Yuri Gagarin, Neil Armstrong, Niccolò Copernico: chi non conosce il primo uomo – sopravvissuto – a un lancio nello spazio, il primo ad aver posto piede sulla Luna e quello mise il Sole e non la Terra al centro del nostro sistema?
Eppure, non sono certo i soli “eroi” della corsa allo spazio.
La storia dell’astronomia è popolata di scienziati, astronomi e astronauti che hanno dato il loro contributo alla conquista dell’universo, che però, per discriminazione, indifferenza o volute omissioni dei governi, non hanno ricevuto il giusto riconoscimento. Scopriamoli insieme.
1. Per ragioni di sesso
Per Henrietta Swan Leavitt, classe 1868, l’ostacolo per esempio fu il fatto di non essere nata uomo.
Alla fine dell'Ottocento, il massimo cui una donna potesse aspirare nel campo dell'astronomia era catalogare stelle per 25 centesimi l'ora nell'osservatorio dell’Università di Harvard.
Inevitabile, quindi, che quasi nessuno si ricordi di lei, benché abbia scoperto il metodo per misurare le distanze tra le galassie che cambiò la cosmologia.
Durante il suo ripetitivo impiego, l'astronoma americana notò che le stelle appartenenti a un intero gruppo fotografato all'interno delle Nubi di Magellano pulsavano tanto più lentamente quanto più erano luminose.
Questo, ipotizzò, dipendeva dal fatto che si trovavano alla medesima distanza dalla Terra.
Nel 1912 riuscì a riassumere in un'equazione le tre variabili di luminosità, distanza e periodo di pulsazione: aveva trovato il modo di misurare le distanze nell'universo usando come punti di riferimento quelle stelle, oggi dette Cefeidi.
Nonostante l'eclatante scoperta, ci vollero 9 anni perché Henrietta fosse messa finalmente a capo della sezione di fotometria astronomica di Harvard, ma morì quello stesso anno. Nella foto sotto Henrietta Swan Leavitt.
Un quarto di secolo prima era approdata nel cosiddetto “harem di Pickering" il docente che aveva avuto la brillante idea di impiegare nel suo osservatorio solo donne malpagate, tra cui una laureata in fisica: Annie Jump Cannon, che era quasi sorda, non aveva marito e non godeva di grande considerazione professionale.
Ma in soli 4 anni scoprì e schedò più stelle di qualunque altro uomo prima e dopo di lei. Non solo: inventò un metodo di catalogazione delle stelle più semplice dei precedenti, basato sulla temperatura superficiale dei corpi celesti.
Con questo sistema fu compilato il celebre catalogo Henry Draper, un enorme raccolta di dati riguardanti oltre 225 mila stelle.
Soltanto nel 1939, dopo una carriera quarantennale e appena due anni prima di morire, ottenne un incarico regolare alla Harvard University come astronoma. Nella foto sotto, Annie Jump Cannon.
2. Scoperte misconosciute
Nessun riconoscimento, neppure tardivo, toccò mai invece a Leonard Digges, matematico e topografo inglese vissuto intorno alla metà del XVI secolo.
Oltre al teodolite, uno strumento ottico usato ancora oggi per i rilievi topografici, sembra che Leonard avesse inventato il primo telescopio a specchio, circa 130 anni prima del più noto connazionale, il fisico Isaac Newton.
O almeno, così sosteneva il figlio Thomas nella prefazione a un libro paterno pubblicato postumo, in cui affermava che suo padre aveva sperimentato l'uso di “lenti proporzionali" con cui era riuscito a vedere oggetti e persone poste anche a sette miglia di distanza.
Una descrizione così vaga lascia però molti dubbi: Digges aveva costruito davvero il cosiddetto telescopio newtoniano?
Se ne avesse avuta la possibilità, probabilmente ne avrebbe parlato in uno dei suoi scritti, ma nel 1554 lo studioso prese parte a una ribellione protestante contro la nuova regina d'Inghilterra, la cattolica Maria, figlia del re Enrico VIII.
La rivolta fallì e Digges evitò la pena di morte a prezzo della confisca di tutti i beni. I suoi libri e le sue invenzioni furono gettati via: inutilmente il poveretto spese il resto della vita cercando di recuperare le proprietà e la reputazione perdute. Nella foto sotto, Leonard Digges.
Digges non fu certo l'unico a vedersi disconoscere la paternità di una scoperta importante per l'astronomia: a Domenico Leone Pacini spetta il “merito" di essere uno dei primi Nobel mancati della fisica italiana.
Laurea in fisica, nel 1906 fu assunto all’Ufficio centrale di Meteorologia e Geodinamica per studiare i fenomeni elettrici dell'atmosfera.
Da qui prese l'ispirazione per le sue ricerche: tutti all’epoca sapevano che gli elettroscopi, gli strumenti usati per verificare se un corpo è elettricamente carico, si scaricano più velocemente in presenza di sostanze radioattive.
Tra il 1907 e il 1912 Pacini fece esperimenti sulla superficie del mare e poi sott'acqua, misurando il tempo impiegato da un elettroscopio a perdere la sua carica: si rese conto così che sotto il mare le radiazioni diminuiscono mano a mano che la profondità aumenta.
Concluse che la radioattività naturale delle rocce non basta da sola a scaricare gli elettroscopi e che "una parte non trascurabile della radiazione penetrante che si riscontra nell'aria" non proviene dalla superficie terrestre ma dal cosmo. Nella foto sotto, Domenico Leone Pacini.
3. Segreto di Stato
Eppure, la scoperta dei raggi cosmici non viene attribuita a Pacini ma al fisico austriaco Victor Franz Hess.
Nel 1912 anche Hess pubblicò i dati dei suoi esperimenti, confermando la teoria del nostro connazionale: viaggiando su una mongolfiera, aveva verificato, infatti, che l'intensità della radiazione penetrante aumenta mano a mano che ci si alza da terra.
Per le sue osservazioni Hess vinse il Nobel nel 1936, due anni dopo la morte di Pacini. Nella foto sotto , Victor Franz Hess.
Caso inverso ai precedenti fu quello di Sergei Pavlovich Korolev, che fu costretto ad “aspettare la propria morte" per liberarsi dall'anonimato: nessuno o quasi, infatti, prima del 1966 sapeva che l'ingegnere sovietico, da molti considerato il padre dell'astronautica, dirigeva il gruppo che nel 1957 lanciò in orbita lo Sputnik 1, il primo satellite artificiale a volare nello spazio.
Il nome di Korolev rimase coperto dal segreto militare per diversi anni dopo la sua morte. Il motivo?
La Russia, in quegli anni dominati dalla Guerra fredda con gli Stati Uniti, sviluppava i razzi spaziali per scopi militari. «Scompariremo senza lasciare traccia» amava ripetere: proprio la sorte toccata a diversi viaggiatori dello spazio. Nella foto sotto, Sergei Pavlovich Korolev.
La corsa alla conquista della nostra orbita, infatti, fece probabilmente molte vittime. La morte del cosmonauta Valentin Bondarenko, per esempio, fu resa nota solo nel 1986, a 25 anni dall'incendio scoppiato nella camera pressurizzata dove si stava addestrando.
Morti bianche di cui esisterebbero alcune prove. Lo hanno sempre sostenuto i fratelli torinesi Achille e Giambattista Judica Cordiglia. Cardiologo il primo, perito fonico l’altro, nei primi anni Sessanta con la loro stazione di radioascolto intercettarono alcune trasmissioni provenienti dallo spazio.
Captarono così non solo il flebile “bip bip" dello Sputnik 1, ma anche ciò che ufficialmente non è mai esistito: grida e rantoli di missioni umane finite in tragedia.
4. Arsi vivi in orbita
Il primo messaggio di questo genere, intercettato il 28 novembre 1960, fu una richiesta d’aiuto trasmessa in codice Morse: “SOS a tutto il mondo" ripetuto in modo ossessivo e agghiacciante.
Il segnale, raccontano i fratelli Judica, veniva da un punto fisso e diventava sempre più debole: «Ci convincemmo che una navicella spaziale si stava perdendo nello spazio con il suo occupante» affermarono.
Deduzione solo in parte confermata dall'annuncio di Radio Mosca, che il 1° dicembre rese noto che un grosso satellite era stato messo in orbita, senza dir niente sulla presenza o meno di uomini a bordo.
Il successivo 2 febbraio, due giorni prima che l’Urss comunicasse la disintegrazione dello Sputnik 7, i fratelli Judica rilevarono un rantolo e il battito del cuore di una persona agonizzante.
Il 23 maggio ascoltarono invece una voce femminile che gridava disperata alla base, più volte, “ho caldo... fa caldo... È tutto a posto?... Ho caldo...”.
Secondo alcuni, una navicella sovietica lanciata in orbita il 16 dello stesso mese per un errore di manovra mancò il corridoio di rientro, bruciando come una meteora nell’atmosfera.
Se a bordo ci fossero state davvero persone, tra le quali magari la cosmonauta russa angosciata, di loro non sarebbe rimasto neppure il nome. Nella foto sotto , i fratelli Judica.
5. È vero ma non ti credo e gli eterni secondi
È vero ma non ti credo
A volte non basta avere ragione per essere ascoltati. Santa Ildegarda di Bingen era figlia di aristocratici tedeschi: nata nel 1098, a 8 anni si ritirò in convento.
Oggi è nota soprattutto per le sue visioni, per la sua cultura, per il suo modo aperto di intendere la predicazione cristiana, ma non come cosmologa, anche se propose la teoria dell'universo eliocentrico trecento anni prima che lo facesse Copernico.
Era solo una monaca, anzi, una donna. E rimase inascoltata. anche, per sua fortuna, dalla Chiesa, che all'epoca era poco incline ad accettare certe idee. Nella foto sotto, Santa Ildegarda di Bingen.
Secoli dopo, le donne erano ancora discriminate. All inizio del Novecento. Cecilia Payne Gaposchkin, un astronoma inglese, ipotizzò che il Sole fosse costituito al 90% da idrogeno.
Αll'epoca gli scienziati ritenevano, erroneamente, che la componente principale della nostra stella fosse il ferro.
La sua scoperta fu perciò snobbata, anche se alcuni anni dopo gli astronomi furono costretti a darle ragione. Nella foto sotto, Cecilia Payne Gaposchkin.
Gli eterni secondi
C'è chi dice che nella vita essere secondi oppure ultimi sia la stessa cosa. E in certi casi forse è vero.
Il telescopio Lippershey primo modello funzionante da cui persino Galileo Galilei trasse ispirazione per il suo telescopio astronomico, avrebbe anche potuto chiamarsi telescopio Jacob Metius.
Hans Lippershey, ottico tedesco di fine Cinquecento come Metius, batté il collega sul tempo, anticipandolo di poche settimane sulla domanda di brevetto.
Da allora, Metius tenne segrete le sue invenzioni e, prima di morire, le distrusse perché nessuno potesse impadronirsene. Nella foto sotto, Jacob Metius.
Più che di tempo fu questione di fortuna per Urbain Le Verrier, matematico e astronomo francese noto per aver contribuito alla scoperta di Nettuno (1846) grazie ai suoi calcoli matematici sulle variazioni dell'orbita di Urano.
La delusione dev'essere stata grande per il collega inglese John Couch Adams, che nello stesso periodo, ma a latitudini diverse, raggiunse le medesime conclusioni.
Peccato che l'astronomo di Cambridge cui Adams aveva inviato i risultati avesse dato un'occhiata rapida al cielo e avesse dichiarato che lì non c'era niente.
Al contrario dell'astronomo Johann Galle, che a Berlino aveva passato la notte intera a scrutare il cielo e alla fine era riuscito a localizzare il pianeta. Nella foto sotto, Urbain Le Verrier.