“Stravagante, capriccioso, presto e risoluto: il più terribile cervello che abbia mai avuto la pittura”: così, in pieno Cinquecento, Giorgio Vasari, artista e storico dell’arte, scrisse su Tintoretto.
Jacopo Robusti, detto il Tintoretto perché suo padre, Giovanni Battista Robusti, era un tintore di tessuti, è un pittore manierista della scuola veneziana che vive tra il 1519 e il 1594.
Aiutando il padre a miscelare i colori si appassiona di pittura. Jacopo ha una vita lunga ed operosa caratterizzata da polemiche e turbolenze.
Lavorò gratis per anni. Fino a quando non creò nel 1548 “Il miracolo di San Marco”, un’enorme tela di 5,41 m x 4,15 m, applicata direttamente alla parete e dipinta con colori a olio, che gli cambiò la vita.
Ma chi era veramente Jacopo Robusti detto il Tintoretto? Scopriamolo insieme.
Nella foto sotto, “La Crocifissione”, un dipinto a olio su tela (518×1224 cm) realizzato nel 1565.
1. Senza protettori
"Stravagante, capriccioso, presto e risoluto: il più terribile cervello che abbia mai avuto la pittura": così, in pieno Cinquecento, Giorgio Vasari, artista e storico dell’arte, scrisse su Tintoretto.
Non era un giudizio negativo: Vasari ammirava la “terribilità” dell’artista veneziano e la sua creatività visionaria.
Nello stesso periodo, Pietro Aretino, poeta e scrittore toscano, definì il pittore veneziano un uomo umbratile, superbo, collerico, dominato da “tristizia e pazzia”. Un genio irascibile e ruvido, insomma.
In tempi più recenti, ecco l’opinione di Antonio Paolucci, grande storico dell’arte nonché direttore dei Musei Vaticani, in un articolo pubblicato dall’Osservatore Romano nel 2012: «Tintoretto il terribile: vivesse oggi farebbe il regista degli effetti speciali».
Una cosa è certa: non era un uomo mite il Tintoretto, così chiamato perché figlio di un umile tintore di sete, e neppure un pittore tra i tanti del nostro Rinascimento.
Era un uomo complicato, tenace come l'acciaio, e un artista di genio, uno di quei “grandi” che con due pennellate riescono a cambiare per sempre la storia dell’arte.
Era nato a Venezia esattamente 500 anni fa, nel 1519, e oggi tutto il mondo si prepara a festeggiarne l’anniversario. Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, a soli 18 anni viene ammesso nella Fraglia (la “fratellanza” o corporazione) dei Pittori.
Nel settore, però, la concorrenza è aspra e per un autodidatta di umili origini, senza protettori e appoggi potenti, l’avvio è davvero difficile: per anni lavora gratis facendosi pagare solo tele e colori.
Poi, nel 1548, ottiene una commessa dalla Scuola Grande di San Marco, e dipinge un capolavoro, Il Miracolo di San Marco che libera lo schiavo.
Il telero, un’enorme tela di 5,41 m x 4,15 m, applicata direttamente alla parete e dipinta con colori a olio, suscita sconcerto e ammirazione, scandalo e meraviglia.
Dopo, per Tintoretto sarà tutto più facile: le commesse si moltiplicheranno e verrà chiamato a dipingere per il Doge, la Repubblica, il Palazzo Ducale, il patriziato.
Nella foto sotto, "Autoritratto del Tintoretto giovane", un dipinto a olio su tela realizzato nel 1548 circa.
2. Come una scena teatrale
"Il Miracolo di San Marco", protettore della Scuola e patrono di Venezia, racconta la storia di uno schiavo, sorpreso dal padrone a venerare le reliquie del santo.
Per questo viene condannato all’accecamento e a subire la rottura degli arti a colpi di mazza. San Marco, però, interviene e lo salva, rendendo inservibili gli strumenti del martirio.
Il modo in cui Tintoretto illustra questa vicenda ha tutta la drammaticità di una rappresentazione teatrale. La prospettiva converge verso il centro e la linea dell’orizzonte è alta, in modo da dare all’osservatore l’illusione di osservare la scena da un palco.
I personaggi principali sono quattro: lo schiavo è al posto centro della scena, completamente nudo e in piena luce; alla sua destra in piedi, il carnefice che mostra al padrone, l’uomo con la barba, gli strumenti spezzati.
Il santo, invece, è in ombra e a testa in giù, ed è visibile solo dallo spettatore, non dai personaggi del dipinto. Gli astanti sono ritratti in un movimento dinamico: chi è a sinistra si sporge, chi è a destra si ritrae, e tutti disegnano linee oblique che convergono verso il centro della scena.
Le brusche torsioni dei corpi, il movimento del santo dall’alto verso il basso e il suo gesto, così come il gesto del carnefice che dal basso si protende verso l’alto, creano una tensione drammatica, accentuata dall’uso intenso della luce che vibra lungo linee diagonali.
Il colore nei primi piani è forte, quasi violento, per dare volume ai corpi, mentre sullo sfondo è più tenue e freddo per dare profondità allo spazio scenico, secondo il tonalismo della scuola veneziana.
La gamma cromatica richiama quella di Tiziano, mentre la carnalità e le torsioni anatomiche dei corpi richiamano Michelangelo e Giulio Romano.
L’uso emotivo della luce, invece, preannuncia i drammatici contrasti di luce e ombra che saranno tipici, un secolo dopo, di un altro genio: il Caravaggio.
Nella foto sotto, "Il Miracolo di San Marco", un dipinto a olio su tela (415x541 cm) realizzato nel 1548.
3. Così si dipinge la luce
I teleri del pittore hanno spesso un’impostazione teatrale: in effetti il pittore costruiva lo spazio dei suoi quadri come un vero palcoscenico.
Lo faceva anche nella realtà: lo scrittore seicentesco Carlo Ridolfi ci rivela che Tintoretto, prima di dipingere, costruiva dei modellini teatrali di una certa complessità, con case, strutture e quinte di cartone e legno, dentro i quali posizionava i personaggi, cioè dei manichini di cera e di creta, vestiti di stracci.
Poi accendeva delle candele e posizionandole sopra, sotto e ai lati del teatrino, verificava come variando la luce variasse anche l’effetto scenico. In questo modo capiva come dipingere le luce per ottenere una scena ad alto tasso drammatico.
Da una serie di analisi effettuate sui campioni dei teleri del Tintoretto, si è scoperto che l’artista usava tele di lino con differenti armature e anche con trame grossolane.
Poiché i tessitori dell’epoca non riuscivano a produrre pezze alte più di 1,10 m, Tintoretto usava più tele cucite insieme, ma a differenza degli altri pittori non gli importava se le tele cucite insieme avessero trame diverse o se le cuciture fossero visibili.
La tela grezza, prima di essere dipinta, va preparata e questa fase importante prende nome di imprimitura. All’epoca di Tintoretto si usava preparare il lino con uno strato sottile di gesso e colla di coniglio: l’imprimitura che ne risultava era bianca.
Tintoretto fu uno dei primi a voler usare un’imprimitura nera o molto scura, ottenuta impastando tra loro i resti dei vari colori sulla tavolozza. Questa scelta non era dettata tanto dalla volontà di riciclare i materiali quanto dal fatto che il fondo scuro gli permetteva di dipingere con maggiore velocità.
Tintoretto ha una vita privata movimentata, molte donne e molti figli legittimi e illegittimi. In particolare si prende cura di una bambina avuta da una prostituta tedesca, la cresce nella propria famiglia e ne farà una pittrice, "La Tintoretta".
Con grande disperazione per l'artista, muore in giovane età. I figli maschi lo aiutano in bottega mentre le ultime due figlie vengono mandate in convento.
II pittore muore il 31 maggio del 1594 dopo una malattia di 15 giorni. Con questo grande artista si conclude il Rinascimento, l'epoca dell'espressione immediata dei sentimenti, già si preannuncia l'età barocca.
Nella foto sotto, "Susanna e i vecchioni", un dipinto a olio su tela (147x194 cm) realizzato nel 1557.
4. Venezia ai tempi del Tintoretto
Nel Cinquecento la Serenissima Repubblica di Venezia è una potenza marittima all’apogeo.
Ha la massima espansione dei propri domini in terraferma, è la prima potenza commerciale e manifatturiera dello Stivale ed esporta merci di alta qualità in tutta Europa e nell’Impero Ottomano (panni di seta e di lana, vetri, sapone, spezie, libri, quadri).
Con i suoi 175mila abitanti, è un ponte tra Cristiani e Musulmani ed è la “Porta d’Oriente” che intreccia con i Turchi rapporti complessi, fatti di battaglie e affari, di scontri e scambi.
L'ambiente in cui vive l'artista, la Venezia dell'epoca, ha un carattere multietnico, è una società molto aperta alle diverse culture, e non è raro trovare nelle tele di Jacopo uomini di colore che indossano il turbante.
Così il letterato Francesco Sansovino descrive la città nel 1581: «Una patria ospitale, frequentata da molte genti d’ogni lingua e paese» e per questo «nobilissima et singolare».
Venezia è anche una città di grande vivacità culturale, grazie a una libertà di pensiero altrove sconosciuta.
È in questo momento che la Serenissima, orgogliosa della propria autonomia e identità, costruisce il mito di se stessa e si celebra attraverso le arti. Palazzi, chiese e case del patriziato si arricchiscono di oggetti d’arte, primi fra tutti i quadri.
In città lavorano decine di botteghe e centinaia di pittori. Quando Tintoretto inizia a lavorare, la concorrenza è già spietata.
Nella foto sotto, "Giuditta e Oloferne", un dipinto a olio su tela (188x251 cm) realizzato nel 1577.
5. Grande tra i grandi del Rinascimento veneziano
Nella storia dell’arte, per “scuola veneziana” si indicano i grandi artisti che operarono a Venezia tra Quattro e Cinquecento e che animarono il “Rinascimento Veneziano”.
Nella seconda metà del Quattrocento la figura di maggior spicco è quella di Giovanni Bellini (1433-1516), che assimila la lezione artistica di Leonardo da Vinci, Andrea Mantegna, Antonello da Messina, e dà vita alla principale caratteristica della scuola veneziana: il “tonalismo”, consistente in un rivoluzionario uso del colore, steso tono su tono, in velature sovrapposte, per ottenere particolari effetti plastici.
Maestro nell’ottenere effetti di luce, ombra e profondità con variazioni di colore, senza l’uso del chiaroscuro e con poco contorno, è Giorgione detto Zorzon (1478-1510), il genio della “prospettiva cromatica”, ma è Tiziano (1490-1576) il vero protagonista del Rinascimento Veneziano e uno degli artisti di maggior influenza sulle generazioni successive.
Usa contrasti cromatici decisi e arriva a impastare i colori direttamente sulla tela, con pennellate veloci e imprecise. Questa è la lezione cui attinge il Tintoretto, artista dalla pittura tormentata e inquieta.
Tintoretto è un grande innovatore. Egli elabora un'arte di forte impatto visivo, caratterizzata scorci arditi e forti contrasti luminosi. I suoi quadri mirano ad emozionare e turbare lo spettatore.
Lo stile di Tintoretto si caratterizza per la notevole abilità nella resa della luce, in particolare nelle scene cupe squarciate da lampi di luce, attraverso le quali vuole trasmettere la potenza dell'intervento divino.
Tintoretto usa il colore per accendere di luce il disegno, e la luce evidenzia i personaggi staccandoli dal contesto reale per proiettarli in uno spazio scenografico che precorre la sensibilità barocca.
Nella foto sotto, "San Rocco in Gloria", un dipinto a olio su tela (360×240 cm) realizzato nel 1564.