Situato nel 9e arrondissement, dalla sua apertura nel 1897 fino alla chiusura avvenuta nel 1963, Grand Guignol si specializzò in spettacoli decisamente macabri e violenti.
Il nome deriva da Guignol, ovvero una marionetta ideata dal burattinaio Laurent Mourguet, raffigurante un operaio dell’industria serica di Lione, noto per la sua irriverenza e la sua tenacia, grazie alle quali difendeva i propri diritti scornando inevitabilmente i “potenti”.
Il teatro, fondato da Oscar Métenier, era molto piccolo specialmente per gli standard odierni: poteva infatti ospitare al massimo 300 persone.
Ciò nonostante gli spettacoli ebbero largo successo, tanto da registrare ogni sera il tutto esaurito e da rendere celebre questo genere orrorifico in tutto il mondo.
Oltre al fondatore, il principale scrittore per il Grand Guignol fu André de Lorde che scrisse un centinaio di opere fra il 1901 ed il 1926.
Gli spettacoli si servivano spesso di effetti speciali più o meno rudimentali ed erano incentrati soprattutto sulla potenza visiva delle immagini orrorifiche, sulla sofferenza degli innocenti, sugli infanticidi, sull’insanità e la vendetta.
Spesso contenevano riferimenti all’occultismo e al paranormale e occasionalmente venivano rappresentate anche scene di sesso e di perversione. Gli spettacoli erano in genere brevi e venivano ripetuti più volte durante la serata.
Ecco alcune curiosità sul teatro del Grand Guignol: il teatro più irriverente, dal perverso ma sicuramente elevato sapore artistico, che seppe dare ai suoi spettatori dal vivo le emozioni più forti che questi potessero mai pensare di provare.
1. La struttura
Il teatro del Grand Guignol nasce a Parigi nel 1897 e lì si trova tutt’ora, al 20 bis della rue Chaptalnel cuore del noto quartiere Pigalle.
Ma oggi il teatro è dismesso, il suo ultimo tragico-orrorifico atto venne rappresentato nel 1962, anno in cui fu costretto a chiudere i battenti, poiché i nuovi mezzi di comunicazione affacciandosi potenti avevano cambiato irrimediabilmente il gusto e i modi dell’intrattenimento del pubblico.
Ma più sicuramente come disse Charles Nonon, ultimo direttore, la seconda guerra mondiale e la Shoah avevano mostrato al mondo che la realtà può dar vita ad orrori più veri e tremendi del teatro.
Presto la zona dove si trovava il Grand Guignol divenne nell’esperienza degli avventori, con la complicità certo giocata dal teatro stesso, un luogo inquietante capace di suscitare paure ed angosce improvvise, dove albergava indisturbata la malvivenza e la morale si faceva di colpo incerta.
Il senso di inquietudine era poi accresciuto dalla struttura stessa del Grand Guignol.
Ex-cappella di un monastero abbandonato, semplice nella sua facciata, dove ancora all’interno sculture di angeli guardavano ai visitatori ricordando che pure là un luogo in cui veniva promessa la salvezza esisteva, ma era stato inesorabilmente soppiantato dalla nuova indecenza che si animava di sciatte perversioni macabre ed erotiche.
2. Metinier e la nascita del teatro
Grand Guignol venne fondato dall’estro di Oscar Metinier, il quale unendo due professioni assai distanti ma che riuscì a legare strettamente facendone dell’una fonte d’ispirazione per l’altra, ovvero drammaturgo e secondino (in carcere si occupava proprio dei condannati a morte), comprò la struttura sulla fine del XIX secolo e la preparò alla messa in scena delle proprie opere.
Il nome della strutture Le Theatre du Grand Guignol, che letteralmente significa “lo spettacolo della grande marionetta” Metinier lo trasse da una famosa marionetta francese, chiamata appunto Guignol, che raffigurava un operaio di Lione che si scagliava tenacemente contro i poteri politici.
La prima opera messa in scena da Metinier, ispirata ad un racconto di Maupassant, metteva in scena una prostituta ed un omicidio, il che fu piuttosto scandaloso per l’epoca: era infatti la prima volta che una figura così scomoda e compromettente fosse esposta in un opera pubblica.
Ma Metinier per nulla demoralizzato dalla critica e dalla censura perseverò nei suoi intenti e continuò ad indagare la società ed i suoi margini rappresentando criminali sia adulti che giovani, truffatori e saltimbanchi di ogni genere.
Eppure la vera svolta al carattere originale del Grand Guignol fu data da Max Maurey che, succeduto nella direzione artistica a Metinier del 1898 fino al 1914, impose un’impronta profonda alle opere inscenate, poiché dal mondo degli emarginati si passò in un inaspettato batter di ciglio al mondo dell’orrore.
3. Grand Guignol: nascita di un genere e del suo neologismo
L’originale poetica di Metinier era stata nel giro di un anno essa stessa pioniera di un genere e complice di un nuovo cambiamento che nacque proprio in seno ad essa.
Maurey appena divenuto direttore del Grand Guignol si avvalse della penna di Andre de Lorde, poco ortodosso scrittore che inseguito venne soprannominato “Il Principe del terrore”, il quale riuscì ad aggiungere un originale ingrediente alle scene allargando gli interessi alla sfera psicanalitica, che intanto a quel tempo assurgeva al rango di scienza, con particolar attenzione per l’insanità mentale ed i suoi risvolti orrorifici.
Ci si abbandonò letteralmente al gusto dell’orrido: le ossessioni maniacali che sfociavano in supremi atti di violenza, la vendetta e lo sfregio sadico per mezzo di acido e mutilazioni efferate, dove pure tra cotanto istinto omicida covava irrefrenabile la pulsione erotica.
La scenografia immersa nelle ore buie della notte dove trova riparo tanto l’assassino quanto il mistero. E così si sprofonda tra storie di fantasmi, necrofilie nevrotiche, grottesche caricature d’uomini-assassini, cimiteri e scheletriche apparizioni.
Una tra le opere più significative non a caso fu quella scritta a quattro mani con Leo Marches, altro singolare autore chiamato “L’uomo della notte”, che aveva come soggetto un uomo realmente esistito, tale sergente Bertrand, la cui vicenda balzò alle cronache negli anni ’40 del XIX secolo per la sua monomaniacale curiosità per i cadaveri, tanto da dissotterrare, mutilare e mangiarne i corpi nei cimiteri parigini.
Il genere si diffuse presto in tutta Europa, laddove non fosse previamente censurato, e divenne presto assai richiesto ed apprezzato dal pubblico che desiderava di morire di paura in tutta sicurezza sui proprio comodi posti, tanto che ne nacque un’aggettivo: grand-guignolesco ad indicare una situazione dalle tinte fosche, macabre ed efferate.
4. Gli anni di Choisy e la morte come attrice coprotagonista
Dal 1914 al 1930 direttore del teatro fu Camille Choisy, che investì energie per arricchire l’equipe teatrale, dai costumisti ai tecnici delle luci e degli effetti speciali, fece accrescere enormemente la fama del teatro chein quegli anni raggiunse l’apice del successo.
Choisy si servì inoltre dell’attrice Paula Maxa, che divenne nota al pubblico come “Sarah Bernhardt dell’impasse Chaptal”, per farne l’attrice più uccisa della storia di tutti i tempi.
Paula Maxa venne squartata, sbudellata, ridotta in innumerevoli minuscoli pezzetti, decapitata – i riguardi per la ghigliottina e gli effetti sulle teste decapitate divennero ossessivi momenti teatrali – avvelenata, punta da insetti e via dicendo.
In una serata si poteva assistere dalle quattro alle sei rappresentazioni, in genere molto brevi, che richiedevano particolare sangue freddo e stomaco forte da parte degli spettatori.
Numerosi furono i casi di svenimenti e malumori improvvisi tra il pubblico, tanto che la compagnia teatrale assunse direttamente un medico che in sala effettuava un pronto soccorso.
5. Gli anni dal 1930 al 1937 fino agli ultimi giorni
Furono sette gli anni che il teatro trascorse sotto la guida di Jack Juovin, che tra le prime scelte estromise l’ormai famosa Paula Maxa e impose sulle scene una pletora di elementi e azioni dal gusto horror che presto divennero scontate e nauseanti.
Secondo molti già qui si mostrarono i primi segni del declino del Gran Guinol; i lunghi e terribili anni della guerra fecero il resto, il teatro non si riprese mai del tutto pur continuando la sua vita durante gli anni ’50.
Toccò infine a Nonon decretarne la definitiva morte nel 1962.
Chiudeva così il teatro più irriverente, dal perverso ma sicuramente elevato sapore artistico, che seppe dare ai suoi spettatori dal vivo le emozioni più forti che questi potessero mai pensare di provare, contravvenendo di fatto gli obblighi dell’etica, della logica perbenistica permeata di educazione cattolica, della inevitabile censura poliziesca.
Perché ormai aveva smesso il suo compito, superato da una realtà tragicamente mutata che richiedeva ben altre mutate forme di rappresentazione.
Il tutto fu una lunghissima finzione e come è ovvio ogni spettacolo deve pur meritarsi un adeguato finale.