Giganteschi o minuscoli, ben noti oppure ancora misteriosi, i manoscritti sono tra gli oggetti più iconici dell’età medievale.
Ciascuno ha la sua particolarità e la sua storia da raccontare: alcuni sono stati realizzati in circostanze enigmatiche, altri non sono stati ancora decrittati, altri ancora hanno forme peculiari, o decori unici e strabilianti.
Oggi, scopriremo insieme 15 manoscritti medievali stupefacenti e di inestimabile valore storico ed artistico.
1. Codice Gigas, Codex Amiatinus e Aratea di Harley
- Il Codice Gigas: il più diabolico
Realizzato nel primo trentennio del XIII secolo nel monastero benedettino di Podlažice, in Boemia, il Codice Gigas è il manoscritto più grande del mondo (da cui il nome: gigas, in latino, significa “gigante”).
Il volume fu realizzato da un monaco di nome Herman, detto “il Recluso”, e contiene una trascrizione della Bibbia e una serie di opere storiche ed erudite, tra cui le Etymologiae di Isidoro di Siviglia, le Storie di Giuseppe Flavio, nonché vari trattati, un calendario e una serie di formule magiche.
Le sue misure sono impressionanti: ben 92 cm di lunghezza, 50 cm di larghezza e 22 cm di spessore, per un peso totale di 75 kg.
La mole straordinaria non è, però, l’unica attrattiva del volume.
Scorrendo le sue pagine, arrivati al folio numero 290 recto (ossia a pagina 577 delle oltre 600 totali, di cui otto mancanti), s’incontra l’illustrazione più celebre: una bizzarra rappresentazione del demonio, in cui il Principe delle Tenebre compare con piedi e mani dotati di lunghi artigli, corna taurine e un orribile grugno verde, da cui spunta una specie di lingua biforcuta.
La presenza di questa strana raffigurazione ha dato vita a una leggenda: Herman avrebbe stretto un patto con il demonio (da cui il soprannome del volume, noto anche come “Bibbia del Diavolo”) allo scopo di produrre l’intero libro in una sola notte.
Ovviamente, si tratta di una favola; vero è, al contrario, che testo e illustrazioni furono realizzate lungo un arco di tempo di almeno vent’anni.
Il volume giunse a Stoccolma nel 1648 come preda di guerra e, nel 1697, si salvò da un terribile incendio. Come? Visto il peso, fu gettato dalla finestra.
- Codex Amiatinus: il più fedele
Il Codice Amiatino, o Bibbia Amiatina, è la più antica copia manoscritta (e la più fedele) conservatasi integralmente della Bibbia latina secondo la Vulgata di san Gerolamo.
Il codice fu realizzato in tre copie a partire dal 692 per volontà di Ceolfrid, abate di Wearmouth, nel Regno di Northumbria: due copie rimasero in Inghilterra, una partì alla volta dell’Italia, come dono a papa Gregorio II.
Ceolfrid volle recare la Bibbia personalmente al pontefice, ma non fu un’impresa da poco: oltre ai disagi del viaggio e all’età avanzata, l’abate dovette fare i conti con le dimensioni del volume, alto 49 cm, largo 34 cm e dallo spessore di 18 cm, il che gli attribuiva il peso considerevole di 34 kg.
Ceolfrid morì mentre si trovava in Borgogna e il codice sparì, per ricomparire un secolo dopo nell’abbazia italiana di San Salvatore al Monte Amiata, nel Senese, dove rimase per quasi mille anni.
Dalla fine del Settecento il prezioso manoscritto, che conta 1.040 fogli di pergamena finemente scritta e miniata, è custodito nella Biblioteca Laurenziana di Firenze (Cat. Sala Studio 6).
- Aratea di Harley: il più calligrafico
Una versione dei Phenomena di Arato, quella tradotta in latino da Cicerone, è protagonista di un manoscritto unico, conservato nella British Library di Londra (Harley MS 647) e datato al IX secolo.
Il testo, riportato solo parzialmente, sembra fare da didascalia alle 22 illustrazioni che rappresentano le costellazioni.
Queste ultime sono realizzate attraverso la resa grafica di alcuni passi di un’altra opera scientifica, il De Astronomia di Igino, del I secolo d.C.: proprio come i celebri Calligrammi di Guillaume Apollinaire (1918), ma con oltre mille anni di anticipo.
2. Manoscritto Voynich, Libro d’ore di Amiens e Commentari dell’Apocalisse di Beato di Liébana
- Il Manoscritto Voynich: il più misterioso
Con le sue 234 pagine ricoperte di una scrittura intraducibile, affiancata da illustrazioni altrettanto enigmatiche, il Manoscritto Voynich è senza ombra di dubbio il codice più misterioso del Medioevo.
Già la sua storia è a dir poco rocambolesca. Il volume, scritto su pergamena di vitello, fu acquistato nel 1912 da Wilfrid Voynich, un mercante inglese di libri rari di origini polacche, dal Nobile collegio gesuita di Villa Mondragone, un paese vicino a Frascati.
A prima vista, egli ritenne che contenesse alcune piccole annotazioni in greco antico e lo datò al XIII secolo.
Poiché nessuno riusciva a tradurlo, negli anni ci si fece l’idea che il codice, proveniente da Praga, fosse un falso creato nel Cinquecento dagli inglesi John Dee ed Edward Kelley per essere venduto all’imperatore Rodolfo II d’Asburgo, appassionato di rarità e di alchimia.
Nel 2011, grazie alle analisi al carbonio 14 effettuate dalla Arizona University, è emerso invece che le pagine risalgono a un periodo compreso fra il 1404 e il 1438. Attualmente il libro è conservato nella Beinecke Rare Book and Manuscript Library di Yale (MS 408).
Il contenuto del volume, così come la sua provenienza, è tuttora ignoto. Oltre a usare un sistema di scrittura sconosciuto, il tomo riporta numerosissime illustrazioni con piante, strani oggetti, donne nude che prendono il bagno in un bizzarro sistema di tubature, oltre a probabili simbologie astrologiche.
C’è chi ha pensato che si trattasse di un testo dal contenuto iniziatico da celare per paura dell’Inquisizione, e chi, al contrario, ha ritenuto che si trattasse di un’ingegnosa “presa in giro” delle mode esoteriche.
Il mistero è infittito dal fatto che i glifi della scrittura non mostrano alcun legame con gli alfabeti conosciuti e che il testo è privo di cancellature e correzioni (nessun manoscritto, neppure il più accurato, è privo di mende).
Le ultime interpretazioni propongono che il manoscritto sia una sorta di manuale per la salute delle donne, con le indicazioni di piante officinali e ricette per preparare medicamenti, o che sia stato scritto in una “lingua protoromanza” da una suora domenicana per conto di Maria di Castiglia, regina consorte di Aragona.
Va però detto che nessuna spiegazione si è finora rivelata soddisfacente: il significato del Manoscritto Voynich, ammesso che ne abbia uno, continua a eludere i ricercatori, perfino quelli che si avvalgono di sistemi di decrittazione informatici.
- Libro d’ore di Amiens: il più bizzarro
Creato intorno al 1555 e riccamente illustrato con 22 coloratissime miniature, il Libro d’ore di Amiens (Lescalopier Ms.22) si presenta in modo davvero particolare: quand’è aperto ha le fattezze di un giglio.
Fu commissionato dal re di Francia Enrico II, il cui emblema, come quello dei sovrani transalpini, è appunto questo fiore nobile e altero.
L’agile volumetto (129 pagine in formato 18,2 mm × 8 cm) doveva servire come breviario per le preghiere quotidiane da recitarsi, com’era d’uso allora, nella quiete delle proprie stanze.
Sembra, però, che a sfogliarlo non fosse il re in persona, bensì la sua bellissima amante Diana di Poitiers. Il manoscritto giunse ad Amiens nel 1861, quando il bibliofilo e collezionista Charles de L’Escalopier, conservatore della Bibliothèque de l’Arsenal di Parigi, lasciò il suo prezioso fondo di libri alla città.
- Commentari dell’Apocalisse di Beato di Liébana: il più inquietante
Secondo la tradizione, l’apostolo Giovanni ebbe una visione che ispirò uno dei libri più importanti ed enigmatici del Nuovo Testamento: l’Apocalisse.
Il libro, indirizzato alle chiese dell’Asia Minore per incoraggiare i fedeli a resistere alle persecuzioni in attesa dell’avvento del regno celeste, fu incluso a chiusura del canone della Bibbia. A partire dal IV secolo in poi è stato chiosato e interpretato innumerevoli volte.
Il più celebre commentario all’Apocalisse è quello realizzato nell’VIII secolo da Beato, abate di Liébana, nella Cantabria spagnola, che dal suo autore prende appunto il nome di “Beatus”: dal 776, anno della stesura, in poi, il testo è stato copiato in moltissimi esemplari, i “Beati” tutti illustrati con miniature che ne fanno uno dei documenti più importanti dell’arte e mozarabica, tipica della penisola iberica tra IX e XI secolo, caratterizzata dalla commistione di elementi cristiani, visigoti e islamici.
Il corpus dei Beati conta in tutto 31 manoscritti, alcuni frammentari, databili tra il X e l’XI secolo e conservati in varie biblioteche del mondo.
Tra quelli che si trovano in Spagna, il più importante è forse quello di re Fernando I di León e di sua moglie Sancha, datato 1047 (Madrid, Biblioteca Nacional, Ms. Vit. 14.2).
Il manoscritto misura circa 27 × 36 cm, è composto da 312 fogli con 98 miniature e fu realizzato da uno scriba di nome Facundus.
Le miniature di questo e di altri Beati, stilizzate, visionarie e cariche di colori sgargianti, hanno influito in maniera potente sull’immaginario collettivo, e non solo durante il Medioevo: perfino Picasso ne avrebbe tratto ispirazione per le sue opere cubiste, compresa la celebre Guernica.
3. Libro di Kells, Chansonnier cordiforme e Codex Rotundus
- Libro di Kells: il più iconico
Considerato una delle meraviglie dell’arte manoscritta europea, il Libro di Kells venne realizzato tra gli ultimissimi anni dell’VIII e l’inizio del IX secolo nel monastero scozzese di Iona.
Contiene i testi dei quattro Vangeli, accompagnati da superbe miniature, opera di almeno tre amanuensi ignoti.
Il testo, vergato in maiuscola insulare con inchiostro nero, rosso, porpora e giallo, è incompleto, forse perché il codice, ancora in fase di compilazione, fu trasferito da Iona a Kells per metterlo in salvo dall’ennesima incursione vichinga.
Ne restano 340 pagine, ma ne mancano sicuramente una trentina: furono perdute probabilmente durante la razzia del 1006, quando mani sacrileghe strapparono via la pesante legatura in oro e gemme del codice.
Era quello l’unico elemento giudicato di valore dai Vichinghi, che però si sbagliavano di grosso, perché il testo rappresenta uno scrigno di meraviglie più prezioso di qualunque rilegatura.
L’evageliario fu a lungo attribuito alla mano di san Columba, che però non può esserne l’autore: il celebre missionario, noto anche come Colum Cille, morì nel 597, quindi parecchio tempo prima rispetto alla datazione effettiva del codice, stabilita da uno studio paleografico.
Oggi il libro rappresenta uno dei vanti del Trinity College di Dublino (segnatura IE TCD MS 58). Molti fogli presentano iniziali miniate coloratissime e ricche di particolari.
Le illustrazioni “miste”, quelle cioè con immagine e testo, sono numerose, ma sono quelle a tutta pagina (in tutto 10) a catturare l’occhio con la loro forma labirintica, i colori accesi, le volute ardite che confondono l’occhio, la fattura estremamente elaborata e complessa.
Tra esse, spicca una Vergine con il Bambino contornata da quattro angeli che, secondo alcuni, rappresenterebbe una delle più antiche raffigurazioni, se non la prima in assoluto, di questo soggetto nell’arte occidentale.
La spettacolare decorazione che accompagna l’incipit del Vangelo di Luca è l’apoteosi dell’horror vacui tipico dell’estetica irlandese: la pagina è interamente occupata da intrecci geometrici perfetti, nei cui spazi rigidi le figure umane risultano schiacciate, quasi imprigionate.
Nell’insieme, l’illustrazione trasmette una sensazione di equilibrio ma anche di angoscia, quasi rimandasse alla dannazione eterna.
Curiosa, e tipica della miniatura irlandese, è anche la cosiddetta “pagina tappeto”: un’unica illustrazione di forma geometrica che ricorda i tappeti orientali (probabilmente copti) in uso dove si originò il cristianesimo ascetico, poi diffuse nelle Isole Britanniche tramite i missionari.
Le miniature del Libro di Kells fondono elementi derivati dall’arte classica (come le architetture e le figure umane) con il gusto per l’intreccio e il motivo geometrico tipico dell’arte “barbarica”, retaggio della sottostante, e all’epoca ancor viva, cultura pagana.
Da notare anche che i pigmenti sarebbero stati importati dall’area mediterranea; i preziosi lapislazzuli del blu provengono dall’Afghanistan nordorientale, a riprova dell’ampia circolazione di uomini, merci e idee che caratterizzò il Medioevo.
- Chansonnier cordiforme e altri: il più romantico
Tra i manoscritti bizzarri, una categoria speciale è quella che comprende i volumi a forma di cuore. Ne conosciamo vari esempi, sia pervenuti fino a noi sia rappresentati nell’iconografia.
Il più famoso è il cosiddetto Chansonnier cordiforme, conservato alla Biblioteca Nazionale di Parigi (Paris, BnF, Ms. Rothschild 2973).
Realizzato intorno al 1470, venne commissionato dal canonico Jean de Montchenu, futuro vescovo di Agen e di Viviers, e comprende 43 canzoni musicate da alcuni dei più illustri compositori dell’epoca, a cominciare da Guillaume Dufay.
Un altro noto esempio di libro a cuore, sebbene più tardo, è costituito dal manoscritto Thott MS 1510, conservato alla Biblioteca nazionale danese di Copenaghen, che comprende 83 poesie composte alla corte di re Cristiano III di Danimarca.
In questo caso, però, non si tratta di un volume di lusso: è privo di miniature e la scrittura, discontinua, è affiancata da molte annotazioni a margine, segno che chi lo possedeva lo sfogliava spesso e vi inseriva le sue riflessioni.
- Codex Rotundus: il più originale
Davvero unico e perfino disorientante è il cosiddetto Codex Rotundus, appartenente alle collezioni della Dombibliothek di Hildesheim, in Germania (MS 728).
Fu commissionato da Adolfo di Kleve, nipote del duca Filippo III di Borgogna detto “il Buono”, e vide la luce nel 1480 a Bruges, nelle Fiandre.
Anche in questo caso, si tratta di un libro d’ore per la devozione privata ma la forma è, appunto, rotonda.
Le pagine sono costituite da cerchi di 9 cm di diametro e sono tenute insieme con grande abilità: mancando un margine sufficientemente lungo, il rilegatore ha dovuto provvedere a creare una sorta di scatola chiusa con ben tre graffe fissate ad altrettante cerniere metalliche.
Gli interni sono decorati con preziose illustrazioni, veri e propri quadri in miniatura.
4. Vangelo di San Cutberto, Salmi di Anna Bolena e Aratea di Leida
- Vangelo di San Cutberto: il più macabro
L’evangeliario di San Cutberto, contenente il Vangelo di Giovanni, risale all’VIII secolo. Sono diverse le particolarità che lo rendono unico.
Anzitutto, con i suoi 9 cm per 14 scarsi, è uno dei manoscritti anglosassoni più piccoli che esistano.
Inoltre, pur essendo privo di decorazioni, conserva la più antica (e intatta) rilegatura in cuoio finora nota.
La terza stranezza è ancora più curiosa: fu seppellito nella tomba di san Cutberto di Lindisfarne dopo la sua morte, avvenuta nel 687.
A lungo ritenuto il suo vangelo personale, fu in realtà realizzato intorno al 730 nell’abbazia di Monkwearmouth-Jarrow. Finì nel sarcofago durante una delle numerose ricognizioni dei resti del santo, la prima delle quali avvenne undici anni dopo il suo decesso, in occasione del processo di canonizzazione (che rivelò che la salma era incorrotta).
Il volumetto seguì le reliquie quando queste furono traslate nella cattedrale di Durham per porle al sicuro dal pericolo dei raid vichinghi.
Nel 1104 il sarcofago fu aperto per l’ennesima ricognizione e il Vangelo venne rimosso: inserito in tre diverse borse di cuoio, poteva essere così indossato al collo dai pellegrini durante le preghiere.
Stando al dotto monaco Reginaldo di Durham, chiunque intendesse toccare il prezioso volume doveva presentarsi a digiuno, pulito e rivestito di una tunica immacolata.
Cosa che non fece un povero scriba di nome Giovanni, il quale, nel 1153, commise l’ingenuità di afferrare il libro dopo aver mangiato e senza essersi lavato le mani: cadde subito stecchito, schiantato da un colpo apoplettico. Oggi il manoscritto si trova alla British Library di Londra (MS 89000).
- Salmi di Anna Bolena: il più piccolo
Nel tardo Medioevo e nel Rinascimento erano di moda i libri in miniatura per uso privato. Tra i più celebri vi è il manoscritto Stowe 956, appartenente alla British Library di Londra.
Contiene la traduzione in inglese dei Salmi in pagine che misurano soltanto 4 cm.
Il volumetto appartenne ad Anna Bolena, una delle sfortunate mogli di Enrico VIII: il ritratto di quest’ultimo, il più minuscolo che si conosca, appare proprio all’inizio del volumetto, conferendogli un’aura decisamente inquietante.
- Aratea di Leida: il più "stellare"
Redatto intorno all’816 in Lotaringia, forse per il re Ludovico il Pio, l’Aratea di Leida è uno dei documenti più importanti per conoscere l’astronomia dell’alto Medioevo.
Il testo, contenuto in 99 fogli di pergamena e illustrato da 39 bellissime miniature che rappresentano le costellazioni, contiene la versione latina (a opera di Germanico) dei Phaenomena di Arato di Soli, una delle opere astronomiche capitali dell’antichità.
Dal 1690, il codice (Voss. lat. Q 79) è conservato nella biblioteca dell’Università di Leida, nei Paesi Bassi.
5. Salterio di Gorleston, Codex purpureus Rossanensis e Codex argenteus
- Salterio di Gorleston e altri: i più giocosi
Vengono chiamati “marginalia” e sono bizzarre illustrazioni che appaiono in alcuni codici a margine del testo.
In alcuni casi ne rappresentano il commento, ma altre volte ritraggono soggetti decisamente bizzarri, del tutto slegati dal testo: uomini e donne che litigano, immaginari duelli tra cavalieri e chiocciole, scimmie impertinenti che mostrano il deretano, conigli assassini...
Non se ne conosce la funzione simbolica: a volte le illustrazioni sono tracciate solo per riempire i vuoti, altre sono curate nei minimi dettagli al punto da proporsi come opere d’arte a sé stanti. Il repertorio è vastissimo.
Nel trecentesco Salterio di Gorleston (British Library di Londra) troviamo uomini che si divertono a fare smorfie e boccacce; in altri manoscritti, diversi animali si sfidano nelle più varie tenzoni, come il duello musicale tra un coniglio e un uccello che appare nello Speculum historiale (1294-1297) della Biblioteca municipale di Boulogne-sur-Mer, in Francia.
Altri ancora, come il Libro d’ore di Baltimora (Walters Art Museum, W.37), presentano strane e colorate creature, a volte dotate di volti umanizzati e particolarmente espressivi.
Non mancano le scene piccanti: in un manoscritto trecentesco del Roman de la Rose (Biblioteca nazionale di Francia) è rappresentato un rapporto sessuale tra un chierico e una suora, mentre sulla stessa pagina un’altra religiosa è intenta a raccogliere falli da un albero.
A volte i miniatori si divertono a rappresentare il mondo alla rovescia, come suggerisce un codice cinquecentesco della Württembergische Landesbibliothek di Stoccarda: il gruppo di conigli, preda per eccellenza, arrostisce un uomo infilzato su uno spiedo in quella che sembra la vendetta di roditori sugli umani. In qualche caso, le figure grottesche, i simboli, gli animali stralunati sembrano incarnare ciò che in altro modo non si poteva, o non si osava, rappresentare: paure, desideri, rivalse, morbosità, insofferenze, ironie.
E sembra quasi che lo scriba, una volta compiuto il suo dovere di trascrittore di testi, si sentisse finalmente libero di usare la penna per dar sfogo alla fantasia, senza freni né censure.
- Codex purpureus Rossanensis: il più "colorato"
Il Codex purpureus Rossanensis (Gregory-Aland: Σ o 042) è uno dei più antichi e preziosi manoscritti miniati del Nuovo Testamento giunti fino a noi.
Scritto in greco e realizzato verso la metà del VI secolo, presenta quattordici straordinarie illustrazioni su pagine tinte di color porpora.
Sono tutte relative ai testi, scritti in oro e argento, dei Vangeli di Matteo e di Marco.
Quando fu ritrovato, nel 1879, all’interno della sacrestia della cattedrale di Maria Santissima Achiropita di Rossano, presso Cosenza, presentava soltanto 188 fogli di pergamena dei circa 400 originari. Oggi si trova nel Museo Diocesano della cittadina calabrese.
- Codex argenteus: il più "gotico"
Realizzato all’inizio del VI secolo, il Codex argenteus contiene una delle primissime traduzioni del Nuovo Testamento in una lingua diversa dal latino: è scritta nell’idioma parlato dalla popolazione germanica dei Goti.
La traduzione fu realizzata nel IV secolo dal vescovo ariano Ulfila, che ideò anche il corrispondente alfabeto per traslitterare la lingua gota, fino a quel momento utilizzata solo oralmente.
L’opera fu trascritta a Ravenna agli inizi del VI secolo per re Teodorico il Grande e venne ritrovata mutila (si conservavano soltanto 187 fogli dei 336 originali) nel Cinquecento.
Finita a Praga nelle collezioni di Rodolfo II, nel 1654 fu portata a Stoccolma dagli svedesi come bottino di guerra.
Oggi il Codex è conservato nella biblioteca Carolina Rediviva di Uppsala. Il testo è scritto con inchiostro d’argento (da cui il nome), mentre gli inizi dei capitoli sono in oro. Le pagine sono tinte di porpora, colore tradizionalmente legato all’ambito imperiale.