Immanuel Kant è ritenuto uno dei pensatori più influenti, se non il più influente in assoluto, dell’epoca moderna.
Esponente massimo dell’Illuminismo tedesco, fu artefice di una “rivoluzione filosofica” tesa a superare il dogmatismo metafisico del pensiero precedente.
Un obiettivo raggiunto sottoponendo per la prima volta, il processo di conoscenza e una ricerca compiutamente critica.
Tramite la sua speculazione, Kant anticipò i principi della futura corrente idealista espressa da Hegel, Fichte e Schelling, nonché di gran parte del pensiero successivo, aprendo la strada al romanticismo e alla filosofia contemporanea.
Erede del pensiero illuminista, che a suo giudizio segnò «l’uscita dell’uomo dallo stato ili minorità che egli doveva imputare a se stesso», Kant può essere considerato il padre della filosofia contemporanea. Ecco il suo pensiero in dieci mosse.
1. Vita, opere e il criticismo
- Vita e opere
Nato nel 1724 a Königsberg, in Prussia (nella foto sotto, la casa in cui venne al mondo), Kant studiò presso il Collegium Fredericianum e frequentò poi l’università locale seguendo i corsi di fisica, logica e matematica.
Alla morte del padre (che faceva il sellaio) fu costretto a guadagnarsi da vivere come precettore privato.
Tuttavia non abbandonò gli studi e nel 1755 conseguì la libera docenza e l’incarico di professore straordinario all’Università di Königsberg, tenendo per quindici anni lezioni di fisica e matematica.
In seguito la sua curiosità intellettuale lo condusse alla filosofia e nel 1770 fu nominato professore ordinario di logica e metafisica.
Le sue “libere” opinioni in campo religioso, fondate più sul razionalismo che sulla fede, lo condussero a scontrarsi con il governo prussiano, al punto che nel 1792 il kaiser Federico Guglielmo II gli proibì di tenere lezioni pubbliche su argomenti religiosi.
L’opera di Kant fu molto feconda, ma tre sono i suoi lavori principali: Critica della ragion pura (1781), Critica della ragion pratica (1788) e Critica del giudizio (1790). Morì a Königsberg il 12 febbraio 1804.
- Il criticismo
Il criticismo è la dottrina esposta da Kant nella sua Critica della ragion pura.
In essa il filosofo intende sottoporre la ragione a una disamina puntuale e rigorosa, così da delimitare l'ambito della conoscenza umana ed escludere ogni indebita pretesa metafisica.
Da questa impostazione nasce una nuova “filosofia trascendentale”, che si oppone alla conoscenza empirica (basata sull'esperienza dei sensi e sulle percezioni, come teorizzato, per esempio, dall'inglese Hume) e mira a determinare la validità delle singole scienze e della nozione di scienza in generale.
2. La rivoluzione copernicana della conoscenza e la critica della ragion pura
- La rivoluzione copernicana della conoscenza
Fino ai suoi tempi, scrive Kant, si era creduto che ogni conoscenza consistesse nella corrispondenza tra oggetto conosciuto e soggetto conoscente; tuttavia non si era riusciti a fondare una scienza davvero universale.
Il filosofo decide di operare “al contrario”, sostenendo che sia il soggetto a porre le condizioni della conoscenza, e che pertanto siano gli oggetti a doversi conformare ai principi a priori che fondano il nostro conoscere.
Kant opera quella che definisce una “rivoluzione copernicana”: così come Copernico aveva posto il Sole e non la Terra al centro dell’universo, egli pone al centro del processo conoscitivo non più l’oggetto ma il soggetto, quindi l’uomo, con le sue capacità e attività.
Ciò è possibile attraverso l’“Io penso”, rappresentazione dell’autocoscienza che pone l’uomo al centro del processo conoscitivo, rendendolo il “legislatore della natura”.
- Critica della ragion pura
L’essenza della filosofia critica kantiana è elaborata nella Critica della ragion pura (1781), opera in cui Kant esamina i fondamenti e i limiti della conoscenza umana.
La critica della “ragion pura”, ossia separata dall’esperienza sensibile, è divisa in tre parti: estetica trascendentale, analitica trascendentale e dialettica trascendentale.
Con “trascendentale” Kant intende tutto ciò che esiste “a priori” e serve a produrre conoscenza se applicato all’esperienza sensibile. Ciò che è trascendente è invece tutto ciò che è innato in noi, mentre ciò che è empirico è ciò che riguarda l’esperienza sensibile.
Nell’estetica trascendentale Kant esplora quindi la sfera della conoscenza sensibile (fisica), per individuare i principi “a priori” che la rendono possibile. Le forme a priori sono lo Spazio, il Tempo e le Categorie: un concetto che riprende in parte formulazioni espresse da Platone e Aristotele e che gli meritarono la definizione di “idealista”.
L’analitica trascendentale cerca di approcciare i fenomeni naturali oltrepassando l’esperienza sensibile attraverso una conoscenza di tipo razionale e scientifico. A tale scopo, Kant distingue quattro gruppi di categorie: Quantità (unità, pluralità e totalità), Qualità (realtà, negazione e limitazione), Relazione (causalità e azione reciproca) e Modalità (possibilità e impossibilità, esistenza e non-esistenza, necessità).
Secondo il filosofo, gli oggetti del mondo materiale (“cose in sé”) sono fondamentalmente inconoscibili; quel che è conoscibile è il “fenomeno” (dal greco phainómenon, “ciò che appare”), a cui si contrappone il “noumeno”, che ne costituisce il substrato e che può essere pensato ma non conosciuto.
3. La Metafisica e il Male radicale
- Metafisica
Nella Critica della ragion pura Kant affronta il problema della metafisica, analizzando se possa ergersi al grado di scienza al pari di fisica e matematica.
Cioè, se possa rivelare in modo “scientifico” le verità su Dio e sulla creazione del cosmo. Ciò, secondo Kant, è possibile attraverso la dialettica trascendentale.
Il suo ragionamento si basa su tre idee trascendentali: l’anima (intesa come totalità dei fenomeni interni all’uomo), il mondo o cosmo (totalità dei fenomeni esterni) e Dio (totalità di tutte le totalità e fondamento di ogni cosa).
Ciascuna di esse è oggetto d’indagine da parte di una scienza che, procedendo erroneamente oltre i limiti del pensiero, può giungere tuttavia a conclusioni sbagliate.
L’anima è studiata dalla psicologia razionale e il mondo dalla cosmologia razionale; entrambe, però, sono (ondate su ragionamenti errati (paralogismi).
La psicologia razionale, infatti, applica all'Io penso la categoria di “sostanza” , rendendolo una realtà eterna, spirituale e incorruttibile, mentre in realtà esso è un’unità “formale” che non è possibile provare empiricamente ed è quindi inconoscibile.
La cosmologia razionale pretende di spiegare il mondo nella sua totalità, ma ciò è impossibile, perché non si può avere esperienza di tutti i fenomeni.
Dio, infine, è oggetto di studio della teologia razionale. I teologi hanno tentato di dimostrarne l’esistenza fornendo varie prove (ontologica, cosmologica, teleologica) ma fallendo sempre, perché il punto di partenza, ossia che Dio è un essere con le stesse caratteristiche del mondo, è errato.
Il mondo è finito, mentre Dio è infinito, pertanto risulta impossibile conoscerne la natura. Con questo argomento Kant non nega l’esistenza di Dio, ma solo la possibilità di dimostrarla, fatto salvo un atto di fede.
- Il Male radicale
Nell’ambito della sua speculazione etica, Kant definisce l’umanità un “legno storto”, irresistibilmente inclinato verso la malvagità a causa del “male radicale” che le è connaturato.
Questo male (il biblico peccato originale), è espressione della finitezza e della fragilità proprie dell’essere umano, che lo portano, suo malgrado, ad adottare un comportamento contrario alla legge morale, pur essendo consapevole della sua esistenza.
4. Giudizi sintetici, analitici e la critica della ragion pratica
- Giudizi sintetici e giudizi analitici
Secondo Kant il pensiero si articola in giudizi analitici (a priori) e sintetici (a posteriori).
Essendo un rapporto tra due termini (soggetto e predicato), il giudizio è analitico quando nel predicato è detto qualcosa di implicito nel soggetto (per esempio, «il pallone è rotondo»: non esistono palloni non rotondi): in questo caso basta il principio di non contraddizione per stabilire se il giudizio è valido.
Il giudizio è invece sintetico quando il predicato aggiunge al soggetto qualcosa in più (per esempio, “la rosa è rossa”: esistono rose non rosse, e fiori rossi che non sono rose): il principio di non contraddizione rimarrà condizione necessaria della sua validità, perché nel predicato non si potrà dire nulla che contraddica il soggetto, ma non sarà più condizione sufficiente per stabilire se il giudizio sia vero.
I giudizi analitici, tutti a priori, sono universali e necessari ma, proprio perché il predicato non aggiunge nulla al soggetto, non sono estensivi della conoscenza.
I giudizi sintetici, al contrario, sono estensivi della conoscenza, perché il predicato aggiunge al soggetto nuove caratteristiche. Se tutti i giudizi sintetici fossero a posteriori, le nostre conoscenze sarebbero fondate sull'induzione e sull’abitudine, e non sarebbero né universali né necessarie.
E però possibile formulare giudizi sintetici a priori, ossia fecondi ma nel contempo universali e necessari, come avviene nelle formule matematiche e nella geometria.
- Critica della ragion pratica
Se la Critica della ragion pura aveva elaborato l’analisi critica della ragione in campo teorico, la successiva Critica della ragion pratica conduce l’analisi nel campo dell’azione e del comportamento (pratica).
Kant esamina il problema della morale, non definendo quali precetti etici debbano essere seguiti dall’uomo, bensì “come” costui debba comportarsi per compiere un’azione autenticamente “morale”.
Secondo Kant, esiste una legge morale assoluta e incondizionata, che si basa su tre principi: Autonomia (è libera e fine a se stessa), Necessità (non può e non deve dipendere dalla situazione contingente) e Universalità (è uguale per tutti).
Il fine dell’azione morale dell’uomo è il “Sommo bene” e si basa sul concetto di dovere, che è un principio razionale: tutti gli uomini, anche i malvagi, ne sono dotati. Ciò che ne determina il comportamento è la libertà, espressione di una volontà pura.
Quest’ultima, a sua volta, è regolata dalla massima (una norma puramente personale che ogni soggetto stabilisce di osservare per se stesso) e dall’imperativo categorico (una prescrizione cogente, necessaria e universale).
Esiste però un’antinomia, ossia una contraddizione, rappresentata dal conflitto tra virtù e felicità, che non possono coesistere nel mondo terreno.
L’unico modo per uscirne è presupporre resistenza di un mondo ultraterreno in cui virtù e felicità coincidano, attraverso tre postulati: immortalità dell’anima (è la condizione di santità a condurre l’uomo al Sommo bene, ma la santità è possibile solo nell’aldilà, dimensione esclusiva dell’anima), esistenza di Dio (Dio è il garante della corrispondenza tra virtù e felicità) e libertà (possibile solo nell’aldilà).
L’uomo razionale, dunque, agisce seguendo il dovere in quanto tale e cercando di raggiungere il Sommo bene, nutrendo ima “ragionevole speranza” nella sua assoluta libertà, nell’immortalità dell’anima e nell’esistenza di Dio.
5. Critica del giudizio e il sublime
- Critica del giudizio
Nella Critica della ragion pura, Kant aveva sostenuto che la natura (il sensibile) fosse determinata secondo necessità.
Quando agisce nella natura, l’uomo è quindi sottoposto alla necessità delle leggi causali. La Critica della ragion pratica aveva mostrato che quando l’uomo agisce moralmente tende ad acquisire una libertà sempre maggiore.
Come e dove si conciliano i due aspetti contrapposti di necessità e libertà? Il problema è affrontato nella Critica del giudizio.
Secondo Kant (nella foto sotto, un suo scritto autografo) esistono vari tipi di giudizio: il giudizio “determinante” è quello che si elabora su un oggetto mediante leggi scientifiche; quello “riflettente” è la riflessione che si compie sul medesimo oggetto e si esprime nel giudizio estetico, che è soggettivo perché si basa sul sentimento del Bello; il giudizio “teleologico”, infine, nasce dal tentativo dell’uomo di capire se la natura abbia un fine (télos in greco) oppure sia solamente una cosa meccanica (automaton).
Kant indaga se tale fine sia l’uomo, ponendolo anche in questo caso al centro dell’universo («lo spettacolo del mondo senza l’uomo mi appare un deserto»).
Tuttavia, riconosce che l’uomo è «troppo poco per essere figlio di un dio, ma troppo per essere frutto del caso», ponendo le basi della speculazione moderna.
- Il sublime
All'interno della Critica del giudizio ha un ruolo speciale il Sublime, che è cosa diversa dal Bello. Mentre il Bello ha forma, proporzione e armonia, il Sublime è «ciò che è assolutamente grande», o «ciò che è grande al di là di ogni comparazione».
Inoltre, mentre il Bello è proprio degli oggetti naturali, il Sublime è il risultato di un giudizio espresso dal soggetto.
Il Sublime può essere matematico o dinamico: il primo coincide con l’estensione, sia di tempo che di spazio, e nasce dalla contemplazione degli scenari naturali (nella foto sotto, in un celebre dipinto di Caspar Friedrich) o dalla riflessione sull'infinito; il secondo, invece, è espressione della potenza e della forza irrefrenabile della natura stessa, di fronte alla quale l’uomo prende coscienza del suo limite provando dapprima un senso di smarrimento e frustrazione.
Ma proprio grazie all’esperienza del Sublime egli riconosce la propria superiorità: in quanto unico essere del creato capace di un agire morale, è collocato al di sopra della natura stessa e della sua grandiosità.