“Puzza sotto il naso”? Ci fanno decisamente impazzire! Quante volte pensiamo di aver comprato il cibo perfetto per loro e invece… niente.
Lo guardano con sufficienza, annusano un po’ e, guardandoci con aria delusa, si allontanano dalla ciotolina.
I gatti hanno decisamente gusti difficili. E la scienza lo conferma. Recenti ricerche spiegano che si tratta del risultato di esigenze evolutive.
Inoltre, nonostante sembrino in apparenza molto pigri e dediti quasi esclusivamente al sonno e al cibo, non hanno del tutto perduto la loro essenza naturale: si dimostrano, infatti, sempre attenti e curiosi a ciò che li circonda, al punto che il loro istinto venatorio torna prepotentemente a galla in numerose situazioni domestiche.
Questo aspetto, tuttavia, per quanto Madre Natura li abbia resi abili a riconoscere le sostanze nocive, può talvolta portarli a venire in contatto con una serie di sostanze nocive, capaci in certi casi di causare loro intossicazioni più o meno gravi.
Scopriamo allora anche quali sono i pericoli che si celano tra le quattro mura delle nostre case e come intervenire in caso di necessità.
1. Non si tratta di capricci ma... di Madre Natura!
Qual è l’incubo peggiore per noi gattofili in tema di pappa?
Azzeccare quella in grado di catturare i gusti, a quanto pare complicatissimi, dei nostri piccoli felini di casa!
Se alcune pappe vengono scartate a priori, alcune ci fanno vivere l’illusione di aver trovato la marca perfetta. Ma dura poco. Di punto in bianco capita che rifiutino anche quella.
Come mai? Una ricerca pubblicata su PLOS One fornisce qualche spunto da cui partire: secondo lo studio i gatti domestici, benché carnivori, condividono con gli erbivori alcuni importanti geni implicati nella percezione dell’amaro.
Geni elaborati dalla natura stessa per dare ai felini la capacità di riconoscere un alimento potenzialmente velenoso e, di conseguenza, da evitare.
Nel mondo animale, il gusto è come un guardiano che sbarra la strada alle sostanze dannose e incoraggia il consumo di tutte le sostanze che servono.
Poiché i gatti raramente consumano piante, tranne nei casi in cui mangiano erba a scopo “digestivo”, ci si potrebbe aspettare che, nel loro DNA, i geni che codificano per i recettori dell’amaro siano stati “disattivati” con l’evoluzione.
Invece, quando i genetisti del Monell Chemical Senses Center di Philadelphia hanno cercato i geni per il sapore amaro nel DNA di gatti e altri mammiferi carnivori come cani, orsi polari e furetti, ne hanno individuati, nel genoma felino, ben 12 di diverso tipo.
Test di laboratorio hanno poi confermato che i gatti rispondono agli stessi componenti amari presenti in piante e composti velenosi che attivano i recettori umani.
Per esempio, sono sensibili al denatonio benzoato, una sostanza molto amara che viene aggiunta a detersivi e cosmetici per prevenirne l’ingestione da parte dei bambini.
Ma a cosa servono ai mici meccanismi d’allerta così sensibili, se raramente consumano piante? Chi ha un gatto che possa scorrazzare in libertà sa quali tipi di “sorprese” i felini possano portare a casa.
I recettori dell’amaro potrebbero servire ad aiutare i mici a evitare le sostanze velenose presenti sulla pelle di animali selvatici con cui i gatti entrano in contatto, senza contare i pesticidi, i veleni per insetti e via dicendo.
2. E nel cane e nell'uomo?
- E nel cane? Un amico meno “schizzinoso”
Anche il nostro amico cane ha gli stessi recettori del gusto ma sembra che la sua sensibilità ai sapori amari sia minore.
E purtroppo, come rivelano le tristi statistiche, è molto più facile, infatti, che i cani finiscano vittime di polpette avvelenate. Gli scienziati non sanno ancora spiegare del tutto il perché di questa differenza.
Alcuni ritengono che l’arsenale di recettori per l’amaro nei gatti potrebbe servire anche a identificare sul nascere le infezioni in modo analogo a come avviene per l’uomo, che ha recettori per l’amaro persino su cuore e polmoni.
E questo sarebbe un vantaggio che hanno i gatti e non i cani.
Un’altra possibile risposta sta nella sensibilità dei recettori felini: studi precedenti hanno mostrato che in alcuni casi percepiscono l’amaro in modo molto più acuto rispetto agli esseri umani e quindi, forse, anche dei cani.
Ecco perché un alimento “neutro” per noi e Fido potrebbe far storcere il naso alla “tigre” di casa.
- Le diverse reazioni al gusto amaro del gatto e l'uomo
I biologi della AFB International and Integral Molecular, una compagnia specializzata in cibi felini, si sono concentrati in particolare su due recettori dell’amaro: il TAS2R38, una variante del quale rende alcuni esseri umani particolarmente sensibili all’amaro di broccoli e cavoletti di Bruxelles, e il Tas2r43, attivato, come nell’uomo, dall’aloina presente nell’aloe e dal denatonio, una sostanza molto amara usata per tenere alla larga bambini e animali domestici dai detersivi.
Il TAS2R38 felino è risultato dieci volte meno sensibile a un composto amaro chiamato PTC, e insensibile a un altro composto chiamato PROP.
Il Tas2r43 è apparso meno sensibile all’aloina e molto più sensibile della versione umana al denatonio.
La lingua del gatto sembrerebbe inoltre ignorare la saccarina, un dolcificante che per l’uomo ha un retrogusto amaro. Insomma, i gatti sembrerebbero sensibili a una gamma più ristretta, ma senz’altro diversa, di sapori amari rispetto all’uomo.
La ricerca servirà a confezionare cibi e medicinali più appetibili per i nostri amici.
3. Dai piccoli ai grandi felini
Il felino predatore per eccellenza, il leone, potrebbe adattarsi a vivere senza carne?
La strana domanda, pubblicata insieme alla spiegazione sul sito di Popular Science, è meno banale di quanto sembri.
La risposta è, come prevedibile, no.... ma non tanto per una questione di gusti. I denti dei leoni hanno forma e struttura che si sono evolute per tagliare e masticare la carne, e non per triturare semi e cellulosa.
I loro stomaci, inoltre, contengono enzimi adatti a metabolizzare grassi e proteine; manca, nell’apparato digerente di questi felini, la flora batterica necessaria a digerire i carboidrati.
E per i nostri piccoli felini è più o meno la stessa cosa. Una dieta povera di proteine animali rischia di privarli di nutrienti essenziali come la taurina e la cobalamina, un aminoacido e una vitamina del gruppo B.
Senza di queste (o in alternativa, di opportuni integratori) i mici possono sviluppare degenerazione retinica, cardiomiopatie e problemi al tratto urinario.
Un altro aminoacido molto importante per la salute dei gatti è l’arginina, presente in quantità sufficienti nella carne ma non nel pesce. L’eventuale carenza di questo aminoacido può scatenare sintomi nervosi e vomito.
4. Attenzione ai veleni naturali e alle sostanze tossiche tenute in casa
- I veleni naturali. Tutti da conoscere per il loro bene
L’elenco delle piante ornamentali potenzialmente tossiche per gli appartenenti alla specie felina è particolarmente lungo e comprende, tra le altre, l’edera, la dieffenbachia, il giacinto, il giglio, l’iris, il narciso, l’oleandro, l’ortensia, il rododendro.
A queste si aggiungono anche le Euforbiacee, alla cui famiglia appartiene la stella di Natale, e il vischio, spesso utilizzati per le decorazioni delle festività di fine anno.
I gatti manifestano un interesse particolare per fiori, foglie e steli, annusando e assaggiando le parti vegetali.
I sintomi di un eventuale avvelenamento possono essere molto diversificati e comprendere abbondante salivazione, vomito, diarrea, dolori addominali, difficoltà respiratorie, alterazioni delle funzionalità cardiaca o renale, fino a fenomeni di tipo neurologico quali mancanza di coordinazione dei movimenti, paralisi, convulsioni, e coma.
Chi ospita in casa un gatto dovrebbe quindi evitare di tenere piante ornamentali pericolose oppure dovrebbe posizionarle in luoghi inaccessibili al micio, oppure ancora circondarle con apposite reti protettive.
- Sostanze tossiche. Ne abbiamo tante in casa: attenzione!
In casa sono presenti molti prodotti che usiamo tutti i giorni e che possono costituire per il micio un potenziale pericolo: saponi, detersivi, disinfettanti, vernici e coloranti (inclusi i pastelli e i pennarelli usati dai bambini), naftalina, lucido per le scarpe, solventi, cosmetici e perfino l’antigelo per il radiatore dell’auto.
Il contatto diretto con una delle sostanze appena citate oppure la sua ingestione possono provocare segni clinici estremamente variabili, sia in funzione della sostanza ingerita sia in relazione alla dose in rapporto alle dimensioni del gatto.
Talvolta, poi, l’intossicazione può essere indiretta e come tale ancora più subdola: è il caso dei piccoli felini che, dopo aver passeggiato su superfici da poco lavate o disinfettate, e quindi non ancora risciacquate, leccano subito dopo le zampe con la lingua, assumendo in questo modo il prodotto impiegato per la pulizia.
Da non dimenticare l’ingestione di esche avvelenate destinate ai roditori, se non addirittura di cadaveri di piccoli animali morti intossicati, o di insetticidi e veleni per lumache distribuiti nell’ambiente esterno.
A questo proposito, il caso più frequente è quello dell’assunzione di veleni per topi ad azione anticoagulante: il micio che se ne ciba può presentare emorragie più o meno diffuse ed evidenti quali sangue nelle urine, perdita di sangue dalla bocca, rigonfiamenti a carico delle articolazioni delle zampe, emorragie cerebrali e così via.
5. Gatto o cane: ecco cosa fare in caso di intossicazione
Il primo intervento da mettere in atto in caso di intossicazione, sia del gatto sia del cane, consiste nell’eliminare il maggior quantitativo possibile di veleno dall’organismo del nostro amico. È
quindi fondamentale non perdere la calma, agire tempestivamente e contattare subito il veterinario anche per informarsi se esiste un antidoto specifico per contrastare l’effetto della sostanza.
Se ci si trova di fronte a un’intossicazione per contatto, è necessario lavare abbondantemente la parte interessata con acqua corrente, fino a rimuovere completamente il veleno.
In caso di ingestione, invece, si deve assolutamente cercare di far vomitare il gatto o il cane entro mezz’ora.
A questo scopo possiamo fargli assumere alcuni cucchiaini di sale grosso o dell’acqua salata tiepida, oppure ancora pochi millilitri di acqua ossigenata, fino alla definitiva espulsione del contenuto gastrico.
A questo punto, portiamo subito il nostro amico dal veterinario perché lo possa visitare e fare tutti gli accertamenti necessari.
Da dimenticare, invece, quanto tramandato dalla cultura popolare: dargli latte, albume d’uovo o carbone vegetale non sempre è utile in simili circostanze e al contrario, potrebbe, rendere il problema più complicato.