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Sei distratto? Non è sempre un male (guida a parte)

Gli incidenti al volante? Gran parte sono causati dalla distrazione da smartphone. In base ai più recenti dati Istat, nel 2016 quelli imputabili alla guida distratta sono stati oltre 36mila, circa il 16 per cento del totale.

Così il numero delle vittime sulle strade, che nel 2016 si era stabilizzato, nel 2017 è cresciuto del 2,7 per cento con 3.378 lenzuoli bianchi stesi sull’asfalto.

Se avessimo maggiore consapevolezza dei meccanismi che guidano i processi dell’attenzione, potremmo mettere in atto efficaci contromisure.

Non solo: distrazioni eccessive hanno un impatto negativo sulle relazioni interpersonali: «Ricerche dimostrano che un sovrautilizzo di smartphone è in grado di ridurre le nostre capacità attentive e ha conseguenze sui rapporti faccia a faccia, sulla salute mentale e su quella fisica», commenta Larry Rosen, professore emerito di psicologia alla California State University (USA).

Se al volante la distrazione degli italiani è causa di 36mila incidenti all’anno, fuori dall’auto, essere distratti, può rivelarsi una risorsa: secondo i neuropsicologi esalta la creatività e allarga gli orizzonti di fronte ai problemi da risolvere. Scopriamo come…

 

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1. Cervelli “antichi”

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Eppure la tendenza ad avere sempre la testa tra le nuvole e a vagare con la mente è ormai una costante per tutti e non dipende solo dagli smartphone.

Quante volte ci capita di dirigerci verso il frigo, aprirlo e renderci conto che non ci ricordiamo più cosa stavamo cercando?

Di questo fenomeno ha parlato anche Tom Stafford dell’Università di Sheffield, che in un articolo pubblicato sul portale della Bbc ha citato il cosiddetto “effetto soglia”: andiamo in un’altra stanza per fare qualcosa e quando arriviamo ci dimentichiamo di cosa volevamo fare.

Per Stafford queste dimenticanze temporanee, legate a un cambiamento di luogo fisico, rappresentano un ottimo punto di vista sul funzionamento del cervello.

Sul tema lo stesso Larry Rosen, assieme ad Adam Gazzaley, ha scritto recentemente un saggio dal titolo Distracted mind. Cervelli antichi in un mondo ipertecnologizzato (Franco Angeli), in cui questa forma di dimenticanza è definita “interferenza su un obiettivo”: «Può essere generata sia dall’interno, presentandosi con pensieri nella propria mente, sia dall’esterno, attraverso stimoli sensoriali», scrivono i due studiosi.

Ma perché la nostra mente è così facilmente distraibile? «Tutti i sistemi complessi sono vulnerabili alle interferenze, compreso il funzionamento dei nostri pc», proseguono gli autori.

«Il cervello umano, innegabilmente il sistema più complesso dell’universo conosciuto, è dunque estremamente vulnerabile». Non è solo questa la ragione.

Secondo Rosen e Gazzaley, la distraibilità è una conseguenza evolutiva: le nostre capacità di controllare l’attenzione non si sono sviluppate tanto quanto le nostre funzioni cognitive. In altre parole, sappiamo fare molte più cose dei nostri progenitori, ma non abbiamo imparato del tutto a concentrarci su una alla volta.

 

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2. Il vantaggio di essere distratti

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C’è però una buona notizia: la tendenza a distrarci lasciandoci trasportare dal flusso dei pensieri, perdendo di vista l’obiettivo può essere una risorsa.

Su questo tema Andrew Smart, già ricercatore alla New York University, nel suo In pausa (Indiana) ha descritto la cosiddetta “rete neurale di default”, un circuito cerebrale che si attiva quando la nostra mente è a riposo oppure quando vorremmo concentrarci ma non ci riusciamo e che ci porta a distrarci vagando con i pensieri.

Per Smart questo circuito della distrazione ha un effetto positivo: ci spinge alla creatività. Molti studi hanno illustrato infatti come questa forma di pensiero libera e “distratta” sarebbe fertile per la formazione di idee originali.

Una modalità di pensiero analoga si presenta anche quando svolgiamo un compito con il “pilota automatico”: un esempio è quello di chi, guidando verso casa lungo una strada ben nota, arriva a destinazione rendendosi conto di non ricordare di averla percorsa.

Di questo curioso modo di essere “sopra pensiero” avevano parlato Deniz Vatansever, David K. Menon ed Emmanuel A. Stamatakis dell’Università di Cambridge (Regno Unito) in uno studio pubblicato nel 2017 dai Proceedings of the National Academy of Sciences.

Sottoponendo 28 volontari a risonanza magnetica mentre erano impegnati in un gioco di carte, gli studiosi avevano dimostrato come al termine della fase di apprendimento del gioco si attivasse una specifica area cerebrale deputata al funzionamento “in automatico” della mente.

In pratica quello stesso meccanismo che ci consente di compiere, senza pensarci, azioni abitudinarie ancorché complesse come guidare. Questo però avviene con compiti ben appresi e che non richiedono particolare attenzione in quanto compiuti a un livello basilare.

Non a caso il pilota automatico smette di funzionare improvvisamente, e subentra l’attenzione cosciente, nel momento in cui ci rendiamo conto di aver sbagliato strada e dobbiamo ragionare su quale percorso alternativo scegliere.

Ma perché l’evoluzione ci ha dotati di questo sistema? «Riuscire a svolgere un compito in modo automatico è utile per liberare risorse da impiegare in modo strategico in altri compiti», puntualizza Rosen.

 

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3. Il caos viene dall’eccesso

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Una cosa è certa: la società attuale ci rende particolarmente distraibili.

Secondo una ricerca di alcuni anni fa condotta all’Università di Verona su più di cento studenti, anche solo aspettarsi una distrazione (come l’arrivo di una telefonata o di un messaggio) riduce la concentrazione di chi è impegnato in un compito.

«Sicuramente oggi vogliamo fare più cose insieme», dice Rosen. «Ciò non rappresenta un problema se stiamo facendo le pulizie, mentre lo è se dobbiamo dedicarci a compiti importanti. In fondo il nostro cervello è più o meno lo stesso dei nostri progenitori, ma abbiamo molte più possibilità per utilizzarlo».

La conseguenza di questo eccesso di stimoli? Un sovraccarico. Così resta disponibile una quantità minore di risorse mentali per tutte le attività.

Spesso finiamo col credere che l’unica soluzione sia il tanto citato multitasking, ovvero l’abilità oggi fondamentale in ogni professione di portare avanti tanti compiti contemporaneamente.

Ma c’è un problema: questa modalità di lavoro ci spinge a fare tanto, ma con più superficialità. Le evidenze scientifiche ci fanno pensare che nonostante i compiti a cui oggi ci dedichiamo siano diversi da quelli del passato, l’abilità di svolgerli contemporaneamente sia la stessa.

Tutto ciò è confermato dai molti studi di neuroimaging che hanno chiarito che un cervello umano multitasking di fatto non esiste: durante l’esecuzione di compiti multipli, l’attenzione viene di volta in volta ripartita.

Perché l’attenzione è un bene limitato: può essere solamente divisa, non moltiplicata.

 

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4. Troppa concentrazione rende meno attenti

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È questo il risultato di una ricerca, condotta da Marlene R. Cohen dell’Università di Pittsburgh (Stati Uniti), sull’attività dell’area del cervello che codifica le informazioni visive in un gruppo di scimmie, addestrate a rilevare piccole modifiche sullo schermo di un computer.

Studiando il comportamento dei primati, la ricercatrice ha dimostrato come negli animali (ma il fenomeno è presente anche nell’uomo) concentrarsi molto porta ad assorbire tutte le risorse mentali, distraendo dal contesto.

In altre parole, più ci concentriamo su un problema da risolvere e meno notiamo le informazioni collaterali ma anche le conversazioni di chi ci sta attorno o i ricordi di quanto abbiamo fatto poco prima.

L’attimo di distrazione permette invece di recuperare un’attenzione meno ristretta e più utile a svolgere al meglio il compito.

Secondo la ricercatrice, questa abilità ha un’origine evolutiva: permetteva di non farsi cogliere di sorpresa dai predatori.

 

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5. I distratti patologici hanno più cervello

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Avete presente quel collega che finisce sempre col dimenticarsi gli appuntamenti e sbagliare i suoi compiti obbligando gli altri a rimediare?

Certe persone sembrano irrimediabilmente distratte, incapaci di concentrarsi e di ricordarsi le cose importanti.

Secondo alcune ricerche la distrazione “patologica” e continua potrebbe avere causa in una particolare conformazione del cervello.

Ryota Kanai e i colleghi dello University college of London (Regno Unito) hanno rilevato, in una ricerca, volumi maggiori in alcune zone del cervello nelle persone più predisposte alla distrazione.

In altre parole, sarebbero i soggetti con più materia grigia a vagare con la mente, anche se la ragione non è chiara.

Anche se esistono differenze soggettive nell’abilità individuale di distribuire le nostre risorse attentive una ragione certa non è nota.

 

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