Non solo bellissima ma anche astuta e brillante, Françoise de Montespan divenne la favorita del Re Sole, anche grazie a intrighi e pratiche di magia nera.
Dopo aver brillato per tredici anni alla corte di Versailles, cadde in disgrazia in seguito a una serie di avvelenamenti sospetti.
Ma chi era veramente la marchesa di Montespan? Scopriamolo insieme.
1. Le origini
Possedeva la quintessenza di un brillant esprit, come usano dire i francesi, ossia un concentrato di arguzia, eloquenza ed eleganza.
Tanto più pericoloso, quanto più importante era il luogo in cui queste qualità venivano esercitate.
E Madame di Montespan le esercitò nel cuore dell’Europa del Seicento, nello splendore della corte reale per antonomasia, Versailles, irraggiata dal tirannico bagliore del Re Sole: Luigi XIV.
La Montespan sarebbe divenuta la più celebre fra le sue favorite, così da guadagnarsi l’appellativo di “vera regina di Francia” e scalzare per un periodo incredibilmente lungo, tredici anni, la nutrita concorrenza delle rivali.
Abiti, gioielli, acconciature: Françoise aveva nella sua divina bellezza l’arma vincente, tanto da scegliere per sé il nome d’arte di Athénaïs: Atenaide fu, come attesta lo storico greco Strabone, una profetessa vissuta all’epoca di Alessandro il Macedone, la quale gli predisse che la sua grandezza, ottenuta di vittoria in vittoria, lo avrebbe reso pari agli dei.
Françoise de Montespan era una predestinata: venuta al mondo il 5 ottobre del 1640 nel castello di Lussac-les-Châteaux in seno a una delle famiglie più antiche della nobiltà francese, i Rochechouart. Suo padre, Gabriel, era duca di Mortemart e principe di Tonnay-Charente.
Del suo avvenire, che l’avrebbe portata ad essere l’unica persona in grado di influenzare l’umore dell’uomo più potente del mondo, nulla sapeva Mademoiselle de Tonnay-Charente quando, 12enne, fu inviata presso il convento di Santa Maria di Saintes per la sua educazione.
Otto anni dopo, chiuso il pesante portone di legno del convento, le si spalancarono i dorati cancelli della corte del Re Sole.
2. Alla conquista di Versailles
I suoi illustri natali le fecero facilmente guadagnare un ruolo di prestigio.
Entrò nell’entourage del re dalla porta principale, divenendo la damigella d’onore della principessa Enrichetta d’Inghilterra, moglie dell’ambiguo ed efebico Filippo d’Orléans, fratello del re.
Françoise iniziò dunque la sua ascesa non dal primo gradino della scala, ma dai piani alti. Per poi salire ulteriormente, quando fu chiamata a ricoprire il ruolo di dama di compagnia della regina Maria Teresa d’Austria, grazie agli stretti legami familiari tra la madre di Françoise, Diane de Grandseigne, e la regina madre Anna d’Austria, vedova di Luigi XIII.
La posizione occupata a corte rese necessario dotare di un marito la 22enne e bellissima damigella, il cui nome era ormai noto a tutti, e non solo per l’avvenenza della sua persona.
Acuta, colta, brillante conversatrice, elegante, spiritosa e con la passione per la scrittura e le arti, Françoise non passava inosservata: non vi era uomo che non ambisse ad averla accanto.
Lei scelse Louis-Henri de Pardaillan, marchese di Montespan, e lo sposò il 28 gennaio 1663 nella chiesa di Saint-Eustache a Parigi. I marchesi ottennero una più che dignitosa dimora a poca distanza dal palazzo reale del Louvre.
E Françoise – non ancora Athénaïs, ma per poco – poté continuare a svolgere i suoi compiti di damigella, attraverso i quali la marchesa (che finora aveva collezionato più titoli che amanti) arrivò a concepire il disegno di spodestare Madame Louise de la Vallière dal suo trono di favorita del re.
Le armi della seduzione non le facevano difetto. La vicinanza alla cerchia intima del re le era garantita dal fatto di appartenere alla corte personale della regina e di essere divenuta amica dell’eccentrico fratello del re, di cui assecondò l’anticonformismo.
Conquistata la sua famiglia, non restava che Luigi XIV in persona, il quale, chiuso in quella morsa, non poté che cedere. E Françoise divenne allora Athénaïs, marchesa di Montespan.
L’occasione per mostrare a tutta la corte la nuova favorita fu un ballo dato dal fratello del re nel palazzo del Louvre, nel 1667. Un anno e mezzo dopo, la marchesa partorì il primo dei sette figli nati dalla relazione col re. E nel 1674 ottenne il divorzio dal marito Louis-Henri.
Prassi anomala, giacché i nobili traevano beneficio dal fatto di essere sposati a una favorita del re.
A quanto pare, il marchese di Montespan ebbe da subito una reazione diversa: quando la notizia fu di pubblico dominio, dichiarò morta la sua consorte e ne fece celebrare virtualmente le esequie nella sua proprietà di famiglia. Nessun corpo, nessuna salma da seppellire, ma solo il ricordo di una moglie infedele.
Del resto, fu anomala la stessa relazione di Athénaïs con Luigi XIV, più simile a un matrimonio che a una relazione di carattere mondano per l’assiduità della frequentazione, ostentata senza remora alcuna in ogni occasione.
La marchesa non aveva scrupoli nel fornire al re anche consigli di natura politica. Lo accompagnò persino in guerra. Ne orientava le preferenze e i rancori nei confronti dei membri della corte, anche i più vicini e intoccabili, come ad esempio il potente ministro della Guerra, François-Michel Le Tellier, marchese di Louvois.
Il sovrano era stregato da lei, e se non si trattasse del Re Sole verrebbe quasi da dire che fosse manipolato. Le loro liti erano frequenti e accese, eppure Luigi non riusciva a stare lontano da lei.
Le concesse di dettare la moda a corte. Le regalò il castello di Clagny, una versione in piccolo di Versailles, e il delicato Trianon di porcellana, situato vicino alla reggia. Athénaïs si costruì una sua corte personale, di cui erano membri di spicco intellettuali come Saint-Simon e Madame de Sévigné.
Nella foto sotto, la marchesa di Montespan e Luigi XIV.
3. Molte amanti, una sola favorita
Le nobili la imitavano e la blandivano; in molte tuttavia la invidiavano e ne aspettavano la caduta.
Athénaïs però restò sul suo “trono” per molti anni, nonostante le numerose tentazioni da cui il re era continuamente circondato (e a cui cedeva).
La marchesa aveva due ossessioni: la morte e la perdita del favore del sovrano. Due paure che, in fondo, coincidevano. E che portarono Athénaïs ad addentrarsi nel mondo dell’occulto e dell’esoterismo.
Fu innegabilmente l’anima pulsante dell’Affaire des Poisons – il misterioso e torbido “affare dei veleni” – da cui tuttavia ne sarebbe uscita tutto sommato pulita. La corte di Luigi, a partire dalla cattolicissima regina Maria Teresa, ostentava una fede rigorosa e metodica.
Ma, appunto, la ostentava. In privato, i cortigiani e lo stesso re erano seguaci di costumi e comportamenti libertini, molto lontani dalla spiritualità cristiana. Ma la marchesa di Montespan, anche su questo piano, si distinse, andando ben oltre i limiti di una morale già molto compromessa.
E la causa dei suoi eccessi è presto detta: vincere la capricciosa volubilità del sovrano e assicurarsi un posto duraturo nel suo cuore (e nel suo letto), non contrastabile da nessun’altra donna. Da ciò ebbe origine la sua ossessione per l’occulto. Con le arti magiche sperava di legare a sé il re fino alla morte.
Avvolta in un mantello, col viso coperto da una maschera, fu vista più volte (come si evince dagli atti dei processi che ne seguirono) recarsi furtiva in un tugurio di Parigi, dove viveva una fattucchiera, di nome La Voisin, cui la marchesa chiedeva filtri d’amore per il re, che la maga spacciava per preparati a base di erbe dal potere afrodisiaco, ma che in realtà erano intrugli contenenti escrementi e secrezioni di origine animale.
Proprio in quel periodo il re iniziò ad accusare sempre più frequenti emicranie, malori e mancamenti, oltre a disturbi del sonno, e perfino allucinazioni. Non solo.
Per fare terra bruciata delle proprie rivali, la Montespan si fece indirizzare dalla stessa La Voisin a rituali satanici, messe nere “celebrate” da due adepti di Satana, il mago Lesage e l’abate Mariette, riti cui prese parte tre volte (la prima nel 1666, l’“anno del diavolo”).
Il rituale prevedeva ostie maligne, formule esoteriche e che sul corpo della marchesa venisse versato del sangue (solitamente ricavato da uccelli, sebbene una volta fu usato il sangue di un neonato, acquistato al costo di uno scudo), mentre la donna pronunciava maledizioni nei confronti delle sue rivali, in primis Louise de la Vallière.
Quando questa abbandonò la corte per ritirarsi in convento, la Montespan si persuase che i rituali avessero funzionato.
E tale persuasione fu in lei talmente radicata, che la marchesa non esitò a consigliare i servigi della Voisin anche ad altre nobildonne, ansiose di liberarsi dei propri mariti, come fece ad esempio Olimpia Mancini, una delle cinque mazarinettes, nipoti del cardinale Mazzarino, primo ministro del re fino alla sua morte.
Anche Olimpia si rivolse alle arti venefiche della La Voisin per avvelenare il marito, il principe Eugenio Maurizio di Savoia-Carignano, agli atti deceduto all’età di quarant’anni a causa
di una febbre anomala.
4. Tutti in prigione, salvo lei
Il re venne a conoscenza dell’uso di veleni a corte attraverso una serie di delazioni raccolte dal capo della polizia La Reynie e dal ministro Colbert.
Tutti gli interrogati fecero il nome della Montespan.
Perché lo scandalo non assumesse proporzioni maggiori, il re impedì che il nome della sua favorita fosse divulgato e fece imprigionare tutti coloro che avevano avuto a che fare con veleni e messe nere: maghi, abati corrotti, fattucchiere, assassini di neonati e alcuni nobili.
Tutti coloro, insomma, che avrebbero potuto puntare il dito contro la sua bella. Tutti fuorché la Montespan, che nel 1681 uscì di scena, abbandonata infine anche dal suo amato re, al termine di un ultimo incontro chiarificatore.
Interrogata occhi negli occhi dal suo amato, la marchesa non riuscì a tacere la verità: rivelò a Luigi di essersi rivolta a maghi, di aver fatto uso di veleni, ma tutto allo scopo di eliminare le rivali e avere il cuore del re tutto per sé.
Il quale, però, disgustato dal comportamento di colei che aveva amato così a lungo, troncò ogni rapporto. Del resto, aveva già iniziato a frequentare regolarmente Madame de Maintenon, vedova Scarron, che la stessa marchesa aveva voluto a corte come governante dei figli dati al re. L’unica, forse, che non aveva mai pensato di avvelenare.
Uscita di scena impunita, ma sola e senza appoggi, Françoise si convertì a una vita pia, dedita all’assistenza dei poveri, alla preghiera e alla purificazione della propria anima, anche attraverso la mortificazione della carne.
In punto di morte confessò tutti i suoi peccati. Spirò nel convento di Saint-Joseph, a Parigi, il 26 maggio 1707. Forse trattenendo nella retina dei suoi occhi il volto di quel re, il cui amore fu il suo più grande peccato.
Nella foto sotto, la marchesa di Montespan con i suoi figli.
5. Versailles: il mondo ruota intorno al “sole”
La vita di Luigi XIV, una mitologia vivente, ebbe nella reggia di Versailles il proprio monte Olimpo e un tempio pagano da mille e uno rituali che ne scandivano rigidamente la giornata, perché nulla fosse lasciato al caso e perché tutto apparisse una celebrazione della “divinità” del re.
Perché Versailles – in origine una palazzina di caccia – diventasse la Reggia, occorse un’operazione di propaganda, oltre a costosi lavori di ristrutturazione e di ampliamento, affinché chiunque vi entrasse avvertisse la sensazione di essere la stella di una costellazione, più o meno grande, a seconda del proprio rango, che non brillasse di luce propria, bensì riflessa dal Sole.
La nuova reggia ebbe innanzi tutto la funzione di attrarre i nobili. Instillare il bisogno di abbandonare Parigi e di non poter fare più a meno dello sfavillante bagliore sprigionato da feste, danze, banchetti, giochi d’acqua, rappresentazioni teatrali: tutto concesso, purché all’eccesso.
Non c’è nobile che non voglia risiedere a Versailles. Il vero spettacolo non è la festa o il banchetto: lo spettacolo è il Re.
Il primo atto: il mattino di Sua Maestà: più puro è il lignaggio, prima si ha l’onore di accedere alle stanze del Re e ammesso alla visione.
Atto secondo: il pranzo. Il re siede da solo al desco, ma in presenza di chi ha l’onore di assistere al susseguirsi delle pietanze, che comporta scenografie e precise coreografie. Il tutto orchestrato da una catena umana di quasi 500 servitori.
Il terzo atto è tutto en pleine air: a caccia o a passeggio nei giardini di cui l’occhio umano non vede la fine.
Al tramonto del sole, l’ultimo atto: Versailles si illumina delle luci che brillano nelle sale, per la cena, le danze e i tavoli da gioco, fino a che, poco prima della mezzanotte, il re si eclissa agli occhi della sua corte e... Rien ne va plus.