All’improvviso un dolore lancinante alla spalla, e il sangue che esce copioso.
Una freccia, scagliata da qualcuno un centinaio di metri sotto di lui, gli era entrata nella spalla.
L’uomo strinse i denti e si allontanò cercando riparo nell’aspro terreno della Val Senales. Nonostante poco tempo prima quel montanaro avesse probabilmente vinto uno scontro corpo a corpo (come mostrano le ferite sulla sua mano destra e un trauma cranico), quella freccia alla fine gli fu fatale.
È questa la più recente ricostruzione della morte di Oetzi, l’Uomo del Similaun, la mummia conservata dal ghiaccio e ritrovata nel 1991 nella zona del Giogo di Tisa.
Questo scontro avvenuto circa 5300 anni fa sulle Alpi Venoste è il primo episodio di combattimento in montagna di cui si abbia testimonianza. Da allora gli esseri umani in ogni parte del mondo non hanno mai smesso di combattere sui monti.
Basti ricordare la campagna militare di Alessandro Magno in Battriana e Sogdiana, in Asia Centrale, che nel 328-327 a.c. gli costò più tempo, impegno e uomini di qualsiasi altra conquista.
Sui monti del Pamir i suoi soldati dovettero affrontare gelo, cime impervie e tribù agguerrite, le stesse difficoltà che per secoli, dall’antichità fino ai nostri giorni, hanno contraddistinto le battaglie in uno scenario tanto estremo.
Non può certo sorprendere quindi che questo tipo di guerra sia stata appannaggio soprattutto di popoli montanari oppure degli abitanti delle latitudini estreme, che avevano le doti fisiche e spesso anche la tecnica per muoversi a proprio agio in quel così particolare campo di combattimento.
Ecco i migliori corpi di combattimento in montagna (dalla Prima guerra mondiale a oggi)!
1. Alpini (Italia)
“Alpini, forse la più fiera, la più tenace fra le Specialità impegnate su ogni fronte di guerra. Combattono con pena e fatica fra le grandi Dolomiti, fra rocce e boschi, di giorno un mondo splendente di sole e di neve, la notte un gelo di stelle.
Nelle loro solitarie posizioni, all’avanguardia di disperate battaglie contro un nemico che sta sopra di loro, più ricco di artiglieria, le loro imprese sono frutto soltanto di coraggio e di gesti individuali. Grandi bevitori, svelti di lingua e di mano, orgogliosi di sé e del loro Corpo, vivono rozzamente e muoiono eroicamente”.
Fu con queste parole che il celebre scrittore inglese Rudyard Kipling, venuto in visita sul fronte italiano nel corso della Prima Guerra Mondiale, descrisse le Penne Nere. Gli Alpini sono stati la prima truppa di montagna strutturata al mondo.
Quando furono fondati nel 1872 l’Italia era nata da pochi anni (1861), Roma era stata appena annessa (1870), le Alpi del Trentino e del Friuli ancora non facevano parte del Paese. L’obiettivo per cui nacquero le Penne Nere era difendere il nuovo difficile confine con l’Austria-Ungheria, ma anche quello con la Francia.
L’iniziativa fu dell’ufficiale Giuseppe Domenico Perrucchetti, che promosse l’idea di affidare la difesa di valli e cime a chi le conosceva bene perché lì era nato, era pratico del terreno ed era abituato all’alta quota: una proposta per l’epoca rivoluzionaria, anche perché allora la guerra in montagna non rientrava tra le ipotesi militari.
Vennero costituite quindici compagnie (ciascuna dotata di un mulo) la cui divisa era contraddistinta da un cappello di feltro nero a bombetta, con una stella di metallo a cinque punte e una coccarda tricolore, ornato con una penna nera sul lato sinistro. Nel giro di pochi anni le compagnie divennero 36, poi sei reggimenti, e i reparti vennero integrati da artiglieria da montagna.
Nonostante la loro missione naturale fosse tutta imperniata sulle Alpi, per un capriccio della storia gli Alpini ebbero il loro battesimo del fuoco lontano dalle innevate cime della patria: la loro prima battaglia fu infatti quella sfortunata di Adua, in Etiopia, nel 1896. Nel 1902 vennero dati in dotazione ai reparti gli ski (come si diceva allora) per muoversi più velocemente sulla neve.
Dal 1905 furono poi gli Alpini a sperimentare la nuova uniforme grigioverde che divenne lo standard per i soldati italiani dal 1908: fu l’occasione in cui le Penne Nere sostituirono la bombetta con il cappello di feltro divenuto talmente famoso da essere un’icona.
Dopo aver partecipato nel 1911 alla Guerra di Libia, fu specialmente la Grande Guerra a forgiare il Corpo degli Alpini e la sua leggenda. Alla Prima Guerra Mondiale gli Alpini parteciparono con 88 battaglioni e 66 gruppi di artiglieria da montagna per un totale di 240mila uomini mobilitati.
Furono impegnati nelle battaglie più incredibili del conflitto, alle alte quote, tra ghiaccio e rocce. Per quarantuno mesi ininterrotti difesero il fronte rendendosi protagonisti di incredibili azioni, sia militari che alpinistiche, combattendo tanto contro gli uomini quanto contro le forze della natura e del clima.
Basti ricordare non solo le arrampicate e gli assalti sui ghiacciai, ma anche il trasporto in alta montagna di possenti cannoni, come per esempio il famoso “Ippopotamo” 149/23 sull’Adamello, che nonostante i suoi 6mila chilogrammi di peso fu portato fino a 3000 metri di quota.
Conclusa la guerra, nel 1934 venne costituita ad Aosta la Scuola militare centrale di alpinismo, per provvedere all’addestramento sci-alpinistico dei quadri delle truppe alpine. Le Penne Nere tornarono in battaglia in Etiopia nel 1936.
Durante la Seconda guerra mondiale furono presenti su cinque diversi fronti: le Alpi Occidentali (dal 10 al 25 giugno 1940), la Grecia (dal 28 ottobre 1940 al 23 aprile 1942), la Jugoslavia (dal luglio 1941 al settembre 1943), la Russia (dal gennaio 1942 al marzo 1943, dove persero migliaia di soldati durante i drammatici 700 chilometri di ritirata, nonostante eroici episodi come la carica di Nikolajewka, dopo la quale i russi diedero loro l’appellativo di Diavoli bianchi) e, infine, dal settembre 1943 durante la Guerra di Liberazione nella quale il battaglione Piemonte affiancò le truppe Alleate nel nucleo del nuovo Esercito italiano cobelligerante.
Dopo la conclusione della guerra la Repubblica diede vita a cinque Brigate Alpine, che durante la Guerra fredda difesero i confini orientali. Nacque la specialità degli “alpini d’arresto” con il compito di presidiare le fortificazioni sulle frontiere montane.
Nel 1963 dagli alpini della Brigata Taurinense fu preso il contingente del primo nucleo di un esercito europeo, che andò a costituire la componente italiana assegnata all’Allied Mobile Force-Land (AMF-L) della NATO, dipendente dal Comando alleato in Europa.
Oggi le Brigate Alpine sono due, Taurinense e Julia, e hanno preso parte alle missioni internazionali italiane dagli anni Novanta in avanti: dai Balcani al Mozambico, dal Kurdistan all’impegno più difficile e caratterizzante, quello sugli alti e impervi monti dell’Afghanistan, dove hanno combattuto numerosi e subito perdite.
Tuttora gli alpini sono tra le truppe italiane più impiegate nelle missioni internazionali e sono presenti contemporaneamente in Afghanistan, Iraq, Libia e Kosovo.
Tra le penne nere di oggi il più impiegato sui fronti caldi è il battaglione Alpini Paracadutisti Monte Cervino (costituito dai cosiddetti “ranger” italiani") un corpo d’élite per operazioni speciali che non ha nulla da invidiare a quelli di altre potenti nazioni come gli Usa e la Gran Bretagna.
Oggi gli alpini sono una forza moderna e splendidamente addestrata. Per questo hanno dovuto rinunciare a uno dei loro simboli: nel 1993 i caratteristici muli sono stati mandati in pensione. Dal gennaio 2005 è stata sospesa la Leva obbligatoria.
Questo ha determinato la fine del reclutamento regionale e di conseguenza da quell’anno gli alpini vengono reclutati su tutto il territorio nazionale e non più solo tra i monti, come è stato per un secolo e mezzo.
2. Kaiserjäger e Kaiserschützen (Austria-Ungheria)
Gli austriaci sono stati da sempre combattenti di montagna.
Nel 1815 Francesco I istituì in Tirolo un reggimento di Jäger (cacciatori), chiamato Kaiserjäger Regiment.
Furono loro durante le guerre risorgimentali a contrastare in montagna gli italiani, compresi i Cacciatori delle Alpi di Giuseppe Garibaldi. Inizialmente però erano una fanteria leggera d’élite e non un reparto specializzato nel combattimento ad alta quota.
Durante la Grande guerra però i Kaiserjäger costituirono nei loro reggimenti compagnie di corpi speciali, le Streifkompanien, capaci di reggere il confronto con gli Alpini su neve, ghiaccio e roccia, e fu sulle cime delle Alpi che costruirono la loro leggenda.
Tradizione plurisecolare è anche quella degli Standschützen, "tiratori al bersaglio" tirolesi, volontari appartenenti alle numerose società di tiro, che solo con la regolamentazione del 1913 furono formalmente militarizzati.
Nelle prime settimane della guerra con l’Italia nel 1915 il fronte tirolese fu tenuto principalmente per merito di 38 mila Standschützen, tutti giovanissimi o anziani, mentre le truppe regolari erano state inviate su altri fronti.
Simili ma soggetti alla leva erano i Landesschützen ("difensori del paese" o "tiratori territoriali"), fucilieri tirolesi e trentini ma reclutati anche tra cechi, sloveni, stiriani e austriaci, nati nel 1863 per costituire la milizia territoriale e divenuti truppe regolari nel 1871.
Nell’Ottocento questi reparti non erano specificamente destinati al combattimento montano (se non per il fatto di risiedere in territori alpini che erano chiamati a difendere), tanto che furono mandati a combattere su qualsiasi fronte si ritenesse necessario.
Nella foto sotto, Kaiserjäger combattono contro i soldati piemontesi durante la battaglia di Novara, nel 1849.
Nel 1906 invece i Landesschützen furono destinati a costituire specificamente truppe di alta montagna (divenendo così formalmente le prime truppe alpine dell’area germanica), e dal 1915 furono protagonisti sul fronte italiano in una mortale sfida con gli Alpini.
Il loro duro addestramento prevedeva marce forzate, pattuglie, esercitazioni a fuoco alle altitudini più elevate, tecnica alpinistica, campi estivi e invernali. Ebbero ampia disponibilità di materiale adeguato a quell’ambiente: ramponi, chiodi e martello da roccia, piccozze, sci, corde speciali, occhiali da neve, moschettoni.
Per i loro meriti speciali nel 1917 ricevettero dall’Imperatore Carlo il titolo onorifico di Kaiserschützen (fucilieri imperiali). La stella alpina (edelweiss) e l’elegante berretto tirolese con la penna di gallo forcello furono elementi caratteristici di queste truppe alpine austroungariche.
Le truppe da montagna imperiali non combatterono solo contro gli italiani, ma furono impiegate anche contro i nemici balcanici e contro i russi nei Carpazi.
La tradizione dei soldati d’alta quota austriaca continuò anche nella Seconda guerra mondiale, ma a causa dell’annessione dell’Austria alla Germania essi erano ormai inquadrati nell’esercito tedesco. Oggi nell’esercito austriaco sono attivi cinque battaglioni di Gebirgsjäger inquadrati nella 6. Jägerbrigade.
Seppure con contingenti limitati, gli “alpini” austriaci moderni – dopo l’eliminazione delle restrizioni che erano state imposte all’Esercito austriaco alla fine della Seconda guerra mondiale - hanno partecipato a numerose operazioni militari internazionali, dalla ex-Jugoslavia al Libano fino alle montagne dell’Afghanistan.
Nella foto sotto, la messa da campo dei Kaiserjäger vicino a Castellano, in provincia di Trento, nel 1915.
3. Chasseurs Alpins (Francia)
“Bisogna contrastare quella milizia italiana di recente costituzione che scorrazza lungo il confine”, denunciò nel 1873 un deputato francese riferendosi ai neonati Alpini.
Fu così che negli anni seguenti anche la Francia si dedicò a istituire un corpo specializzato per la guerra in montagna, gli Chasseurs Alpins.
Essi in realtà avevano un precedente, cioè la milizia creata da Napoleone nel 1808 sui Pirenei e anche in qualche modo le truppe napoleoniche usate per contrastare la rivolta tirolese nello stesso periodo ma si trattava di episodi effimeri.
Con l’istituzione nel 1888 di 12 battaglioni degli Chasseurs Alpins invece la Francia ebbe stabilmente le sue truppe specializzate, che sarebbero state schierate nelle due guerre mondiali.
Inizialmente la dottrina di impiego prevedeva la distinzione dei reparti secondo due tipologie: le guarnigioni destinate a difendere in modo stabile i siti montani, anche d’inverno, e i battaglioni mobili utilizzabili per operazioni di attacco.
Con le loro divise blu e i caratteristici baschi molto larghi (“tarte des Alpes”), durante la Grande Guerra gli Chasseurs furono dapprima impiegati sul confine tedesco nelle battaglie di Alsazia e dei Vosgi, dove pur impiegati limitatamente ebbero modo di mostrare il loro valore a sufficienza per essere soprannominati i "Diavoli Blu" finendo per essere di stimolo alla creazione dei corpi di montagna germanici.
Dopo aver combattuto anche sulla Somme, nel novembre 1917 alcuni battaglioni tornarono sulle Alpi, ma su quelle orientali per combattere a fianco degli italiani e degli alpini contro le truppe austro-ungariche che erano all’offensiva.
Furono schierati nella Val Camonica e presso il Monte Grappa, dove con un ardito attacco occuparono la dorsale Tomba- Monfenera. Nella foto sotto, Chasseurs Alpins nel 1923 nel periodo di occupazione da parte della Francia e del Belgio della valle tedesca della Ruhr.
Anche durante la Seconda guerra mondiale gli Chasseurs Alpins giocarono un ruolo importante. Furono infatti fra le primissime truppe a entrare in azione, in quanto fecero parte del contingente francese che nell’aprile 1940 fu inviato a difendere invano la Norvegia dai nazisti e furono coinvolti nella battaglia di Narvik, uno dei primissimi scontri a fuoco della guerra fra anglo-francesi e tedeschi.
Ancor più rilevante fu, qualche mese dopo, il ruolo dell’Armata delle Alpi nel breve conflitto scatenato dagli italiani quando ormai la situazione francese con la Germania era già compromessa. Gli Chasseurs e le altre truppe riuscirono a fermare l’attacco italiano e a minimizzare l’avanzata delle nostre truppe nel loro territorio.
Cinque anni dopo, alla fine della guerra, tentarono di vendicarsi quando il generale Charles De Gaulle ordinò un’offensiva contro gli italiani sulle Alpi per cercare di annettersi la Val d’Aosta e alcune parti del Piemonte: ci fu un duro confronto tra Chasseurs e Alpini (e in quel caso tra gli italiani combatterono fianco a fianco partigiani e repubblichini) ma alla fine fu l’intervento diplomatico degli Stati Uniti a risolvere la situazione fermando i combattimenti.
I tre battaglioni di Chasseurs alpins attualmente esistenti sono inquadrati nella 27ma Brigata di fanteria di montagna, la quale dal 1983 fa parte delle Forze di Reazione Rapida della NATO e continua a presidiare le Alpi (ma questa volta in stretta collaborazione con gli Alpini italiani), e inoltre è stata utilizzata per le missioni nei territori montuosi dell’Afghanistan, dove nel marzo del 2009 i cacciatori si sono distinti nella battaglia di Alasay contro i talebani.
In quell’occasione (nome in codice Operation Dinner Out) 400 Chasseurs affiancarono l’esercito afghano per riconquistare la valle di Alasay, in mano ai ribelli da tre anni, permettendo di impiantarvi due basi delle forze nazionali regolari. I cacciatori furono portati dagli elicotteri ad occupare le alture che dominavano l’area, mentre gli afghani e altri francesi avanzavano nella valle.
La resistenza dei talebani fu intensa. Alla fine dei combattimenti il prezzo della vittoria fu di un soldato caduto e uno ferito.
4. Alpenkorps e Gebirgsdivisionen (Germania)
Allo scoppio della Prima Guerra mondiale, nel 1914, la Germania non disponeva di truppe di montagna, anche se già nel 1892 i battaglioni 8 e 10 degli Jäger (cacciatori) avevano introdotto l’uso degli sci.
L’esperienza della Battaglia delle Frontiere sui Vosgi contro i “Diavoli blu” (gli Chasseurs Alpins francesi) portò alla creazione a fine anno dei "Bayerische Schneeschuh Bataillon 1", "Würtembergischen Schneeschuh Kompanie 1", "Preussische Schneeschuh Bataillon 2 et 3" (una particolarità è che la parola “schneeschuh” indica le “racchette da neve” mentre non c’è riferimento agli sci benché i volontari arruolati dovessero essere tutti sciatori).
Da essi – con prevalenza di truppe bavaresi – nel 1915 prese vita l’Alpenkorps, che diede ottima prova di sé sulle montagne della Romania e sulle Alpi, contro gli italiani.
Il Corpo Alpino Tedesco (Deutsches Alpenkorps, D.A.K.) al comando del tenente generale Konrad Krafft von Dellmensingen, ben addestrato e agguerrito, e costituito da 2 Brigate Jäger (cacciatori), fu inviato sul fronte italiano già nel maggio 1915, benché l’Italia abbia dichiarato guerra alla Germania solo nell’agosto 1916.
Fu in quell’occasione che i soldati di montagna tedeschi ricevettero dagli austriaci l’insegna della Stella Alpina che non hanno più abbandonato. Nel 1917 i tedeschi furono i protagonisti assoluti della battaglia di Caporetto.
Nell’occasione l’Alpenkorps, che faceva parte del gruppo Stein, vantava tre reggimenti Jäger, un battaglione fucilieri, due battaglioni zappatori, un battaglione mitraglieri (armato di 24 mitraglie pesanti) e il celebre battaglione da montagna del Württemberg formato da ben sei compagnie alpenjäger e tre reparti mitraglieri (tra gli “alpini” württemburghesi militava anche il tenente Erwin Rommel, che passerà alla storia come la Volpe del deserto, per i suoi successi militari in Nordafrica durante la Seconda guerra mondiale).
L’Alpenkorps aveva 218 cannoni (53 batterie, tra le quali molte da montagna) e 68 lanciagranate. Era sicuramente l’unità migliore del contingente e una delle unità di élite dell’esercito tedesco. Le sue truppe sfondarono il fronte a Tolmino mettendo in rotta l’esercito italiano. Dopo la sconfitta della Germania e la fine del conflitto, l’Alpenkorps fu abolito in seguito al trattato di Versailles.
Negli anni successivi, sotto il nazismo, i tedeschi crearono le Gebirgsdivisionen (Divisioni da montagna), molto simili all’Alpenkorps. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, nel 1939, erano ormai operative tre divisioni da montagna nell’esercito tedesco che ne costituì diverse altre negli anni successivi (anche le Waffen-SS crearono le proprie divisioni da montagna). Nella foto sotto, Gebirgsjäger (“Cacciatori di montagna”) nel dicembre del 1942 in Russia, nel Caucaso.
I Gebirgsjäger (“cacciatori di montagna”, uno dei modi usati per chiamare gli “alpini” tedeschi) vennero considerati insieme ai Fallschirmjäger (i paracadutisti) le migliori unità d’élite della Wehrmacht.
Essi presero parte da protagonisti alle battaglie in Norvegia e a Creta – in entrambi i casi furono determinanti – nonché in Russia (specie nel Caucaso), nei Balcani e sul fronte italiano dove difesero la Linea Gustav (partecipando alle battaglie di Cassino), la Linea Gotica e poi le Alpi occidentali, per fronteggiare l’avanzata degli alleati sbarcati in Provenza.
Sulle Alpi, nel febbraio 1945, una Sturmkompanie (compagnia d’assalto divisionale) della 5 Gebirgsdivision tentò con un’azione di sorpresa di impossessarsi del Colle del Gigante (3.400 m.), sul Monte Bianco.
L’azione fallì per la pronta reazione degli Chasseurs Alpins del Bataillon du Mont Blanc: è considerato lo scontro sostenuto alla quota più alta nel corso della Seconda guerra mondiale.
Oltre che di memorabili imprese militari si macchiarono anche di episodi vergognosi, il più terribile dei quali fu certamente l’eccidio dei soldati italiani catturati a Cefalonia, opera della Prima Divisione di Montagna tedesca.
Dopo la guerra, nel 1956, l’esercito tedesco ricostituì una divisione da montagna che oggi è la Gebirgsjägerbrigade 23 Bayern Gebirgsjäger, dislocata nella Baviera meridionale, l’aerea della Germania con le montagne più alte, che dispone di un plotone speciale per il combattimento e la ricognizione ad alta quota (Hochgebirgsjägerzug).
I soldati della Brigata continuano a indossare il berretto grigio (Bergmütze), con il simbolo della stella alpina. A Mittenwald ha sede il Gebirgs und Winterkampfschule (Centro internazionale di addestramento per la guerra in area montana e invernale), mentre la Banda musicale delle truppe da montagna (Gebirgsmusikkorps) è tra le bande militari più amate in Germania.
Nella foto sotto, il loro tradizionale stemma è una stella alpina.
5. Decima Divisione da Montagna (Usa)
L’operazione Encore all’inizio del 1945 è stata la prima grande azione in cui è stata coinvolta la Decima Divisione da Montagna Americana, ovvero l’assalto alla seconda linea di resistenza tedesca della Linea Gotica.
Fino al 1941 gli Stati Uniti non disponevano di truppe specializzate nella guerra in montagna e in zone con clima molto rigido, ma l’esperienza della Guerra d’Inverno in cui i finlandesi impartirono una dura lezione alle più numerose truppe sovietiche muovendosi agevolmente in un ambiente estremo come la taiga innevata, convinse Washington ad attrezzarsi.
Dal 1942 con l’aiuto della National Ski Patrol (Pattuglia nazionale sciistica) si iniziò a reclutare e inquadrare soldati con abilità speciali come il saper sciare e scalare i monti (non a caso il motto della Divisione è “Climb to Glory”, “Arrampicarsi fino alla gloria”).
Abilità che furono poi migliorate con le tecniche militari grazie a mesi di addestramento sulle Montagne Rocciose, che toccano i 4.392 metri di altezza con il Monte Rainier. I soldati si allenarono a combattere in quota, sui terreni accidentati, arrivando a dormire direttamente nella neve, senza tende.
Venne così costituito prima un battaglione, trasformato nell’87° Reggimento, poi a partire da esso venne strutturata la 10th Mountain Division che raggiunse le zone di impiego nel 1944. Il suo principale terreno d’azione fu l’Italia, dove arrivò all’inizio del 1945. Fu impegnata in azioni fra Lucca e Bologna, e poi fino a Verona.
Ad essa fu aggregato anche un battaglione italiano di muli (il 5° "Montecassino" che poté fregiarsi dello stemma della V Armata USA).
Con l’Operazione Encore e la battaglia di Monte Belvedere-Monte della Torraccia, nel febbraio 1945, la Divisione diede un contributo importante allo sfondamento del fronte degli Appennini, strappando ai tedeschi i passi che permisero di penetrare nella Pianura Padana.
Ma pagò un prezzo elevato: fu infatti il contingente che in proporzione, nei suoi soli 114 giorni di battaglie, perse più soldati. Dopo la smobilitazione alla fine della guerra, la Divisione fu ricostituita nel 1948 e di nuovo trasformata in unità combattente nel 1954, per essere però smantellata nel 1958.
La sua storia non era comunque destinata a concludersi. Riattivata nel 1985, negli anni Novanta è stata impiegata in numerose operazioni all’estero, da Haiti ai Balcani, e in combattimenti dall’Iraq alla Somalia (è stata la divisione più schierata dagli Stati Uniti nelle missioni internazionali). Nella foto sotto, soldati della Decima Divisione da Montagna insieme al presidente George H. W. Bush nel gennaio 1993.
Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001, la Decima Divisione è stata inviata in Afghanistan, un teatro operativo a lei congeniale. Oltre a fare da guarnigione alle basi più importanti nelle zone più impervie è stata protagonista di numerosi combattimenti e della caccia ai talebani e ad al-Qaeda.
Nel novembre del 2001 uomini della 10ma divisione hanno dato supporto agli alleati afghani per strappare ai talebani l’importante città nordoccidentale di Mazar-i-Sharif, e nello stesso mese sono intervenuti per sedare la violenta rivolta dei prigionieri di guerra nel carcere di Qala-i-Jangi, durata sette giorni e che ha finito per essere uno degli eventi più sanguinosi della campagna.
Durante l’Operazione Anaconda, nel marzo 2002, la Divisione ha distrutto un’importante base operativa nemica nella valle di Shai-i-Khat, uccidendo centinaia di insorti e sequestrando un ingente quantitativo di armi e munizioni.
Di nuovo impiegati nel 2003, i soldati americani di montagna, con l’Operazione Mountain Viper, hanno dato la caccia ai rifugi dei talebani nella provincia di Zabul, mentre in novembre sono stati aerotrasportati nell’Hindu Kush per l’Operazione Mountain Resolve con cui hanno catturato un leader degli insorti, Ghulam Sakhee, e hanno smantellato alcuni depositi d’armi.
Ancora oggi la 10th Mountain Division - composta da quattro Brigate da combattimento, un battaglione di truppe speciali e una brigata aerea – è l’unica dell’esercito statunitense a essere specializzata nelle operazioni in ambiente estremo e ad alta quota.