanea” della sua composizione in un dato momento, l’analisi dei capelli permette di avere un indice della variabilità dei livelli ormonali nell’arco di diversi mesi, “ricapitolando” lo stress al quale è stata sottoposta una persona.
Se questi si mantengono superiori alla norma, è segno che è più alta la probabilità di sviluppare malattie cardiocircolatorie, diabete o ictus.