Serve sangue freddo, nonostante la paura.
E bisogna sapere che cosa fare: quando ci si trova nel bel mezzo di un’emergenza, e qualcuno potrebbe rimetterci la vita, la distanza con la morte si misura in attimi.
A volte, pochi minuti fanno la differenza tra la vita e la morte. E una emergenza può capitare anche nelle situazioni quotidiane. In attesa degli specialisti, qualcosa però si può fare, soprattutto nelle emergenze più comuni.
Ecco come comportarsi per essere d’aiuto.
1. Rianimazione cardiopolmonare e defibrillatore
- La rianimazione cardiopolmonare
È una delle manovre salvavita principali, insegnata in qualsiasi corso di primo soccorso: per diffonderne la conoscenza, l’Italian Resuscitation Council ha anche messo a punto un videogioco, Relive, e una app.
Si pratica in caso di arresto cardiaco e serve a “mimare” il lavoro del cuore in modo che il sangue e quindi l’ossigeno possano arrivare agli organi, scongiurando guai irreversibili: da quando il cuore smette di pompare le chance di sopravvivenza calano del 10 per cento ogni minuto, dopo cinque minuti a cuore fermo il cervello può avere danni permanenti.
Il soccorritore deve poggiare le mani a braccia tese al centro del torace, una aperta e l’altra sopra, e fare una sequenza di trenta compressioni (il cosiddetto massaggio cardiaco, la cassa toracica deve scendere di 4-6 centimetri) al ritmo di circa cento al minuto, alternate a due ventilazioni bocca a bocca di un secondo ciascuna per insufflare ossigeno.
Le compressioni vanno contate a voce alta e non ci si deve fermare per più di cinque secondi; dopo un minuto si sente se è tornato il battito e si prosegue, continuando a controllare ogni trenta secondi.
Le mani vanno appoggiate come nei due disegni sotto. Bisogna fare sequenze di 30 compressioni alternate a due ventilazioni bocca a bocca di un secondo ciascuna.
- Defibrillatore: come si usa
Se è presente un defibrillatore va usato subito: il Dae (defibrillatore automatico esterno) è un vero salvavita in caso di arresto cardiaco.
Basta accenderlo: è lo strumento a dare le istruzioni per appoggiare gli elettrodi (vanno messi come in questo disegno) e dare la scarica elettrica che può far ripartire il cuore, interrompendo la fibrillazione o la tachicardia ventricolare che sono spesso causa dell’arresto cardiaco.
Devono averlo le società e gli impianti sportivi e l’ultima legge in materia, approvata nel novembre del 2019, punta a favorirne la progressiva diffusione nelle pubbliche amministrazioni, su aerei, treni e navi e in aeroporti, stazioni e porti, prevedendo anche di incentivarne l’adozione in luoghi pubblici come centri commerciali, alberghi e condomini.
2. In caso di svenimento, convulsioni e fermare il sangue da una ferita profonda
- In caso di svenimento
La pressione si abbassa, il sangue non arriva al cervello.
Si comincia a sudare freddo, la vista si annebbia, le orecchie ronzano e poi si perde conoscenza: è la sincope, il classico svenimento.
Il rimedio è far sdraiare la vittima con le gambe più in alto della testa, nella posizione anti-shock, per favorire il ritorno del sangue al cervello (sotto); è utile anche smuovere l’aria e non far rialzare la persona per un po’ dopo che ha ripreso coscienza, non serve invece dare schiaffi o da bere (anzi, i liquidi potrebbero finire nei polmoni).
Diverso è lo shock, un mancato apporto di sangue ai tessuti che può capitare a seguito di ustioni, traumi, emorragie massicce, principio di congelamento e così via: la vittima è pallida, confusa e sonnolenta, col battito cardiaco sempre più irregolare.
È più pericoloso perché i tessuti soffrono: occorre andare in ospedale, ma in attesa dei soccorsi è bene mettere la vittima nella posizione illustrata per le convulsioni.
- In caso di convulsioni
Può capitare ovunque, a chi soffre di epilessia ma non solo: il cervello “va in tilt” e provoca contrazioni muscolari violente e incontrollabili con perdita di coscienza.
Se accade, far sdraiare la persona per terra, proteggendo la testa con un cuscino e assicurarsi che non possa farsi male (per esempio, è bene togliere gli occhiali) senza però bloccare i movimenti o infilare qualcosa in bocca.
Semmai, occorre mettere la vittima in posizione laterale di sicurezza (vedi disegno sotto) per far uscire i liquidi dalla bocca e togliere di mezzo gli oggetti appuntiti.
Chiamare i soccorsi se la crisi dura più di 5 minuti o il recupero è lento e il respiro resta irregolare, anche se la vittima non è un epilettico.
- Fermare il sangue da una ferita profonda
Se la ferita è superficiale basta lavarla, disinfettarla e coprirla con una benda sterile, ma se il taglio è profondo può aver coinvolto un’arteria di grosso calibro e prima ancora di pensare a disinfettare occorre fermare l’emorragia: quelle gravi si riconoscono perché il sangue è rosso vivo (meno scuro di quello venoso) ed esce a intermittenza, non in maniera costante ma in sincrono col battito cardiaco.
Se si è in due, in attesa dei soccorsi bisogna mettere la vittima in posizione anti-shock, a gambe sollevate, e tamponare la ferita premendola forte anche aiutandosi con garze o tessuti puliti; può essere utile sollevare l’arto e premere sulle arterie a monte dell’emorragia, no invece a cinture, cravatte o simili usati come laccio emostatico per fermare il flusso, perché si possono provocare danni irreversibili ed è un’azione da lasciar fare a soccorritori esperti, in casi di assoluta necessità (per esempio un’amputazione).
Se la ferita è profonda occorre innanzitutto premerla forte con le mani come in questi disegni sotto.
Dopo la prima pressione si deve prendere un panno pulito che va inserito tra i lembi della ferita. E poi premere di nuovo.
3. Quando il boccone va “di traverso e come si salva qualcuno che sta annegando
- Se il boccone va “di traverso”
La scena è sempre la stessa: il malcapitato è cosciente ma porta le mani alla gola, non riesce a parlare, respira a fatica emettendo strani suoni o tossisce appena (se i colpi di tosse sono invece energici non c’è un rischio immediato, sono il metodo naturale per liberarsi), mentre la faccia si colora dal rosso, al viola, al blu.
Tutti segni che qualcosa ostruisce le vie aeree. La manovra di Heimlich, che prende il nome dal medico americano che la inventò nel 1974, serve letteralmente a “sputare l’osso”.
Il soccorritore deve mettersi dietro alla vittima con la testa accanto alla sua, abbracciarla e chiudere le mani premendo un pugno fra sterno e ombelico per fare compressioni rapide, profonde, verso l’interno e verso l’alto, come cercando di sollevarla, finché il boccone non viene espulso: la compressione spingendo sul diaframma fa uscire l’aria rimasta nei polmoni, creando una pressione sul corpo estraneo tale da farlo saltare via come un tappo.
Si può fare anche su se stessi, col pugno o appoggiandosi su una sedia, e perfino su cani o gatti, ma non su bimbi con meno di un anno: un lattante va appoggiato a pancia in giù su una gamba dando cinque pacche forti e decise in mezzo alle scapole, poi va girato in su comprimendo fra sterno e addome cinque volte.
Se la vittima perde conoscenza, in attesa dei soccorsi va praticata la rianimazione cardiopolmonare.
- Come si salva qualcuno che sta annegando
Meglio non farsi prendere dalla sindrome di Baywatch: se non si è assolutamente certi di essere in grado di salvare qualcuno o le condizioni sono difficili (correnti forti, la vittima agitata e così via), è bene chiedere aiuto o le probabilità di annegare in due sono più che concrete.
Se si interviene, è essenziale non perdere mai di vista la vittima nuotando a stile libero ma con la testa alta, con relativa calma per risparmiare energie; il malcapitato va poi afferrato da dietro tenendolo per la testa se è tranquillo, oppure tenendolo per la testa e il torace se è agitato (ma in questi casi sarebbe meglio avere a disposizione un salvagente e non intervenire a mani nude, perché il rischio di essere tirati giù è alto).
Il traino a riva si può fare anche nuotando su un fianco (presa “over”), tenendo al petto la vittima dopo averle passato un braccio sopra la spalla.
Le prese che permettono di portare a riva chi rischia l’annegamento sono tre. Questa sotto è la presa “over”.
Questa è la presa “testa” e si usa quando la vittima è tranquilla e collabora.
La presa “torace” è invece indicata quando chi sta annegando è preso dal panico.
4. Ustioni e immobilizzare una frattura
- Ustioni: tre gradi di intervento
Le ustioni di primo, secondo e terzo grado sono man mano più gravi perché interessano rispettivamente l’epidermide, gli strati più profondi della pelle e i tessuti muscolari; le prime due guariscono facilmente, quelle di terzo grado lasciano cicatrici e vanno trattate dai medici prima possibile.
Se qualcuno si ustiona è buona regola togliere i vestiti, orologio e gioielli prima che la zona si gonfi, senza strofinare (ma se sono attaccati alla pelle bruciata non vanno tirati via); occorre poi tenere la parte sotto acqua fredda corrente e coprirla con garze o tessuti, senza comprimere.
No a pomate, unguenti o disinfettanti e a rimedi casalinghi come l’olio, le patate o il ghiaccio; mai rompere le bolle, perché si potrebbero favorire le infezioni; se l’area ustionata è estesa il rischio è lo shock, per cui è bene far sdraiare la vittima senza toccare la parte bruciata ma coprendola con un tessuto pulito, facendo bere acqua a piccoli sorsi per recuperare i liquidi persi o, se è incosciente, mettendola nella posizione laterale di sicurezza in attesa dei soccorsi.
Ustione di primo grado: è interessata solo l’epidermide
Ustione di secondo grado: arriva fino al derma, si formano bolle di liquido
Ustione di terzo grado: arriva allo strato muscolare e/o adiposo sottostante.
- Immobilizzare una frattura
Per un buon lavoro bisognerebbe essere in due: uno tiene fermo l’arto fratturato e l’altro lo fascia in posizione, usando stecche rigide di fortuna per immobilizzarlo.
Se a essersi rotto è un gomito o un ginocchio bisogna fissarlo nella posizione in cui si trova e non provare a “rimetterlo a posto”. Se invece la frattura è al femore, vanno immobilizzate entrambe le gambe mettendo un’imbottitura fra le due.
È utile applicare il ghiaccio e tenere l’arto fratturato un po’ sollevato; se però la frattura è esposta, quindi si vedono le ossa, bisogna chiamare subito il 118 e non tentare lo steccaggio, ma semmai controllare l’inevitabile emorragia e lo shock, frequente in questi casi.
Se a rompersi è il femore si può arrotolare un tappeto o un lenzuolo da mettere tra le gambe.
5. Azioni antiveleno ed il “trucco” dei soccorritori
- Azioni antiveleno
Bisogna bere il latte dopo un’intossicazione? E se qualcuno viene morso da una vipera occorre succhiare il sangue?
Le situazioni di emergenza da avvelenamento sono parecchie e come comportarsi varia a seconda della sostanza tossica: in caso di “veleno” ingerito (da funghi tossici a troppi farmaci, ai detersivi e simili che i bimbi piccoli sanno scovare benissimo), i sintomi, anche dopo ore, sono nausea, vomito, crampi e dolori addominali, ma l’unica cosa da fare sempre è chiamare un Centro antiveleni o andare al Pronto soccorso, senza bere nulla, neppure l’acqua.
Quanto alle vipere, fanno paura ma morire per un morso è raro (in Italia c’è solo un caso sospetto in Sicilia, che risale a qualche anno fa.
In tutta Europa si stimano 50 vittime l’anno); detto ciò è bene sapere che il serpente una volta su tre non inocula veleno, negli altri casi compaiono rapidamente gonfiore e dolore e allora occorre immobilizzare la parte, come se fosse fratturata, per evitare che il veleno vada in circolo più rapidamente, e andare in ospedale per il siero antivipera.
Tutto il resto è controproducente: il ghiaccio non serve, non va incisa la pelle né messo il laccio emostatico perché si potrebbe verificare un’“ondata” di veleno quando lo si toglie, non vanno dati liquidi perché il veleno circola di più, non va iniettato il siero antivipera da soli perché potrebbe dare uno shock anafilattico.
E no, il veleno non va succhiato: potrebbe intossicarsi pure il soccorritore.
- Il “trucco” dei soccorritori
La prima cosa da fare in caso di emergenza? Ripassare l’alfabeto. «Per ricordare che cosa fare, bisogna conoscere e usare il metodo A-B-C-D-E acronimo che ricorda ai soccorritori la sequenza di controlli e di azioni da compiere.
A sta per vie aeree: la prima cosa da fare è controllare se sono libere, quindi valutare se c’è e com’è il respiro (la B di breath), perché senza ossigeno in brevissimo tempo si muore.
Quindi si sente il battito cardiaco (la C di circolazione) e se serve si interviene per ripristinarlo, poi si passa alla D di disabilità, vedendo se la vittima apre gli occhi, si muove, risponde.
Infine, c’è la E di “esposizione”: togliendo se necessario i vestiti, si deve valutare l’infortunato dalla testa ai piedi per controllare se ci siano traumi, lesioni, ferite.