“Tutti i prati e i pascoli, tutte le montagne e le colline sono farmacie”.
Così scriveva, tra il 1400 e il 1500, Paracelso, medico e alchimista svizzero, attribuendo però il potere curativo delle piante anche a un mix di esperienza del terapeuta, superstizione e magia.
La sua spiegazione del fenomeno sconfinava nell’esoterismo, ma su un punto aveva ragione: la farmacia della Natura è ricchissima di principi attivi, molti dei quali attendono solo di essere scoperti, caratterizzati e usati.
Cortecce, radici, foglie, semi, fiori e frutti di migliaia di piante, chiamate officinali, contengono infatti sostanze che, se correttamente estratte, lavorate e somministrate, esplicano il loro potere terapeutico nei confronti di molti disturbi.
Dalle piante si ottengono i fitoterapici. Confusi a volte con prodotti omeopatici o di erboristeria, sono invece vere e proprie medicine.
E tuttavia, se usati con leggerezza, certi rimedi vegetali possono anche intossicare e persino uccidere.
1. Nascita di una scienza e importanti differenze
In passato, il rischio legato all’assunzione non controllata di estratti vegetali era molto più alto di oggi.
La tradizione popolare riconosceva le virtù di alcune piante ma, spesso, ne ignorava il corretto utilizzo.
La fitoterapia – cioè la cura per mezzo di piante (dal greco phyton e therapeia) – nasce come scienza solo all’inizio dell’800, entrando presto a far parte a tutti gli effetti della medicina ufficiale.
Oggi i farmaci fitoterapici si ottengono con tecniche controllate che garantiscono concentrazioni costanti di principio attivo e sono presenti nelle principali farmacopee: l’80% della popolazione mondiale se ne serve, se non in forma esclusiva, per lo meno come opzione terapeutica principale.
Non solo. Traendo ispirazione dalle piante, l’industria farmaceutica ha isolato e caratterizzato migliaia di molecole, riuscendo poi a ottenerle in laboratorio e a farne medicine.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il principio attivo del 25% dei farmaci di sintesi in commercio deriva da piante. Anche se la natura non smette di ispirare la chimica, farmaci di sintesi e fitoterapici sono tuttavia prodotti diversi.
I primi, infatti, si basano per lo più su una sola molecola attiva, mentre i secondi contengono abitualmente numerosi composti capaci di esercitare un’azione farmacologica, spesso associati ad altri che ne potenziano l’effetto, oppure a componenti inerti.
Nell’insieme, tutte queste molecole formano il fitocomplesso: un mix specifico per ogni pianta, in grado di esercitare l’azione curativa.
I fitofarmaci sono medicinali a tutti gli effetti: hanno superato i controlli previsti dall’Agenzia italiana del farmaco, la loro efficacia e sicurezza è stata dimostrata sperimentalmente e si vendono solo in farmacia. Si usano principalmente a scopo curativo, ma talvolta anche preventivo.
Sono diversi dai prodotti omeopatici, da quelli erboristici o dagli integratori alimentari la cui commercializzazione non è subordinata a sperimentazioni che attestino efficacia e sicurezza.
Questa distinzione è ben ribadita anche dal ministero della Salute, che divide nettamente i fitoterapici dai prodotti da erboristeria.
2. Un po' medici, un po' botanici, conferme e smentite
Le piante che ci regalano medicine naturali sono moltissime, dell’ordine delle svariate centinaia solo in Italia ed Europa.
Ma bisogna conoscerle bene, perché i principi attivi si concentrano soltanto in alcune parti del vegetale e non sono neppure sempre presenti, ma seguono le stagioni.
Il periodo migliore per raccogliere foglie e fiori coincide con l’inizio della fioritura. Se invece le molecole di interesse si trovano nelle radici, la raccolta va fatta nel periodo di riposo vegetativo, di solito in inverno.
È evidente, dunque, come sia necessaria una conoscenza approfondita di ciascuna specie.
Non ci si improvvisa fitoterapeuti. La formazione prevede una laurea specialistica in discipline biomediche e poi un master, oppure un corso di specializzazione.
Ma accanto alle conoscenze mediche e botaniche, avere dimestichezza con le tradizioni dei popoli è altrettanto importante, specie per chi è a caccia di nuovi rimedi.
Nell’individuare le piante utili non si parte da zero, bensì dalla sapienza tradizionale, che viene poi confermata, oppure smentita, dalle indagini di laboratorio e cliniche.
A volte la saggezza popolare ha ragione, come nel caso dell’astragalo (Astragalus membranaceus), che ha effettivamente un’azione immunostimolante, e che oggi è usato come terapia complementare per i malati oncologici.
Il fitocomplesso presente nella sua radice contiene sostanze chiamate saponine, flavonoidi e polisaccaridi che stimolano l’attività dei linfociti e dei macrofagi (cellule del sistema immunitario) e inibiscono la replicazione di certi virus.
A volte, invece, la ricerca scientifica ha smentito credenze vecchie di secoli. Come nel caso del camedrio comune (Teucrium chamaedrys L.), un arbusto dai fiori rosa intenso comune in tutta Europa, usato in passato come antinfiammatorio, antireumatico, astringente e digestivo.
Oggi sappiamo che danneggia il fegato, e dunque il suo uso terapeutico è proibito.
3. Dalla camomilla alla lavanda
Proporre una panoramica esaustiva delle piante officinali sarebbe impossibile. Alcune, però, meritano una menzione.
Come la ben nota camomilla (Matricaria chamomilla), il cui principio attivo, apigenina, è un antinfiammatorio più potente dell’aspirina e non dà problemi allo stomaco; anzi, uno dei suoi usi più diffusi è proprio contro la gastrite.
I farmaci antinfiammatori non steroidei, come appunto l’aspirina, agiscono bloccando la sintesi di prostaglandine, che innescano le infiammazioni.
Queste molecole, tuttavia, svolgono anche altre funzioni. In particolare, promuovono la formazione dello strato di muco che protegge lo stomaco.
Anche la camomilla blocca la sintesi delle prostaglandine, ma lo fa blandamente, e in più agisce su almeno altri cinque bersagli coinvolti nell’infiammazione. Per questo la sua azione è così potente e lo stomaco non ne risente.
Pure il frutto del castagno d’India (Aesculus hippocastanum) è un antinfiammatorio. È infatti ricco di escina, sostanza che inibisce un gran numero di molecole che inducono infiammazioni.
La profumata lavanda (Lavandula angustifolia Mill.) contiene invece un olio essenziale ricco di acetato di linalile e linalolo ad attività battericida e antimicotica. E si potrebbe continuare a lungo.
4. Bersagli diffusi ma non sono caramelle
La scelta del fitoterapico rispetto al farmaco di sintesi va valutata caso per caso, anche se a parità di efficacia molti fitoterapici hanno mostrato una tossicità inferiore dei loro cugini sintetici.
Accade perché i farmaci di sintesi sono progettati per colpire bersagli precisi e per annientarli, ma poiché gli stessi bersagli possono svolgere diverse funzioni, questo può generare degli sbilanciamenti.
Il fitoterapico, invece, non è diretto contro un target particolare, ma agisce su più meccanismi, con un effetto più contenuto e senza portare a grossi squilibri.
E allora ben vengano il biancospino (Crataegus spp) nell’insufficienza cardiaca e come antiaritmico; il Ginkgo biloba, utile quanto i farmaci di sintesi per i disturbi della circolazione, in particolare quella cerebrale; o l’Uva ursina e il mirtillo, efficaci rispettivamente per trattare le cistiti nella fase acuta e per prevenirne le ricadute.
Spesso a richiedere farmaci fitoterapici sono i pazienti cronici, proprio con l’obiettivo di ridurre l’assunzione di farmaci di sintesi e dei loro effetti collaterali.
Tuttavia, bisogna fare attenzione con i farmaci fitoterapici. Anch’essi possono determinare effetti collaterali, tanto che esiste un servizio di fitosorveglianza che, analogamente a quanto fa la farmacovigilanza con i prodotti di sintesi, si occupa di registrare gli effetti avversi dei fitoterapici in commercio.
Per esempio, il ginseng può dare ipertensione e irritabilità, mentre la valeriana induce dipendenza e alterazioni del ritmo cardiaco.
Ma il rischio maggiore è legato alle possibili interazioni con altri farmaci che il paziente assume regolarmente e la cui efficacia può risultare accresciuta o diminuita in presenza del prodotto vegetale.
Altri problemi si possono poi riscontrare se un individuo è allergico a un fitocomplesso, oppure nel caso di preparati contaminati da metalli pesanti, pesticidi, muffe o microbi.
5. Belle e (a volte) maledette e i botanicals
- Belle e (a volte) maledette
Che le piante siano una fonte sorprendente di sostanze curative, ma anche potenzialmente tossiche, era noto già a Egizi e Sumeri.
Nei secoli l’uomo ha imparato a conoscerle prestando attenzione a odori pungenti o sapori disgustosi, che spesso segnalano proprietà venefiche.
La fantasia popolare, pronta a far tesoro dell’esperienza, ha stilato un registro di alcune piante da usare con particolare cautela, segnalandone la pericolosità in alcuni casi anche nel nome.
1) L’ERBA DELLE STREGHE O STRAMONIO (DATURA STRAMONIUM) contiene una miscela di alcaloidi che danno allucinazioni e incubi.
2) L’ARTIGLIO DEL DIAVOLO (HARPAGOPHYTUM PROCUMBENS), usato per problemi osteoarticolari e reumatici, non può essere assunto da pazienti con diabete né da chi soffre di gastrite e ulcera duodenale, poiché stimola la secrezione gastrica.
3) L’ACONITO (ACONITUM NAPELLUS), dal bel fiore viola-azzurro, è velenosissimo: i tuberi della pianta contengono aconitina, tossica per contatto con la pelle anche in assenza di ferite.
4) LA DULCAMARA (SOLANUM DULCAMARA L) possiede proprietà depurative ed era usata contro i reumatismi e la gotta. Ma ad alte dosi provoca nausea, vomito e vertigini.
- I botanicals
Con il termine botanicals gli anglosassoni indicano i prodotti vegetali usati soprattutto per la preparazione di integratori alimentari e cosmetici.
Sono spesso accompagnati da un claim, una dicitura che ne descrive le proprietà salutistiche: per esempio, la capacità di regolarizzare la funzionalità intestinale oppure di controllare i livelli di colesterolo.
E non di rado il consumatore è portato a pensare che si tratti di medicinali naturali.
MEDICINALI O ALIMENTI? Naturali di certo lo sono, ma non si può parlare di medicinali, anche se sono venduti in farmacia, perché formalmente sono alimenti e non hanno le caratteristiche di qualità di un medicinale. La loro richiesta è notevolmente aumentata negli ultimi anni, tanto che FederSalus stima un giro d’affari di oltre due miliardi di euro per il mercato italiano.