L’8 maggio 1769 i francesi avevano sconfitto i còrsi, nonostante la loro fiera resistenza sulle montagne.
Tra i partigiani che avevano combattuto c’erano anche Carlo Bonaparte e la moglie Maria Letizia Ramolino, incinta di sei mesi del secondo figlio.
Maria Letizia dirà più tardi: “In quei momenti sentivo la mia creatura muoversi, e trasalivo, come fosse già impaziente di lottare”.
Altro che impazienza! Il bimbo nel suo grembo era destinato a diventare il più grande degli eroi moderni, l’uomo che prese per mano la Storia e la cambiò per sempre.
E Napoleone non poteva scegliere momento migliore per venire al mondo di agosto, il mese dedicato all’imperatore Augusto, per lui un modello (come Cesare, come Alessandro Magno).
A 250 anni dalla nascita, avvenuta ad Ajaccio il 15 agosto 1769, il grande conquistatore è ancora notissimo nel mondo intero.
Secondo Steven Skiena e Charles Ward, ricercatori statunitensi che hanno misurato l’indice di notorietà dei personaggi storici sul Web, Napoleone è il più popolare dopo Gesù e prima di Maometto.
E la sua silhouette è la terza immagine più riconosciuta a ogni latitudine, dopo quella del brand della Coca-Cola e della banana.
«Ma ognuno ha il suo Bonaparte», spiega Pierre Branda, responsabile del Patrimonio e della Collezione d’oggetti della Fondation Napoléon di Parigi. «Per gli americani, per esempio, è un self-made man, mentre per i cinesi è soprattutto un imperatore».
Solo in Francia il giudizio sul grande conquistatore non è unanime, e per Branda si tratta di una questione politica ancora calda: «Per la sinistra è stato un dittatore, per la destra un uomo forte che ha creato istituzioni durevoli».
Come il Codice Napoleonico: fu il primo codice moderno e ha influenzato tutti i successivi. La fondazione parigina ha tra l’altro prodotto una mostra itinerante, intitolata “J’arrive. Cinque facce del trionfo” (attualmente in Cina).
Pierre Branda, raffinato studioso e “custode” degli oggetti dell’imperatore francese, ha scelto dieci tra i più significativi. Eccoli.
1. L’AQUILA NAPOLEONICA E LA PARURE PER JOSÉPHINE
- L’AQUILA NAPOLEONICA, COME QUELLA ROMANA
Fuse in bronzo, aquile come questa furono distribuite al Champ-de-Mars di Parigi il 5 dicembre 1804, in una cerimonia in cui il nuovo imperatore fece prestare giuramento alla sua armata.
A imitazione diretta di quelle delle antiche legioni romane, Napoleone ordinò di metterle in cima all’asta delle bandiere di ognuno dei suoi reggimenti.
E non c’è da stupirsi: Bonaparte era un grandissimo fan di Giulio Cesare.
Lo stimava talmente come condottiero che coniò il motto: “Cesare si nasce, non si diventa”, e si paragonava spesso a lui e alle gesta dei grandi conquistatori romani per esaltare le sue imprese.
Adottare i simboli della Roma imperiale, come l’aquila di bronzo, era quindi un modo per rinverdirne i fasti. Con Napoleone, Parigi diventò “caput mundi”. Come lo era stata l’Urbe.
- LA PARURE PER JOSÉPHINE, LA PRIMA MOGLIE
La corte dell’imperatore doveva essere sfolgorante e Joséphine di Beauharnais, l’amatissima imperatrice, la più radiosa delle dame.
Ecco perché Bonaparte le donava magnifici gioielli come questo, realizzato da Marie-Étienne Nitot, gioielliere ufficiale della coppia imperiale, che creò pezzi passati alla storia come simbolo del fasto e del potere napoleonico.
Per esempio il corredo di gioielli per il matrimonio, o le preziose tiare che l’imperatrice, considerata la donna più elegante d’Europa, sfoggiava a corte (quando morì, nel 1814, il suo patrimonio in gioie fu stimato a più di 3 milioni di franchi del tempo).
Non solo: Nitot creò anche la corona, la spada cerimoniale e i vari ornamenti di corte che Bonaparte indossò il giorno dell’incoronazione.
2. IL SERVIZIO DA TÈ “EGIZIANO” DELL’IMPERATRICE E LE 40.000 LETTERE
- IL SERVIZIO DA TÈ “EGIZIANO” DELL’IMPERATRICE
Bonaparte si imbarcò per il Paese dei Faraoni nella primavera del 1798, da Tolone. L’obbiettivo era distruggere la potenza economica inglese.
A di là del risultato finale (fallimentare), il passaggio in Egitto fu importante per la creazione della sua leggenda.
Partì infatti con 50mila soldati e 800 cavalli: un’impresa epica, simile a quelle di Alessandro Magno.
Ma sulle navi della flotta francese c’erano anche circa 160 savants (sapienti, come li chiamavano i soldati), tra ingegneri, geografi, architetti, disegnatori, geologi, orientalisti, matematici, astronomi, chimici, naturalisti, poeti, musicisti, pittori e artisti.
Dovevano formare la Commissione delle scienze e delle arti, incaricata di realizzare il “grande Inventario della valle del Nilo”.
E se la campagna militare finì in una secca sconfitta, la spedizione scientifica fu un successo: le scoperte furono tantissime, in tutti i campi, e dal punto di vista archeologico segnarono l’inizio dell’egittologia.
L’enorme massa di informazioni raccolte sul campo confluì nei volumi e nelle tavole de La déscription de l’Égypte (di cui la prima edizione, detta “edizione imperiale”, fu dedicata a Napoleone ).
Nel drappello degli studiosi c’era anche il diplomatico e artista Dominique Vivant Denon, che disegnò tutto quello che poté vedere dei tesori dell’Alto Egitto, pubblicandolo al suo ritorno in Francia.
Così, nel servizio da tè in stile egizio che vediamo qui sotto (appartenuto a Joséphine e copia di un dono diplomatico fatto da Napoleone allo zar), sono ritratte vedute sul Nilo ispirate proprio a quelle di Denon. Dalla campagna d’Egitto era nato anche uno stile.
- 40.000 LETTERE
Nella sua vita, Napoleone inviò più di 40mila lettere, per organizzare lo Stato e per dirigere le sue campagne militari.
Ma solo la corrispondenza privata era scritta di suo pugno, ed era rivolta in gran parte a donne, soprattutto a Joséphine e Maria Luisa, le due mogli: gli affari di cuore non potevano avere intermediari.
Si tratta però del 2% di tutte le lettere censite.
Le altre, quelle ufficiali, le dettava ai suoi segretari, poi venivano rilette e spesso, prima di apporre il sigillo di approvazione, Bonaparte le correggeva a mano.
A meno che non si trattasse di un messaggio urgente per un ministro: in quel caso scriveva lui stesso il testo, a volte senza neppure ricopiarlo.
3. IL DIPINTO CONTESO SULLA BATTAGLIA DI MARENGO E UN VASO IN PORCELLANA DI SÈVRES
- IL DIPINTO CONTESO SULLA BATTAGLIA DI MARENGO
La battaglia di Marengo, combattuta contro gli austriaci il 14 giugno 1800, fu celebrata da un’infinità di quadri e statue, molti richiesti dalla propaganda ufficiale, altri frutto di iniziative private di artisti che volevano entrare nelle grazie del vincitore, nuovo padrone della Francia.
Questa grande tela fu eseguita poco tempo dopo l’avvenimento e ritrae Bonaparte che sembra mostrare al generale Berthier la marcia delle truppe francesi verso il combattimento che porterà alla vittoria finale.
L’opera è firmata da Joseph Boze, e l’artista la portò a Londra e Amsterdam. Si trattava di un dipinto di grande attualità: rappresentava 6 l’uomo potente del momento e poteva dare al suo autore un grande successo professionale e commerciale.
Ma un altro celebre ritrattista francese, Robert Lefèvre, rivendicò la paternità del quadro, insieme a Carle Vernet.
Insomma: le vittorie di Napoleone erano destinate a scatenare le dispute degli artisti, ansiosi di produrre le opere di propaganda di cui tanto abilmente si serviva Bonaparte per far conoscere le sue vittorie.
- UN VASO IN PORCELLANA DI SÈVRES
Napoleone voleva essere l’imperatore “più imperatore” di ogni tempo e tutti gli artisti dell’epoca lavorarono per la sua maestà e la sua gloria.
Architetti, pittori e scultori contribuirono all’affermazione e alla diffusione in gran parte d’Europa di uno stile fortemente celebrativo, in uno sforzo senza precedenti.
Non fece eccezione neppure la manifattura di porcellana di Sèvres, che dal 1800 si mise al servizio della propaganda di Stato.
Così, oltre ai ricchi servizi da tavola destinati ai palazzi imperiali, vennero sfornate colonne, tavole e vasi che illustravano i grandi avvenimenti del regno.
Tra essi ne vennero realizzati 8 con il busto dell’imperatore nella sontuosa tenuta dell’incoronazione, ispirato a un ritratto di Francois Gérard. Nella foto di sotto, uno di essi.
4. LE LEZIONI DI INGLESE E IL NÉCESSAIRE DENTALE
- LE LEZIONI DI INGLESE
Tre mesi dopo lo sbarco sull’isola di Sant’Elena, confinato nella residenza di Longwood e strettamente sorvegliato, l’imperatore sconfitto non aveva più notizie d’attualità che dai rari giornali inglesi, in arrivo in quel luogo inospitale con mesi di ritardo.
Decise così di prendere lezioni dal visconte Emmanuel de Las Cases, memorialista che più tardi diventerà famoso con le sue Memorie di Sant’Elena.
Determinato com’era, dopo una ventina di ripetizioni poteva già leggere da solo i giornali inglesi.
Queste tre pagine sono una testimonianze di quelle lezioni, che iniziarono il 17 gennaio 1816. E una fotografia di vita: si vedono gli scarabocchi di un allievo impaziente di imparare, ma refrattario ad assimilare la grammatica.
- IL NÉCESSAIRE DENTALE
Nella vita quotidiana, Napoleone aveva una grande attenzione all’igiene personale, e curava in modo particolare la dentatura, che aveva bella e bianchissima.
Constant, il suo primo valletto di camera, scriveva nelle sue memorie che Bonaparte “si serviva di stuzzicadenti di bosso e di una spazzola imbevuta di opiato”.
In ogni astuccio dell’imperatore, confezionato dall’orafo Biennais (che realizzò anche la sua spada consolare), erano contenuti uno o più spazzolini da denti, composti da un manico d’oro o d’argento dorato a cui era fissata una tavoletta di legno guarnita con pelo di cinghiale.
Qui sotto vediamo però un lussuoso nécessaire con strumenti destinati a cure dentali più delicate, che proviene dalle collezioni del barone Nathan de Rotschild: nel racconto famigliare, fu acquistato da un soldato che l’avrebbe rubato dagli equipaggiamenti di Bonaparte a Waterloo.
5. LA MASCHERA MORTUARIA E IL DISEGNO PREPARATORIO DELLA SUA L’INCORONAZIONE
- LA MASCHERA MORTUARIA
Le maschere mortuarie erano un antico sistema per creare il calco esatto del viso di un personaggio importante al momento della morte.
Prima dell’invenzione della fotografia, si trattava di uno dei modi più efficaci per riprodurre con oggettività le fattezze di una persona: il pennello di un pittore poteva rivelarsi meno affidabile.
Durante il regno napoleonico, la Francia sviluppò una forte tradizione di questi oggetti funebri.
Così, quando il 5 maggio 1821 l’imperatore morì, gli venne realizzata una maschera mortuaria.
A prendere l’impronta il 7 maggio fu Francis Burton, il medico della guarnigione inglese a Sant’Elena, che aveva trovato del gesso sull’isola.
Burton fu assistito da Francesco Antommarchi, anatomista, medico personale di Napoleone, e dalla moglie del maresciallo e amico Bertrand, che presero l’impronta della parte centrale del viso (occhi, naso e bocca).
La maschera originale è andata sicuramente persa, ma servì per plasmare copie successive che furono realizzate a Sant’Elena e in tutta Europa.
Ed era solo l’inizio. In tutto il mondo esistono moltissime riproduzioni del volto di Napoleone sul letto di morte: una delle ultime è stata scoperta a Napoli nel 2014.
- IL DISEGNO PREPARATORIO DELLA SUA L’INCORONAZIONE
Bonaparte fu anzitutto un grande comunicatore. E proprio per questo pretese che la sua salita al trono imperiale, avvenuta il 2 dicembre 1804, fosse ricordata con un grande dipinto.
Per realizzarlo scelse l’affermato pittore Jacques-Louis David (1748-1825), che eseguì questo disegno preparatorio, ma non vi ritrasse Maria Letizia Ramolino, l’amata madre del conquistatore, e disegnò l’imperatore che si incoronava da solo, come di fatto era avvenuto nella cattedrale di Notre-Dame.
Quando lo vide, Napoleone chiese e ottenne due importanti correzioni.
Così nell’opera definitiva sua madre è addirittura al centro del quadro, e lui è dipinto nel momento in cui incorona la moglie Joséphine di Beauharnais, con un gesto che gli conferisce un’immagine meno autoritaria e più nobile.
Anche in questo caso, la rappresentazione della realtà era plasmata dalla strategia politica.