Per alcuni è un veleno, per altri è un toccasana che protegge le ossa dalle fratture e dall’osteoporosi e fornisce al nostro organismo preziosi nutrienti.
Nessun alimento come il latte è tanto dibattuto dagli esperti: nella fila degli scettici si annoverano gli scienziati statunitensi della Harvard School of Public Health di Boston e dell’Istituto tumori di Milano, contraddetti dalla maggioranza degli altri nutrizionisti, come quelli del Cra-Nut, il Centro di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione di Roma.
Il latte rinforza le ossa o le danneggia? Aiuta il cuore o lo affatica? Protegge dal cancro o fa male? Il mondo scientifico si interroga su questo importante alimento!
1. Fonte di calcio
Il latte è il prodotto delle ghiandole mammarie delle femmine dei mammiferi dopo il parto, per nutrire i cuccioli e sostenerne la crescita nelle prime fasi di sviluppo fino a che non sono in grado di nutrirsi di altre fonti.
Il latte materno è dunque la prima fonte di energia che assumiamo ed è indispensabile perché permette un corretto sviluppo nel momento in cui non siamo in grado di digerire e assimilare correttamente altre fonti di cibo.
Man mano che il neonato cresce, il sistema digerente matura e, attraverso il processo graduale dello svezzamento, diventa in grado di introdurre alimenti sempre più diversi.
Ma quindi il latte fa bene o fa male? Il latte è utile, così come lo sono tutti gli altri alimenti. Quel che più lo caratterizza è il calcio facilmente biodisponibile, cioè assorbibile da parte dell’organismo.
Il latte presenta un ottimo rapporto calcio fosforo che protegge le ossa. Ecco perché viene consigliato non solo per la prevenzione dell’osteoporosi, ma in tutti i casi in cui serve il calcio.
Oltre al calcio, il latte contiene proteine in discreta quantità, attorno al 3-4 per cento, sali minerali, vitamine e grassi di vario tipo, tra cui il Cla, un acido grasso polinsaturo della famiglia degli omega 3 che ha un ruolo benefico per l’organismo.
Stiamo parlando di quantità molto piccole, ma comunque presenti. Le linee guida consigliano di bere due porzioni di latte al giorno (250 grammi), che corrispondono a una tazza di latte o uno yogurt moltiplicati per due.
In Italia ne beviamo solo 100 grammi al giorno e i consumi continuano a scendere. Tra gli oppositori del latte troviamo Franco Berrino, medico ed epidemiologo dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano che nel saggio Cibo dell’uomo spiega:
«Un tempo il latte, che oggi in Occidente è alimento quotidiano, dai più era consumato solo occasionalmente, perché non poteva essere conservato ed era facile veicolo di infezioni. È stato solo alcuni decenni dopo la scoperta della pastorizzazione, dopo la prima guerra mondiale, che ha cominciato a essere distribuito nelle città».
2. Lo beviamo solo noi
La mucca produce latte dopo aver partorito il vitello. Gli allevatori puntano ad avere circa un parto l’anno, una lattazione di 305 giorni con una “pausa” senza mungitura di 60 giorni circa.
Non appena una mucca ha raggiunto la maturità sessuale, circa all’età di due anni e mezzo, viene inseminata artificialmente. Rimane gravida. Il periodo di gestazione dura circa 9 mesi.
Poco dopo la nascita il vitello viene separato dalla mamma e allevato in un box. La mucca viene munta due o anche tre volte al giorno, ma non è il vitello a ricevere il latte, bensì l’umano. Alcune mucche danno più di 10mila litri di latte l’anno, quasi 33 litri al giorno.
Quella umana è l’unica specie a consumarlo nel corso della vita adulta. «I mammiferi lo fabbricano per i piccoli che poi non ne hanno più bisogno», chiarisce Vincenzino Siani, nutrizionista, medico e presidente della Società italiana di nutrizione vegetariana.
«Dopo lo svezzamento il gene per l’enzima lattasi si spegne nell’intestino insieme alla capacità di digerire il lattosio, il principale zucchero contenuto nel latte». Il lattosio è un disaccaride, composto cioè da due molecole, e per essere digerito deve essere tagliato nei singoli mattoncini.
«Nella storia dell’umanità è avvenuto un fatto importante: nel neolitico, circa diecimila anni fa, si è cominciato ad allevare gli animali per avere disponibilità di carne. E i genetisti ci dicono che circa 8.000 anni fa è avvenuta una modificazione genetica dell’enzima lattasi che ha reso alcuni individui capaci di digerire il lattosio», dice Siani.
In Italia, la percentuale di intolleranti al lattosio cresce più si scende verso Sud e tocca punte del 90 per cento in Sardegna. Il 75 per cento di afroamericani, ebrei, latinoamericani e nativi dell’America settentrionale, l’80 per cento degli asiatici e la quasi totalità delle etnie dell’Africa meridionale sono intolleranti al lattosio.
Queste percentuali si capovolgono tra gli europei del Nord: il 90 per cento di danesi, svedesi, finlandesi e norvegesi digerisce il latte senza problemi.
L’intolleranza può essere diagnosticata con il breath test, il test del respiro che prevede l’assunzione di una dose di lattosio e la successiva analisi dei gas espirati dopo un certo periodo di tempo.
Se l’intolleranza è acclamata, è possibile assumere calcio bevendo latte delattosato o mangiando formaggi stagionati che ne sono quasi del tutto privi.
3. Ossa e cancro
- Fa bene alle ossa?
Il latte ha aiutato a combattere il rachitismo, le malattie infettive e la grave denutrizione che imperversava nelle nostre campagne e nei quartieri popolari delle città nei primi decenni del secolo scorso.
Una recente pubblicazione sulla rivista Pediatrics ha preso in esame gli studi relativi al consumo di latte nei bambini e ha dimostrato che non esiste nessuna prova che bere latte faccia bene alle ossa dei piccoli. Il latte fa bene per farli crescere.
Se un bambino è piccolo per la sua età, il latte può aiutarlo a diventare grande. Gli olandesi sono alti perché bevono moltissimo latte. I giapponesi, invece, un tempo erano tutti piccoli perché non ne bevevano affatto.
Le cose sono cambiate: anche in Giappone i ragazzi sono alti e il cambiamento fondamentale nell’alimentazione è stata l’introduzione del latte.
Un’indagine statunitense del 2013 ha dimostrato che bere latte in adolescenza non protegge le ossa; anzi, sembra aumentare il rischio di frattura dell’anca negli uomini adulti (ma non nelle donne).
Il gruppo di ricerca guidato da Diane Feskanich, della Harvard Medical School di Boston, ha esaminato l’associazione tra il consumo di latte in adolescenza e il rischio di frattura dell’anca in età avanzata su oltre 96mila uomini e donne nel corso di 22 anni.
Risultato? Bere latte tra i 13 e i 18 anni aumenterebbe il rischio di fratture dell’anca in età adulta nei maschi: per ogni bicchiere di latte in più al giorno, il rischio aumenterebbe del 9 per cento. Naturalmente, a fronte di questo studio, ce ne sono altri che dicono tutto il contrario.
Poiché il latte e i formaggi sono alimenti ricchissimi di calcio (nei formaggi stagionati come il parmigiano si arriva addirittura ad oltre un grammo di calcio per cento grammi di prodotto), molti medici raccomandano di mangiare tanto latte e formaggio anche alle donne in menopausa, per evitare l’osteoporosi.
Quel che dovremmo sapere, però, è che la principale causa di osteoporosi non è la carenza di calcio, bensì l’eccesso di proteine animali. Non esiste un solo studio che abbia documentato che una dieta ricca di latticini in menopausa sia utile ad aumentare la densità ossea e a prevenire le fratture.
Alcuni studi hanno addirittura riscontrato che la frequenza di fratture in menopausa è tanto maggiore quanto è maggiore il consumo di latticini».
Gli esperti della Harvard School of Public Health di Boston rincarano la dose: «I latticini possono essere ricchi di grassi saturi e retinolo (vitamina A), che paradossalmente ad alti livelli può indebolire le ossa».
Il rischio, però, è legato a un consumo alto di latte e latticini, tanto che gli stessi ricercatori statunitensi consigliano soltanto di non superare le due dosi quotidiane.
- Cancro sì, no, forse
Secondo Ganmaa Davaasambuu, ricercatrice della Harvard School of Public Health di Boston, il latte degli allevamenti intensivi è molto diverso da quello che bevevano i nostri antenati: contiene quantità di ormoni femminili che variano a seconda della fase in cui avviene la mungitura; il latte delle mucche gravide ne può contenere fino a 33 volte di più.
In uno studio del 2007, la ricercatrice avrebbe trovato una correlazione tra un alto consumo di latticini e alcuni tumori (prostata, seno, testicoli).
Tuttavia, puntualizza Berrino, «gli studi su latte e tumori sono molto confusi. Alcuni hanno trovato un rischio, altri non lo hanno trovato, altri ancora hanno trovato un effetto protettivo: sembrerebbe ridurre i tumori dell’intestino. Questa incertezza è dovuta anche al fatto che il latte non è sempre uguale come pensiamo: quello proveniente da una mucca che pascola in montagna è molto diverso da quello ottenuto in un allevamento intensivo».
4. Che cosa contiene il latte
Ogni animale produce il latte per i piccoli della sua specie. Il latte di donna è molto più acquoso e povero di proteine del latte vaccino, per non parlare del latte di coniglio in cui abbiamo dieci grammi di proteine contro i nostri tre grammi.
La concentrazione delle proteine dipende della velocità di accrescimento del lattante. L’essere umano ha un ritmo di crescita inferiore rispetto a quello del vitellino. Tanto è vero che nell’uomo si possono manifestare anche delle allergie contro alcune proteine del latte.
Il latte, però, è anche fonte di 13 vitamine molto importanti per la nostra salute, come quelle del gruppo B, e secondo alcune ricerche bere latte abbasserebbe la pressione sanguigna, comporterebbe una riduzione delle malattie vascolari, del diabete, dell’osteoporosi e del cancro al colon retto.
Aspettando risposte definitive sui benefici o sui possibili danni del latte, forse l’atteggiamento più sensato è quello di assumerne in quantità moderate, seguendo le linee guida e variando la dieta il più possibile.
- I latti vegetali
Per “latte vegetale” s’intende una bevande simile al latte che non proviene da un animale, ma da piante. Il latte di soia, di riso e di mandorle sono i più comuni.
Esistono anche il latte di cocco, quinoa, avena, nocciola, farro, orzo, miglio. A livello nutrizionale non hanno nulla a che vedere con il latte animale: non contengono lattosio, proteine del latte vaccino e colesterolo.
Possono essere quindi un’alternativa al latte nei casi di intolleranza al lattosio e allergia al latte, veganismo (dieta che esclude qualsiasi alimento di origine animale) o condizioni di salute come il colesterolo alto.
Per somigliare vagamente al latte vaccino, i latti vegetali andrebbero integrati con alcune sostanze come il calcio, la vitamina D e la vitamina B12.
5. Crudo, fresco e a lunga conservazione
In Italia vengono prodotti 11 milioni di tonnellate di latte vaccino (di bovina), 600mila tonnellate di latte ovino, 300mila tonnellate di bufala e 100mila di capra.
In base ai trattamenti termici abbiamo due tipologie di latte, quello da conservare in frigorifero e quello da conservare a temperatura ambiente.
- DA CONSERVARE IN FRIGORIFERO
• Latte crudo: non è sottoposto a una temperatura superiore a 40 °C, deve essere venduto presso un allevamento a norma e riportare la dicitura “da consumarsi previa bollitura”. Scadenza: tre giorni, ma meglio consumarlo al momento.
• Fresco pastorizzato: si ottiene portando il latte crudo a 72 °C per 13-30 secondi. Il calore inattiva i germi pericolosi. Scadenza: dopo 6 giorni.
• Fresco pastorizzato di alta qualità: deve rispondere ad alcuni standard di qualità (almeno il 15,5 per cento di siero-proteine solubili e almeno i 3,2 per cento di proteine). Scadenza: dopo 6 giorni.
• Pastorizzato microfiltrato: viene filtrato per ridurre la presenza di germi e cellule animali e pastorizzato tra 72 e 135 °C. Scadenza: dopo 2 settimane.
• Pastorizzato ad alta temperatura: si tratta per 2-4 secondi a una temperatura di circa 121 gradi. Scadenza: dopo 1 mese.
- DA CONSERVARE A TEMPERATURA AMBIENTE
• UHT a lunga conservazione: scaldato per almeno un minuto a 135 °C per eliminare i microbi e confezionato in modo asettico, è però più povero di nutrienti. Dopo l’apertura si conserva in frigo per 3-4 giorni. Scadenza: 3-6 mesi.
- I LATTI SPECIALI
• Il delattosato: indicato in caso di intolleranza, contiene enzimi che scindono il lattosio in galattosio e glucosio. Ha un sapore più dolce.
• Arricchito: può essere arricchito con ferro, vitamine, calcio, sali minerali, omega3.
• Per l’infanzia: sostituisce il latte materno per i neonati.
Note
CURIOSITÀ: Ötzi, la mummia era intollerante al lattosio
Ötzi, la mummia del Similaun vissuta fra il 3350 e il 3100 a.C. in Val Senales, era intollerante al lattosio; il dato è emerso dall’analisi del suo genoma, sequenziato di recente.
La scoperta avvalora l’ipotesi che l’intolleranza al lattosio fosse anticamente diffusa anche tra i membri di comunità dedite alla pastorizia e all’agricoltura. Molti pensano che la cosa “normale sia digerire il latte e che l’intolleranza al lattosio sia una specie di malattia, ma non è così.
Nei nostri 200mila anni di evoluzione, noi Sapiens ci siamo evoluti con una caratteristica genetica: il gene LCT che contiene le istruzioni per la produzione della lattasi, l’enzima che permette la digestione del lattosio, si disattiva nell’infanzia.
A un certo punto, 9-8mila anni fa, i nostri antenati hanno addomesticato bovini, ovini e caprini, hanno cominciato a consumarne il latte e a produrre latticini.
Una mutazione genetica casuale, probabilmente avvenuta nel Nord Europa seimila anni fa, ha fatto sì che in alcuni il gene LCT non si disattivasse: quelle persone riuscivano a bere il latte e a consumare formaggi senza alcun problema digestivo, e poiché questo dava loro un vantaggio (in caso di carestia, sopravvivevano meglio perché potevano mangiare di più), la mutazione genetica è stata ereditata dalle generazioni successive.
Chi è intollerante al lattosio, come Ötzi, non ha quella mutazione: il suo cromosoma 2 (quello che contiene il gene LCT) ha mantenuto “l’aspetto” originario evolutosi 200mila anni fa.