Le prime scene di Zabriskie Point, il film girato in America da Michelangelo Antonioni nel 1969, fissano Kathleen Neal Cleaver nel pieno della sua sfolgorante bellezza.
Ventiquattro anni, orgogliosa capigliatura afro, camicetta etnica e occhi azzurri, è colta mentre presiede una riunione di studenti universitari di estrema sinistra a Los Angeles.
Li arringa con passione e poi, con la voce roca di Monica Vitti – nel film in veste di doppiatrice d’eccezione – li avverte: “Questo Paese sta cadendo nel fascismo”.
Non aveva tutti i torti. Ancora negli anni Sessanta, gli Stati Uniti erano afflitti dalla discriminazione razziale e i neri, pur sostenuti nelle loro battaglie da leader come Martin Luther King e da Malcolm X, non godevano ancora dei diritti politici.
Bellissima, orgogliosa e determinata, Kathleen Neal Cleaver lottò, a cavallo tra gli Anni Sessanta e Settanta, per il riconoscimento dei diritti dei neri in un’America che considerava normale la segregazione razziale. Diventando un’icona.
Scopriamo chi è veramente Kathleen Neal Cleaver.
1. L'incontro con Eldridge Cleaver
Nata in Texas nel 1945, Kathleen Neal si era trasferita ben presto con la famiglia in un quartiere periferico di Tuskegee, in Alabama.
Il padre era un insegnante che aveva prestato servizio nel Foreign Service – una parte del Corpo Diplomatico – in India e nelle Filippine. La madre era invece una casalinga con una laurea in matematica.
Quella di Tuskegee era una piccola comunità, composta esclusivamente da gente di colore, quasi ferma a un'altra epoca. Entrambi i genitori però facevano politica, il padre socialista, la madre militante nel Southern Negro Youth Congress, un movimento giovanile per l'emancipazione dei “negri” fondato negli anni Trenta.
Kathleen per un po' aveva studiato in un college quacchero de-segregazionato, dove potevano accedere anche studenti neri e aveva partecipato ai sit-in e alle marce di protesta che in quegli anni stavano diventando di moda, ma non aveva resistito a lungo alla monotona vita di provincia.
Attratta dalla grande città, e dal richiamo della grande politica, aveva quindi lasciato gli studi e si era trasferita a New York. A ventuno anni aveva conosciuto a Nashville, Eldridge Cleaver, di dieci anni più grande di lei.
Nato in Arkansas ma cresciuto in California, Eldridge aveva fatto tutta la tipica trafila dei delinquenti di colore di quel tempo: piccoli furtarelli che lo avevano portato in riformatorio, poi di nuovo nel ghetto, dove era diventato spacciatore e rapinatore, per poi finire rinchiuso in carceri famose per la loro durezza, come San Quintino e Folsom.
Ma come per Malcolm X, anche per Eldridge la galera era stata la sua salvezza: si era imbattuto in una copia del Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels, e si era “politicizzato”, come si diceva nel gergo dell'epoca, sostituendo cioè il vizio del crimine con la passione per la politica.
Così nel 1966 aveva pagato una cauzione di 50mila dollari – una grossa cifra al tempo, degna di un criminale di un certo livello – e, uscito dal carcere di Folsom, si era messo a collaborare con Ramparts, la rivista più diffusa della New Left, la sinistra radicale americana.
A trasformare definitivamente l'ex spacciatore in giornalista era stato il grande successo del libro di memorie che aveva scritto in carcere, Soul on Ice.
“Un'anima sotto ghiaccio”, questa potrebbe essere la traduzione del titolo, era un libro che raccontava dall'interno la vita di un piccolo delinquente “negro”, dalle periferie urbane degradate ai duri carceri della California. Ma la ragione del successo era stata la franchezza con cui Eldridge aveva confessato le sue malefatte.
Non solo narrava senza battere ciglio di aver commesso una serie infinita di rapine, ma si vantava di essere stato anche uno stupratore seriale: “Per perfezionare la mia tecnica e il mio modus operandi, ho iniziato a praticare con le ragazze nere nel ghetto (...) e dopo aver preso la mano, ho superato la linea e mi sono messo a cercare prede bianche. Lo stupro era un atto insurrezionale”.
Kathleen non si era fatta impressionare da queste dichiarazioni e nel 1967 lo aveva sposato. La loro vita in quel periodo, tra riunioni e manifestazioni, doveva essere molto intensa, dato che lei aveva finito persino con il dimenticarsi il giorno esatto del matrimonio.
Avrebbe ricordato che era stato il 27 dicembre soltanto anni dopo, quando poté accedere ai documenti dell'FBI che la riguardavano, in cui era annotata ogni singola mossa sua e del marito.
Di certo si può dire che se Malcolm X fosse stato ancora vivo – invece era stato assassinato a New York il 21 febbraio 1965 – probabilmente i due sarebbero diventati suoi discepoli: Eldridge, in particolare, era attratto dai leader carismatici, pronti a sostituire le parole con l'azione anche violenta, se necessaria, e il suo comportamento fino a quel momento lo aveva senza alcun dubbio dimostrato.
2. “Nero è bello”
Nella cittadina californiana di Oakland, intanto, Bobby Seale e Huey Newton (a sinistra), due ex attivisti dell'Afro-American Association (AAA), avevano aperto la sede di un nuovo gruppo politico, le Pantere Nere.
Rispetto agli altri gruppi radicali, Seale e Newton erano disposti a usare le armi e la violenza, se necessario, e non ne facevano mistero. Eldridge ne rimase subito attratto.
“Girai sulla seggiola”, raccontò molti anni dopo, rievocando il primo incontro con le Pantere Nere, “e vidi il più bello spettacolo al quale avessi mai assistito: quattro neri con basco nero, camicia blu, giacca di pelle nera, pantaloni neri, lucide scarpe nere: e tutti armati!”.
Quello che invece aveva attratto Kathleen era stata l'estrema chiarezza dei loro obiettivi. Erano un vero movimento rivoluzionario.
Non stavano semplicemente chiedendo il diritto effettivo di poter votare, o di diventare cittadini a tutti gli effetti: la loro idea era rovesciare il “colonialismo” di cui erano vittime le persone di colore, e volevano farlo dentro i confini stessi degli Stati Uniti.
Cleaver decise di convertirsi alla causa delle Pantere, convinto che Newton fosse il vero erede di Malcolm X: “È il più grande figlio di puttana che abbia mai messo piede nella storia, la sua immaginazione lavora sempre, per ideare tattiche e strategie”. Kathleen fece la stessa scelta. Seale e Newton erano due giovani molto brillanti, e anche estremamente attraenti.
Sottolineare la bellezza quasi da copertina di questi ragazzi, e soprattutto quella di Kathleen, non deve sembrare un'osservazione superficiale: i neri americani, che fino a quel momento avevano cercato di assomigliare ai bianchi, avevano un bisogno viscerale di riscoprire la loro identità, e andarne fieri.
Al grido di “nero è bello”, la splendida Kathleen, che come le altre Pantere sfoggiava il suo gigantesco casco di ricci afro, era la miglior ambasciatrice possibile del movimento.
Un marziale giubbotto di pelle nera e stivali altissimi fino al ginocchio completavano la sua uniforme che esaltava, allo stesso tempo, la negritudine e un senso di orgoglio riscoperto, trasformandola in un'icona vivente.
Oltre che attraente, Seale era anche un uomo dotato di un'intelligenza fuori dal comune ed era abilissimo nel parlare e nel convincere, un vero e proprio trascinatore; Newton dal canto suo incarnava invece l'anima bellicista, ed era la fierezza fatta persona.
Una celebre foto lo ritrae seduto su una sedia di vimini dal largo schienale, una pelle di zebra ai piedi, in una mano una lancia, nell'altra un fucile, come un re africano.
Non era un caso: l'intuizione di Seale e Newton era che per ritrovare dignità e rispetto i neri avrebbero dovuto ostentare grosse armi da fuoco e dimostrare che erano pronti a usarle, se necessario, per difendere se stessi e le loro comunità dai razzisti.
Nel 1967, un anno dopo l'arrivo di Eldridge, il drappello di Pantere Nere si rese protagonista di un atto dimostrativo che avrebbe segnato la storia. Armato fino ai denti, fece baldanzosamente ingresso nel Parlamento della California, a Sacramento.
Non stavano violando alcuna legge: nello Stato era consentito portare con sé armi purché non le si nascondesse.
Lo scalpore però fu enorme: in un Paese in cui la gente di colore faceva quasi esclusivamente lavori servili, viveva in quartieri riservati e doveva ossequiare i bianchi, la presenza di quei giovani neri armati che osavano irrompere nei luoghi del potere era un'azione decisamente deflagrante.
3. Dalla non-violenza alla rabbia
Il movimento per i diritti civili e l'emancipazione dei neri, in cui la giovane Kathleen si stava gettando a capofitto, era l'unico movimento politico americano che non aveva mai smesso di crescere a partire dal dopoguerra.
Era stato l'unico, anzi, che si stava dimostrando in grado di diventare davvero “di massa”.
Nella prima metà degli anni Sessanta si era articolato in due anime diverse: una, minoritaria, era rappresentata da Malcolm X, un ex pusher e tossicodipendente che aveva fatto una rapida scalata all'interno della Nazione dell'Islam, un'organizzazione politica e religiosa imperniata sui valori del Corano.
L'obiettivo di Malcolm X (foto accanto, insieme a Martin Luther King) non era l'integrazione, ma la completa trasformazione di una società profondamente razzista, che all'epoca non prevedeva alcuno spazio per la gente di colore.
Una gallina, amava dire, non può fare un uovo d'anatra, intendendo con ciò che il sistema americano, che vessava i neri, non avrebbe mai potuto generarne la liberazione. Non aveva escluso il ricorso alla violenza, ma nel febbraio del 1965 era stato assassinato dai suoi stessi ex sodali dopo aver creato una propria organizzazione politica.
L'anima maggioritaria del movimento era stata invece incarnata dal reverendo Martin Luther King, un fautore della non violenza e delle marce pacifiche propugnate in India dal Mahatma Gandhi. Al contrario di Malcolm X, il suo obiettivo era l'integrazione della gente di colore all'interno della società americana.
La base politica di King era nelle aree del sud del Paese, dove si concentrava la popolazione nera, e attraeva soprattutto quelli che, in un modo o nell'altro, avevano trovato un posto nella società: persone che avevano avuto accesso a un po' di istruzione e avevano un lavoro qualificato, un mutuo sulla casa, dei figli, e adesso sentivano che era un loro diritto irrinunciabile cancellare la segregazione razziale – bianchi e neri usavano autobus e toilette diverse – e vedere finalmente i loro candidati eletti alle cariche pubbliche.
King era un leader moderato, e aveva impostato il suo lavoro come una lunga e calma marcia di riforme, di concerto con quei bianchi liberal che vedeva come alleati. Aveva avuto anche un rapporto personale con il presidente Lyndon Johnson, a cui poteva chiedere udienza quando voleva ed essere ascoltato.
Con l'intensificarsi delle operazioni militari in Vietnam, però, Johnson aveva avuto sempre meno tempo e risorse economiche da dedicare ai neri e alla loro emancipazione.
La guerra aveva affossato la sua “Great Society”, ovvero il suo progetto di grandi riforme sociali rivolte alla gente di colore ma non solo, e alla fine anche King era stato assassinato da un razzista ad Atlanta, nell'aprile del 1968.
Il cordoglio nel Paese era stato enorme, ma l'ondata di violenze, di sommosse e di saccheggi seguiti al suo omicidio avevano dimostrato il suo fallimento come leader pacifista.
Il movimento dei neri infatti si stava infatti ravvivando grazie all'appporto di forze nuove, giovani tutt'altro che integrati che vivevano nelle periferie delle grandi città del nord, sbarcando il lunario tra droga e piccoli crimini.
La vita del resto offriva loro ben poche prospettive e covavano una rabbia che non riuscivano a contenere, per cui la violenza era la regola, non qualcosa da evitare a ogni costo.
Sulla scena erano apparsi anche nuovi leader, come Stokely Carmichael (nella foto sotto). Originario dei Caraibi, ma cresciuto a New York, nel quartiere di Harlem, era il capo dello Student Nonviolent Coordinating Committee (SNCC), organizzazione in cui la stessa Kathleen aveva cominciato la sua militanza.
Carmichael aveva cominciato il suo percorso nel solco del pacifismo di Martin Luther King, ma in seguito si era convinto che la via giusta non fosse l'integrazione, ma la rivoluzione. “Quello che stiamo facendo”, spiegava, “è qualcosa di cui lo stesso Malcolm X andava parlando.
Il potere politico deve risiedere all'interno della comunità”. James Meredith, un seguace di King, era diventato invece famoso per aver sfidato nel 1962 le autorità del Mississippi con la richiesta di desegregare le università.
Ferito da un colpo di arma da fuoco sparato dalla polizia, aveva deciso di rinunciare a una nuova marcia di protesta, così Carmichael aveva deciso di rimpiazzarlo e terminare la marcia con il suo movimento. Ed era stato proprio in questa occasione che aveva lanciato lo slogan “Black Power”, potere nero.
4. Un movimento irrefrenabile
Carmichael era convinto che fino a quel momento c'era stato soltanto un movimento per i diritti civili, ma le sue aspirazioni, come quella a votare, erano state limitate per non sconvolgere troppo i bianchi e i loro privilegi.
Secondo lui invece ciò non bastava. Non bisognava più, come aveva fatto Martin Luther King, fare pressioni sui bianchi liberal, i bianchi “buoni” disposti a fare qualche concessione, come pretendevano i moderati e gli integrazionisti.
I neri dovevano prendersi la loro parte di potere e di controllo, soprattutto sulle loro comunità. Con le buone o con le cattive, "decisi a usare le parole che vogliono loro, non le parole che i bianchi vogliono ascoltare”.
Sulla scia del SNCC di Carmichael e delle sue idee, in California era quindi nato il movimento delle Pantere Nere, cui anche Kathleen ed Eldridge aderirono. Kathleen si stupì dalla rapidità con cui le Pantere si erano imposte prima sulla scena californiana, e poi in tutto il Paese.
Un gruppo che era nato a Oakland, per difendere la comunità di colore, era diventato improvvisamente una realtà politica nazionale. Le ragioni del successo in realtà erano semplici: non c'era nessun'altra realtà politica, in quel momento in America, capace di parlare davvero ai neri in tutti i settori.
Tra i loro simpatizzanti non c'erano solo ex tossicodipendenti e persone che erano state in carcere, come Eldridge, ma anche famiglie con figli, insegnanti, studenti dei college. Ciò che li chiamava a raccolta era l'idea che qualcuno riuscisse finalmente a restituire alla gente di colore non solo la dignità ma anche la loro identità etnica.
Le Pantere poi non si limitavano a sfoggiare armi, ma avevano anche allestito dei servizi assistenziali nei ghetti, come delle mense gratuite in cui i bambini delle famiglie povere potevano rifocillarsi.
Volendo assumere una responsabilità nei confronti della propria gente e sui propri quartieri, il partito si diede inoltre una struttura simile a quella di uno stato. Così Newton divenne il ministro della difesa, Carmichael il primo ministro, Eldridge il ministro dell'informazione, mentre Kathleen fu nominata “segretaria delle comunicazioni”.
Le Pantere furono ben presto additate a modello organizzativo anche da altre etnie. I Chicani, gli americani di origine messicana, diedero ad esempio vita ai “Berretti Marroni”; i bianchi poveri della zona degli Appalachi misero in piedi il Young Patriots Party, e così fecero i nativi americani e i portoricani.
La capacità di aggregare le masse nere toccò il suo apice nel 1969. Il fatto che la maggior parte dei neri americani guardava con favore alle Pantere nere mise però l'amministrazione del presidente Richard Nixon in allarme.
Si temeva, e non a torto, una larga alleanza che saldasse i rivoluzionari neri americani con le varie guerriglie anti-imperialiste e anticoloniali del mondo arabo, dell'Asia e dell'America Latina.
E in effetti le Pantere Nere avevano collegamenti con Cuba, con il Messico, con l'Algeria, con i movimenti di liberazione o di guerriglia in Angola, Mozambico, Sud Africa, ed Etiopia.
Per disinnescare il pericolo J.E. Hoover (foto, in alto a sinistra e sotto), il potente capo dell'FBI, dichiarò che le Pantere erano la più grave minaccia per la sicurezza interna del Paese, e lanciò contro di loro una repressione durissima che comprese l'eliminazione di militanti da parte della polizia, l'attacco alle loro sedi ad opera delle “teste di cuoio”, processi che comminarono pene pesantissime.
Furono inoltre schierati provocatori e infiltrati per creare divisioni, sospetti e rivalità all'interno del partito, che non raramente sfociarono in attacchi e faide intestine.
5. In Africa... in esilio
Fu una guerra sporca, sotterranea, che spinse i militanti in un vortice di paranoia e di sospetto nel quale anche Kathleen e Eldridge finirono per essere fagocitati.
Nel momento culminante della repressione Kathleen e il marito trovarono infatti rifugio in Algeria, dove sarebbero rimasti quattro lunghi anni.
Lì nacque il loro primo figlio, Ahmad Maceo mentre la seconda, Joyu Younghi, sarebbe nata durante un soggiorno in Corea del Nord. Mentre i Cleaver erano in Algeria, l'FBI in patria proseguiva la sua opera di annientamento delle Pantere Nere.
Ogni giorno arrivavano notizie di sparatorie, di imprigionamenti, di persone assassinate a freddo, in un'ondata di violenza repressiva che non risparmiava nessuno.
Nelle sue memorie Kathleen racconta che l'Algeria fu l'unico periodo della vita in cui si sentiva spesso depressa: “Non è facile mantenere la sanità mentale, se ogni giorno pensi di poter essere assassinata”.
D'altronde se non avesse avuto figli sarebbe stata ancora più dura, perché in fondo lei era una donna americana, indipendente, di spirito libero, ed era stata proiettata suo malgrado in una austera società islamica. Ma chi stava distruggendo realmente le Pantere nere?
Molti militanti pensavano che non fosse tanto l'FBI il responsabile, quanto le divisioni interne, e attribuivano le maggiori responsabilità proprio a Eldridge e Kathleen: il loro autoesilio mentre il partito si disintegrava, non era forse la prova della loro colpevolezza?
In realtà i Cleaver non avevano alcuna responsabilità, ma queste accusa provano l'efficacia della campagna di discredito condotta dall'FBI nei loro confronti.
Al ritorno dall'Algeria Eldridge si consegnò alle autorità, regolò i conti residui con la giustizia, e poi riprese a fare politica, stavolta nelle file della destra religiosa più oltranzista. Una scelta che Kathleen non condivise, e che alla lunga li avrebbe portati alla separazione.
Prima di lasciare Eldridge, però, Kathleen rifletté a lungo: per troppi secoli le famiglie nere erano state separate dagli schiavisti, e lei voleva spezzare questa maledizione; inoltre c'era già l'altra sua "famiglia" che si stava disgregando, le Pantere Nere. Poi però si arrese.
Nella seconda metà degli anni Settanta, terminata la stagione dei movimenti, Kathleen tornò di nuovo sui banchi di scuola.
“Durante gli sviluppi del caso Watergate”, racconta, “avevo notato che tutte le persone coinvolte erano avvocati, e quanto fossero vicini al Presidente. Avevo intuito quanto gli avvocati, come categoria, fossero centrali nel mondo politico”. Fu il suo modo per affrontare un mondo che non era più lo stesso.
“Ero stata coinvolta - raccontò - in un movimento politico che era stato distrutto, quindi mi sono chiesta come avrei potuto continuare ad avere un ruolo. A quanto pareva dovevo diventare un avvocato”.
Da allora Kathleen non ha mai smesso di dedicarsi ai bisogni dei più deboli. Offrendo la sua difesa in tribunale, tenendo viva la memoria delle Pantere Nere, associando il suo nome ai movimenti per i diritti civili, insegnando all'università.
Combattendo però non più contro, ma all'interno del sistema, e non con le armi, ma con la cultura.