Bella da far perdere i sensi e da rapire dalla realtà.
Per quanto incredibile possa sembrare, un’opera d’arte può avere questo potere.
Il fenomeno, osservato in tutto il mondo, non ha un nome univoco; è stato battezzato sindrome di Stendhal perché vissuto in prima persona dal noto scrittore francese, ma viene chiamato anche “sindrome di Firenze” o “sindrome di Gerusalemme”, le città d’arte in cui tende a verificarsi più spesso.
Descritta per la prima volta negli anni Settanta del secolo scorso dalla psichiatra fiorentina Graziella Magherini, questa sindrome non è ancora stata sufficientemente studiata.
La sindrome di Stendhal è un’affezione psicosomatica che provoca tachicardia, vertigini, svenimento: sono i sintomi di un malessere che può sorprenderci davanti a un’opera d’arte, in chiesa o ascoltando della musica. Prende nome dal noto scrittore francese dell’Ottocento che ne fu vittima a Firenze.
1. Esperienza di estasi incredibile
Ci sono casi in cui un dipinto o una scultura possono provocare un turbamento tale da sconvolgere?
È possibile che la mente umana sia sopraffatta dalla troppa bellezza dell’arte? Così annientata da smarrire i propri contorni fino quasi a impazzire?
Ebbene sì, esiste una patologia in grado di generare tutto questo in chi ne è affetto. Provoca panico, vertigini e confusione in chi non riesce a contenere la meraviglia di fronte a opere di rara intensità.
La chiamano sindrome di Stendhal e deve il suo nome allo scrittore francese che per primo l'ha descritta in un suo libro.
La malattia è conosciuta anche con un altro nome: la sindrome di Firenze, proprio perché in questa città, che indubbiamente ha un’alta concentrazione di capolavori, lo scrittore ne prova per la prima volta i sintomi.
Henri Beyle nel 1817 pubblica i diari dei suoi viaggi a Roma, Napoli e Firenze con lo pseudonimo che lo consegnerà alla storia: Stendhal.
A Firenze, in particolare, accade qualcosa di strano in lui, mentre visita la Basilica di Santa Croce. Attende e sogna questo momento da tempo.
Se l’è immaginato molte volte, ma la realtà è più potente della fantasia. Vede le tombe di Alfieri, Machiavelli, Michelangelo e Galileo. Poi un frate lo accompagna alla cappella Niccolini affrescata dal Volterrano e lì lo lascia da solo.
Sono le Sibille di Volterrano dipinte sulla volta che danno a Stendhal quello che lui definirà essere il piacere più vivo che mai gli abbia procurato la pittura.
Le contempla a lungo e arriva al punto di sentirsene quasi parte, finché è costretto a lasciare la cappella e la basilica per uscire nella piazza, sopraffatto da un’emozione che non è più in grado di gestire.
La storia e l’eternità accumulate fra le mura di Santa Croce, in contrasto con la morte che contemporaneamente impernia la basilica e i suoi illustri sepolcri, gli fanno smarrire il controllo di sé. Nell'immagine sotto, Stendhal.
2. Scompensi psichici acuti
Lo stato alterato di coscienza che Stendhal prova durante la sua visita a Firenze è oggi oggetto di studio.
La dottoressa fiorentina Graziella Magherini è stata la prima a dare una formulazione scientifica di questo particolare disturbo che colpisce alcuni viaggiatori al cospetto di un’opera d’arte, sintomatologia da lei definita, appunto, sindrome di Stendhal.
“Di fronte all’arte rinascimentale, in un primo momento, succede che siamo avvinti dalla bellezza esterna”, spiega la psichiatra.
“Il contatto con l’opera, dal punto di vista dell’incanto della bellezza – continua –, richiama la prima esperienza estetica che tutti noi abbiamo avuto quando siamo nati: la bellezza del mondo.
Appena si nasce il primo mondo di un bambino è la madre, il suo volto, i suoi capelli, i suoi occhi. Nel momento in cui siamo avvinti dalla bellezza ecco che la grande opera ha il potere di andare a toccare le nostre parti rimosse”.
La dottoressa Magherini, per molti anni psichiatra responsabile del Servizio per la salute mentale dell’arcispedale di Santa Maria Nuova di Firenze, fra il luglio del 1977 e il dicembre del 1986 ha modo di osservare 106 soggetti colpiti da scompensi psichici acuti, provocati dalla contemplazione di alcune opere d’arte.
Nella maggior parte dei casi, i pazienti, tutti stranieri, giungono al pronto soccorso in situazioni di improvviso disagio psichico, un disturbo tale che a volte si è ritenuto necessario chiederne il ricovero.
“Mi viene in mente, ad esempio, un giovane musicista americano, che chiamerò Henri, di fronte al narciso di Caravaggio”, racconta la dottoressa Magherini.
“Si trova con un amico fiorentino a visitare una mostra – continua – e comincia a essere un po’ impressionato dal tipo di luci presenti in sala. Poi inizia a fermarsi davanti ai quadri di un Caravaggio giovanile: il Suonatore di liuto, il Bacco adolescente, il Ragazzo morso da un ramarro.
Tutti questi soggetti dei dipinti hanno in comune un volto molto ambiguo, non si sa se sia quello di un ragazzo o di una ragazza. Henri comincia così ad avere un senso di alterazione, quasi come se vedesse se stesso in questi quadri.
Ma quello che poi lo impressiona moltissimo è Narciso con quel ginocchio che si protende verso l’esterno ‘minacciosissimo come un bastone nodoso’, diceva. Si sente aggredito e deve uscire”.
Secondo la psichiatra fiorentina quel bastone nodoso aveva toccato parti profonde del giovane americano e “aveva fatto tornare a galla ciò che doveva rimanere rimosso per sempre”.
Invece, c’è stato il ritorno del rimosso, avrebbe detto Freud: “In questo caso era una storia personale molto difficile di un figlio unico, di una madre separata e mai risposata che era stata molestata da un suo professore di musica”.
Nella foto sotto, la chiesa di Santa Croce a Firenze.
3. Tra esaltazione e angoscia
La sindrome di Stendhal può colpire due aspetti dell’individuo: quello prettamente mentale e quello psicofisico.
In alcuni casi provoca uno stato d’ansia e di panico. In altri, insorgono angosce depressive, senso di colpa e di inutilità. O viceversa: euforia, esaltazione, pensiero onnipotente, scarsa critica di sé.
Quando lo scompenso è psicosomatico, invece, è il linguaggio del corpo a comunicare il disagio della mente. Così si manifestano sudorazione, tachicardia, senso di svenimento, oppure dolori e contrazioni allo stomaco, angoscia, confusione, sensazione di non sentirsi, crisi d’identità.
La magnificenza che i grandi artisti hanno saputo creare e ci hanno regalato può, quindi, raggiungere una tale potenza da sconvolgere alcune menti. Ed è proprio questo che rende tale bellezza piena.
D’altronde, come scrive Fedor Dostoevskij, nel romanzo I fratelli Karamazov, “la bellezza: che tremenda e orribile cosa. Là gli opposti si toccano, vivono insieme tutte le contraddizioni”.
La sindrome di Stendhal è un’affezione psicosomatica che provoca tachicardia, capogiri, vertigini confusione e allucinazioni in soggetti messi al cospetttto di opere d’arte di straordinaria bellezza. Specialmente se, come spesso accade, l’opera d’arte viene fruita in spazi limitati.
Lo studio della dottoressa Graziella Magherini, che nell’arco di quasi 10 anni ha avuto modo di osservare 106 soggetti presso l’arcispedale di Santa Maria Nuova di Firenze, ha evidenziato importanti caratteristiche comuni alle persone affette dal disturbo.
Più della metà dei soggetti colpiti sono individui di formazione classica o religiosa, al di sotto dei quarant’anni e che spesso viaggiano da soli. Perlopiù provengono dall’Europa occidentale e settentrionale, ma la sindrome è molto diffusa anche fra i giapponesi. Gli italiani, forse per affinità culturali, sembrano esserne, invece, immuni.
All’inizio le si era data una connotazione positiva, considerandola come un’esperienza bellissima che il cuore prova aprendosi alle emozioni fortissime trasmesse dall’opera d’arte. In realtà la sindrome di Stendhal non è soltanto questo, ma può nascondere un disagio o una sofferenza.
Poniamo che il soggetto stia osservando un dipinto. Il disturbo inizia a manifestarsi con i sintomi fisici sopra descritti, ma soprattutto con un disorientamento spazio-temporale, come se la persona si estraniasse dalla realtà che le sta attorno.
Fin qui siamo nell’ambito dei sintomi nevrotici. Alcuni, tuttavia, manifestano sintomi psicotici vicini allo staccarsi completamente dalla realtà, con allucinazioni o psicosi che li portano a vedere qualcosa che non c’è.
Il tutto si gioca a livello di sensazioni fisiche; il soggetto si sente in un altro luogo, sospeso nel tempo, può percepire una voce o un richiamo che lo trasporta dentro l’opera e che lo fa sentire come se non avesse più i confini del corpo e facesse parte di un grande universo.
La persona insomma si compenetra nel quadro al punto da provare le potenti sensazioni che esso richiama, sentendosi trasportata nella sua ambientazione e uscendo totalmente dalla realtà.
C’è anche la sindrome “buona” e non fa star male. La sindrome di Stendhal può essere vissuta anche come uno stato d’estasi in cui si colgono l’essenza dell’opera d’arte e l’espressione dell’artista ricevendone solo emozioni positive.
Il meccanismo d’attivazione è lo stesso, ma l’opera richiama vissuti positivi. Il soggetto potrà sentire il battito del cuore accelerato, magari un senso di distacco dalla confusione che lo circonda, ma anziché in disturbi fisici sfocia in un’esperienza quasi mistica ed estatica.
La sensazione che ne deriva è bellissima, anche se può nascondere un disagio. Dal punto di vista psicanalitico, anche una sensazione piacevole collegata a un distacco da ciò che ci circonda può essere sintomo di una psicopatologia, poiché implica una disconnessione dal mondo reale.
4. Due teorie spiegano le cause
Sulle cause del disturbo esistono due teorie: 1) la teoria psicanalitica e 2) quella più moderna dei neuroni a specchio.
- Secondo l’interpretazione psicanalitica, in un quadro il pittore comunica conflitti infantili profondi e fantasie edipiche represse sotto forma di espressione artistica.
Al momento dell’incontro con l’opera d’arte, l’osservatore rivive le sensazioni e le emozioni del suo vissuto simili o in sintonia con quelle che l’artista voleva esprimere ed è proprio questa attivazione emotiva delle esperienze passate a scatenare la sintomatologia somatica.
Di solito si tratta di esperienze affettive d’infanzia che la persona non riesce a rievocare con i ricordi, ma che sono scritte nella coscienza a livello più profondo: il primo sguardo al volto della mamma, la nascita di un fratello ecc.
In età adulta, invece, le esperienze sono generalmente legate a ricordi raggiungibili con la memoria. L’attivazione può avvenire per il soggetto raffigurato nel quadro, per lo stile (per esempio, per il senso di trasporto dato dai colpi di pennello), piuttosto che per la scelta e l’accostamento dei colori.
- L’ipotesi neurobiologica si basa invece sul meccanismo della simulazione incarnata a opera dei neuroni a specchio, una classe di neuroni che si attivano selettivamente quando si osserva un’azione compiuta da altri.
I neuroni dell’osservatore “rispecchiano” quindi ciò che avviene nella mente del soggetto osservato, come se fosse l’osservatore stesso a compiere l’azione.
Per esempio, quando al cinema vediamo un personaggio che tira una coltellata a un altro, ci viene da toccarci nel punto in cui l’attore ha ricevuto la coltellata, come se l’avessimo ricevuta noi.
I neuroni a specchio sono alla base del meccanismo dell’empatia e della sintonizzazione emotiva con l’altro e ci consentono di comprendere il comportamento altrui utilizzando i nostri stessi processi mentali.
Nel caso di un quadro, nella testa dell’osservatore essi attivano gli stessi processi mentali dell’autore dell’opera oppure dei personaggi che vi sono raffigurati, come se l’osservatore si sintonizzasse con quanto sta accadendo nell’opera o con il processo che l’autore ha messo in atto per realizzarla.
I neuroni a specchio sono neuroni a carattere motorio (non emotivo, visivo o sonoro), cioè si attivano specificatamente per le azioni motorie altrui.
Ciò spiega perché a scatenare la sindrome di Stendhal non siano le nature morte statiche, ma i dipinti che per soggetto, incisività delle pennellate e forza dei contrasti cromatici richiamano un senso di movimento in grado di riaccendere nell’osservatore questi neuroni, facendo sì che egli diventi parte attiva dell’opera.
Come si vede, seppur da due diverse prospettive, psicanalisi e neuroscienze sono giunte alla medesima conclusione. A livello scientifico, gli studi sulla sindrome di Stendhal sono preziosi poiché le moderne neuroscienze stanno confermando le spiegazioni simboliche della psicanalisi sotto l’aspetto fisiologico.
5. Tre categorie predisposte
La sindrome di Stendhal non è riconosciuta come disturbo dalla psichiatria classica, ma viene considerata come un insieme di sintomi.
Tuttavia, si è osservato che si sviluppa in particolare davanti alle opere pittoriche, soprattutto se raffiguranti spazi aperti e non delimitati.
Difficilmente una natura morta scatenerà la sindrome, mentre, con le loro pennellate cariche e mosse, potrebbero provocarla più facilmente i campi di grano di Van Gogh.
Per contro, la crisi colpisce soprattutto nei luoghi chiusi (musei, gallerie d’arte), mentre è raro che si manifesti osservando una statua al centro di una piazza.
Posto che non esistono statistiche ufficiali, già Graziella Magherini aveva individuato tre categorie predisposte al disturbo: chi viaggia da solo, gli stranieri e le persone con un alto livello di istruzione.
Tendenzialmente, chi si trova da solo davanti a un’opera d’arte ha una disposizione d’animo diversa rispetto a chi visita un museo in coppia o in comitiva; è più introspettivo, concentrato su di sé e su quello che sente, si compenetra di più nell’opera e coglie meglio ciò che essa trasmette.
Quanto agli stranieri, peraltro meno abituati alle bellezze artistiche rispetto agli italiani semplicemente viaggiano più spesso da soli rispetto ai nostri connazionali.
Inoltre, la sindrome di Stendhal colpisce più di frequente chi ha un alto livello di cultura generale (ma non specifico nel campo artistico).
Gli artisti italiani che suscitano più spesso la sindrome di Stendhal sembrano essere Michelangelo Buonarroti e Caravaggio; il primo con gli affreschi della volta della Cappella Sistina, in Vaticano; il secondo con La conversione di San Paolo e La Crocifissione di San Pietro (nell'immagine), entrambe a Roma.