«Il valore di un’idea sta nel metterla in pratica»: così sentenziava lo spirito pragmatico e tipicamente americano di Thomas Edison (1847-1931), forse l’inventore più fecondo della Storia con oltre 1.000 brevetti depositati a suo nome.
Anche l’Italia, com’è noto, ha dato i natali a un gran numero di brillanti inventori, ma molti hanno faticato per arrivare al successo e a volte, pur meritandolo, non sono stati abbastanza fortunati o spregiudicati da ottenerlo.
Un problema antico, dovuto in parte a un Paese a lungo diviso, spesso incapace di competere con le nazioni vicine e che subiva il peso di svariate dominazioni. Raggiunta l’unità, l’Italia appare, per usare le parole di Manzoni, come “un vaso di coccio tra vasi di ferro”, a causa della sua arretratezza industriale.
L’intera nazione si ritrova con scarsa liquidità per le ingenti spese militari dell’unificazione e con un gap tecnologico e infrastrutturale che sarebbe stato colmato soltanto cent’anni dopo l’unificazione.
In questo quadro, non stupisce che molte menti geniali non siano state adeguatamente tutelate e incoraggiate, e che alcuni importanti brevetti siano finiti altrove. Un esempio è il caso di Guglielmo Marconi (1874-1937), a cui viene suggerito di registrare la sua invenzione all’estero per ottenere maggiori finanziamenti.
C’è poi il caso famoso di Antonio Meucci (1808-1889), la cui paternità del telefono venne usurpata dall’americano Alexander Bell, che seppe muoversi con maggiore spregiudicatezza nel mondo dei brevetti.
Eppure, il nostro Paese aveva una lunga storia di tutela in questo campo: un’iscrizione ritrovata a Sibari, in Calabria, prova che già nel V sec. a.C. agli inventori venivano riconosciuti guadagni come frutto delle loro creazioni, mentre, nel 1474, la Repubblica di Venezia emanò un “Decreto relativo ai privilegi sui dispositivi nuovi ed inventivi” che costituisce un primato legislativo a livello mondiale.
Ma si tratta di glorie troppo antiche perché potessero dar manforte agli inventori italiani dei tempi moderni. La loro determinazione non fu sempre pari alla creatività e spesso non svilupparono quell’approccio imprenditoriale che consentì a Edison di affermarsi in modo così fruttuoso.
Gli inventori italiani, geniali nella creatività, si dimostrarono spesso ingenui nel mostrare il frutto della loro mente, venendo a volte copiati oppure lasciando che qualcun altro, anni dopo, reinventasse ciò che essi avevano già escogitato. Ecco alcune storie esemplari.
1. Innocenzo Manzetti e Vincent Raschellà
- Innocenzo Manzetti - Il telefono negato
Ancora prima di Meucci, un altro italiano realizza il sogno di parlare a distanza.
Inventore geniale e prolifico, Innocenzo Manzetti nasce ad Aosta nel 1826. Si misura in molti campi, brevettando la macchina della pasta e ideando, tra le altre cose, un automa che suona il flauto, oggi in mostra ad Aosta. Merita, però, di essere ricordato soprattutto per il modello di telefono che esibisce prima di altri inventori.
Manzetti, infatti, inizia la realizzazione di uno strumento in grado di trasmettere la voce già nel 1850 e lo presenta (senza depositare il brevetto, per via dei costi elevati) nel 1865, anno in cui la notizia fa il giro del mondo.
Nello storico scontro per la paternità del telefono che oppone il nostro Antonio Meucci all’americano Samuel Bell, e che ha visto riconosciuto il primato dell’italiano solo nel 2002, il nome di Manzetti non compare mai.
Eppure, come in un giallo, si racconta di due emissari americani giunti in Italia nel 1880 per acquistare i diritti dell’invenzione dagli eredi del valdostano, forse per eliminare ogni possibilità di rivendicazione.
In ogni caso, Manzetti, rimase poco conosciuto anche a causa di un carattere schivo, che lo portava a preoccuparsi di più dei progressi scientifici che non di ottenere la fama.
- Vincent Raschellà - La bomba volante
Alianti e dirigibili armati nella strana carriera di un inventore divenuto artista.
Quasi sconosciuta è la vicenda di Vincent Raschellà, nativo di Caulonia, in Calabria, e pioniere dell’aviazione. Nel 1886 costruisce un primo aliante che si rivela un insuccesso, ma poco dopo un nuovo progetto ottiene risultati notevoli.
Vincent, conosciuto in paese come “Vici u pacciu” (Vincenzo il pazzo) proprio per i suoi arditi studi sul volo, il 25 settembre 1889 si lancia da una collina in località Scrongi a Caulonia.
Grazie a un apparecchio battezzato Falco, riesce nell’ardita impresa di un primo volo, percorrendo una distanza di circa 200 m.
Raschellà progetta anche un dirigibile dotato di una bomba da usare in guerra, ma non ottiene attenzione da parte delle istituzioni e, scoraggiato, emigra negli Stati Uniti nel 1899.
Qui deposita brevetti di altre invenzioni e si dedica alla carriera di artista fino alla sua morte, avvenuta in New Jersey nel 1957.
2. Vincenzo Tiberio - Le muffe che guariscono
Decenni prima dello scozzese Fleming, un medico molisano scopre il potere degli antibiotici.
Medico originario del Molise, Vincenzo Tiberio (1869-1915) pubblica, nel 1895, uno studio sul potere battericida delle muffe.
La scoperta avviene partendo da un pozzo che fornisce acqua all’abitazione degli zii, ad Arzano.
Tiberio nota che ogniqualvolta il pozzo viene ripulito dalla presenza di muffe che si formano col tempo, chi utilizza l’acqua soffre di disturbi intestinali, che però cessano al riformarsi delle muffe.
Il medico intuisce il meccanismo alla base del fenomeno e compie delle ricerche, accolte però tiepidamente. Sono necessari ben cinque anni per la diffusione dello studio, che viene comunque ignorato.
Tiberio, deluso dall’accaduto, si arruola in Marina e avvia una carriera militare. La sua relazione dimenticata viene ristampata nel 1955 e appare chiaro il valore del suo pionieristico lavoro.
Ma ormai la fama di Alexander Fleming, scopritore ufficiale della penicillina nel 1929, è troppo grande per essere offuscata e il nome di Tiberio rimane nell’ombra (nella foto sotto, una piastra di coltura).
3. Nicolò Barsanti e Felice Matteucci - Un motore italiano
Nessuna ricompensa per gli ideatori del motore che ha cambiato la Storia.
Dalla collaborazione tra Nicolò Barsanti (meglio conosciuto come Eugenio) e Felice Matteucci, nasce, nel 1853, il primo motore a scoppio della storia.
Barsanti (nella foto in basso, a sinistra) è un sacerdote e insegnante di fisica, nato a Pietrasanta nel 1821, mentre Matteucci (nella foto in basso, a destra) è un ingegnere lucchese, classe 1808.
Iniziano a cooperare nel 1851 per sfruttare l’esplosione di una miscela gassosa e produrre energia cinetica.
Vi riescono solo due anni dopo e per testimoniarlo depositano, presso l’Accademia dei Georgofili a Firenze, un documento con la descrizione del motore.
All’epoca, infatti, non esiste un vero ufficio brevetti, tanto che i due devono conseguirlo in varie nazioni europee negli anni seguenti, anche per accreditare i miglioramenti che via via apportano al loro motore.
Fondano anche una società e applicano il motore in diverse officine meccaniche, ma purtroppo nel 1864 Barsanti scompare prematuramente.
Con la sua dipartita svaniscono anche le possibilità di veder riconosciuta la priorità dell’invenzione del motore a scoppio, che viene assegnata ad altri, mentre Matteucci, da tempo malato, muore nel 1887.
4. Giuseppe Ravizza - Il cembalo scrivano
Un avvocato ingenuo e idealista progetta la prima macchina per scrivere.
Avvocato di formazione, il piemontese Giuseppe Ravizza (1811-1885) è l’inventore di una prima macchina per scrivere, strumento la cui vera paternità è rivendicata da molti.
Inizia a occuparsi del suo progetto nel 1835, prendendo spunto dal lavoro dell’inventore Pietro Conti, e ottiene già nel 1837 un prototipo che battezza “cembalo scrivano” perché utilizza i tasti di un pianoforte.
Ravizza pensa che la sua invenzione possa aiutare soprattutto la scrittura dei non vedenti. La macchina è dotata di 32 tasti, che comandano altrettanti martelletti. C’è anche un campanello che avvisa quando finisce la riga e occorre riposizionare il cursore.
Dal prototipo vengono creati altri modelli, fino a giungere al brevetto depositato a Torino nel 1855. Ravizza ottiene anche alcuni riconoscimenti, ma purtroppo l’invenzione non arriva mai alla produzione industriale.
Classica figura di inventore puro, Ravizza non è tagliato per gli affari e non viene aiutato dalle persone a cui si affida, che sottovalutano le potenzialità della sua creazione.
Così, nonostante il cembalo scrivano abbia anticipato la storica produzione della Remington del 1865, finisce presto nell’oblio.
5. Alessandro Cruto e Francesco Antonio Broccu
- Alessandro Cruto - Il filamento miracoloso
Nasce in Piemonte la lampadina destinata a illuminare il Novecento.
Piossasco, il Comune piemontese in cui nasce Alessandro Cruto nel 1847, è stata la prima città ad avere una via illuminata nel 1883 (un anno prima di Place de la Concorde a Parigi).
Un primato ottenuto proprio grazie a Cruto e alla sua lampadina, realizzata cinque mesi dopo quella di Edison, ma subito in grado di essere utilizzata, diversamente da quella ideata dall’inventore americano.
Il merito dell’italiano è quello di aver creato un filamento di grafite, ideale per le lampadine a incandescenza.
Ciò porta Cruto a ottenere un grande successo all’Esposizione di elettricità a Monaco di Baviera del 1882, e a vendere il suo progetto in tutto il mondo. In seguito a questo trionfo, Cruto apre una fabbrica di lampadine che dirige fino al 1889 e che poi abbandona.
Dopo di allora la sua industria attraversa periodi di fortune alterne e, nel 1927, viene rilevata dalla Philips.
Nel frattempo l’ingegnoso piemontese si rifugia nuovamente nel suo laboratorio per assecondare la sua passione per la scienza e muore nel 1908, ormai dimenticato.
- Francesco Antonio Broccu - Il revolver sardo
Un fabbro geniale anticipa Colt, ma la sua timidezza gli preclude il successo.
È rimasto confinato a Gadoni, un piccolo paese della Sardegna, il genio di Francesco Antonio Broccu (1797-1882), un fabbro che nella prima metà dell’Ottocento crea una sorta di pistola a tamburo.
L’artigiano è molto attivo nel campo delle invenzioni più varie, ma nel 1833 supera se stesso con quest’arma dalla forma mai vista prima.
La sua pistola è dotata di piccole canne che ruotano attorno a un perno e confluiscono su una canna più lunga. È un prototipo di tamburo che pare riscuotere un certo interesse, tanto che Broccu viene invitato a Cagliari per presentare la sua invenzione.
Lo schivo isolano, però, preferisce non allontanarsi dal paesino natio e la nuova arma finisce nel dimenticatoio. Così, Samuel Colt nel 1836 brevetta la sua pistola a tamburo ed entra nella Storia.
Dimostra la sua abilità imprenditoriale anche regalando a Garibaldi alcune delle sue armi e ricevendo in seguito un grosso ordine dal generale italiano.