Per millenni l’umanità si è curata con pratiche magico-sacerdotali e con rimedi i cui effetti tossici erano quasi sempre peggiori dei mali.
Solo nei casi più fortunati si ricorreva a preparati provenienti dall’intuizione di qualche mente illuminata, privi tuttavia di basi scientifiche che ne convalidassero l’uso.
Sono gli anni Venti del XX secolo e lo studio dei rimedi farmacologici è affidato alla scienza.
Dal chinino all’aspirina, dalla penicillina agli antitumorali: la storia dei farmaci parte da lontano e affonda le sue radici in credenze e rituali magici che per secoli furono ritenuti validi rimedi contro i mali.
Abbiamo dovuto attendere il XX secolo perché nascesse la moderna farmacologia e vedessero la luce le medicine di cui oggi non potremmo più fare a meno.
Ecco qui di seguito una breve rassegna dei farmaci che hanno salvato l’umanità.
1. Il rimedio più antico
Per millenni l’umanità si è curata con pratiche magico-sacerdotali e con rimedi i cui effetti tossici erano quasi sempre peggiori dei mali.
Solo nei casi più fortunati si ricorreva a preparati provenienti dall’intuizione di qualche mente illuminata, privi tuttavia di basi scientifiche che ne convalidassero l’uso.
Oggi sorridiamo, o trasaliamo a seconda dei casi, apprendendo che nel Settecento si praticavano insufflazioni rettali a base di fumo di tabacco per rianimare gli annegati o per curare il mal di testa e persino il colera, perché si pensava che l’intestino umano fosse l’ultimo organo a rimanere in vita.
O ancora, che fino agli anni Trenta si somministravano ai lattanti sciroppi alla morfina per calmare i sonni tormentati dalla dentizione.
I regni vegetale, minerale e animale sono sempre stati le fonti principali alle quali ha attinto la medicina nella sua ricerca di rimedi e cure alle malattie.
L’impiego delle sanguisughe, per esempio, ha origini millenarie: la loro capacità di succhiare il non ben identificato “sangue sporco” era infatti sfruttata per curare malattie polmonari, ferite infette e cancrena.
Il preparato forse più antico di tutti è la teriaca (o triaca), dal greco theriake, che vuol dire antidoto, o dal sanscrito táraca che significa salva. Si tratta di un intruglio di circa 60 ingredienti dalle supposte virtù miracolose contro tutti i mali.
Sebbene con molte variazioni di ricetta, la teriaca è stata usata dal tempo dei Romani, che probabilmente la rielaborarono dall’antidoto universale di Mitridate (I sec. a.C.), fino agli inizi del XX secolo.
Il suo ingrediente fondamentale, miscelato con un lungo elenco di piante, era la carne essiccata di vipera, il cui impiego si rifaceva al principio – poi ripreso nel 1800 dal medico tedesco Samuel Hahnemann con l’“omeopatia” – del similia similibus curantur, i simili si curino con i simili, secondo il quale è possibile curare una malattia somministrando piccole dosi della sostanza (per esempio il veleno) che, in quantità maggiori, si considera responsabile della malattia medesima.
Il veleno di vipera era ritenuto una sorta di antidoto universale al punto che, per guarire dalla malaria, nel Seicento si consigliava di mangiare carne di capponi morti in seguito a morso di vipera.
Poi, per fortuna, contro la malaria è arrivato il chinino, uno dei primi farmaci prodotti industrialmente. Sono gli anni Venti del XX secolo e lo studio dei rimedi farmacologici è affidato alla scienza.
2. Penicillina e chinino
- Penicillina: la scopre Fleming, ma un italiano c’è arrivato prima
La sua casuale scoperta è attribuita al microbiologo scozzese Alexander Fleming nel 1928. Fleming si accorge che una muffa, Penicillium notatum, la quale ha contaminato una sua coltura batterica, distrugge i batteri.
Coltivandola e poi filtrandola, lo scienziato nota che il filtrato uccide molti germi patogeni per l’uomo. La chiama penicillina, ma non riesce a isolare il principio attivo.
Ci riescono, nel 1940, E.B. Chain e H.W. Florey, ricercatori dell’università di Oxford, i quali, assieme a Fleming, ricevono il Nobel nel 1945.
Nel 1893 è stato però un medico italiano, Vincenzo Tiberio, a intuire che la muffa sulle pareti di un pozzo ha un potere battericida e rende l’acqua potabile.
Tiberio pubblica i risultati delle sue ricerche sugli Annali di Igiene Sperimentale, ma sfortunatamente nessuno dà loro importanza.
Nella foto sotto, capsula contenente la muffa di Fleming e il suo scritto.
- Chinino: salva l’Italia dalla malaria tra il 1920 e il 1930
Risale al XVII secolo, forse in Perù, la scoperta che la polvere della corteccia dell’albero della china (Cinchona officinalis) abbassava la febbre.
Dal 1640 il rimedio si diffonde in Europa per trattare anche le febbri malariche.
Nel 1820 due chimici francesi isolano dalla corteccia il principio attivo, che viene chiamato chinina e poi chinino. La sua formula chimica si conoscerà nel 1922. In quegli anni il chinino è uno dei primi farmaci prodotti industrialmente.
In Italia, tra le nazioni europee più colpite dalla malaria (15.000 vittime all’anno), il solfato di chinino viene venduto a basso prezzo nelle tabaccherie (chinino di Stato) e debella la malattia (1920-1930).
3. Aspirina e insulina
- Aspirina: tutto parte dalla corteccia del salice
Nel 1758, in Inghilterra, il reverendo Edward Stone studia le proprietà antifebbrili e antidolorifiche della corteccia del salice bianco (Salix alba), alternativa economica alla china.
Affidandosi a credenze popolari, pensa che le due cortecce abbiano proprietà simili perché entrambe amare. Sperimenta che somministrare ogni 4 ore estratti acquosi di salice riduce la febbre.
Nel 1828 si estrae dalla corteccia il principio attivo salicina e nel 1874 si ricava da quest’ultima l’acido salicilico, utile contro la gotta.
Nel 1897 Felix Hoffmann (foto sopra. a sinistra), chimico della ditta tedesca Bayer, per migliorare la tollerabilità del farmaco combina l’acido salicilico con l’acido acetico e ottiene l’acido acetilsalicilico, ovvero l’aspirina, ancora oggi uno dei farmaci più diffusi al mondo.
- Insulina: si chiama così perché viene da cellule “isola”
Nel 1889 alcuni ricercatori asportano a un cane il pancreas per studiarne le funzioni digestive e scoprono che le sue urine sono ricche di zucchero come quelle dei diabetici: così ipotizzano che il diabete sia dovuto a una disfunzione del pancreas.
Nel 1920, il medico canadese Frederick Banting e Charles Best, studente di medicina (foto sotto), isolano dal pancreas una sostanza che, somministrata a cani diabetici, normalizza i livelli di zucchero nel loro sangue. L’estratto, poiché prodotto da cellule dette “isole pancreatiche”, è chiamato insulina.
Nel 1922 a Toronto Banting somministra insulina bovina a un 14enne diabetico in fase terminale, che si riprende. Da allora l’insulina salva la vita a milioni di diabetici nel mondo.
4. Anticoagulanti e antitumorali
- Anticoagulanti: li usa per primo Eisenhower
Nel 1916 lo statunitense Jay McLean, studente di medicina alla Johns Hopkins University, isola un anticoagulante nel tessuto epatico di un cane: lo chiama eparina.
Vent’anni dopo sarà usato, in forma iniettabile, contro trombosi ed embolie (oggi anche contro COVID-19).
Nell’inverno 1924, in alcune zone di USA e Canada, il bestiame ha delle emorragie, forse dovute al foraggio conservato nei silos, ricco di trifoglio odoroso.
Solo negli anni ’40 sarà identificata una sostanza, il dicumarolo, che ha effetti anticoagulanti e deriva dalla decomposizione del trifoglio odoroso.
Nel 1948 il composto diventa l’ingrediente di un topicida, il Warfarin. Nel 1953 salva il presidente Dwight Eisenhower (foto sotto), colpito da trombosi coronarica, e diventa il capostipite degli anticoagulanti orali.
- Antitumorali: dall’arsenico ai farmaci a bersaglio
Dall’antichità e fino alla metà del XIX secolo l’arsenico è stato il principale antitumorale.
Poi arriva il “gas mostarda” (iprite), arma chimica di massa nella Prima Guerra mondiale che, nel 1942, viene sperimentato come antitumorale alla Yale University per la sua capacità di uccidere le cellule.
Negli anni ’50 invece si cercano nelle piante dei principi attivi contro linfomi e leucemie. Dalle conifere arrivano i taxani per curare i tumori femminili. Più di recente, molto usato, dalla fine degli anni ’70, è il cis-platino, un chemioterapico che aggredisce i tumori solidi.
Ma la “rivoluzione” nelle terapie oncologiche arriva alla fine del XX secolo con i farmaci a bersaglio molecolare che eliminano selettivamente le cellule tumorali risparmiando quelle sane.
Il futuro nella cura dei tumori (foto sotto)? Immunoterapia, terapia cellulare e terapia genica, per “istruire” le cellule a combattere il nemico.
5. Sulfamidici e antipertensivi
- Sulfamidici: nei coloranti c’è un’arma contro le infezioni
Attorno al 1930 in Germania si cercano effetti antibatterici in alcuni coloranti per tessuti.
Nel 1934 Gerhard Domagk (foto sotto), ricercatore della Bayer, trova che il rosso Prontosil Rubrum (la p-sulfanilcrisoidina) blocca i batteri pneumococco, responsabile di polmoniti, streptococco che causa varie infezioni e meningococco che provoca la meningite.
La sostanza è efficace nell’organismo (in vivo) ma non in provetta (in vitro).
Si scoprirà che il Prontosil Rubrum viene trasformato nell’organismo in sulfanilamide, attiva contro i germi in vivo e in vitro: nasce così la classe dei farmaci sulfamidici, detti batteriostatici perché capaci di bloccare la riproduzione dei batteri.
- Antipertensivi: proteggono da ictus e infarto 1,5 miliardi di persone
Prima del 1950, la pressione arteriosa elevata era considerata una forma naturale di invecchiamento.
Oggi, pur non conoscendone spesso la causa, sappiamo invece che è un fattore di rischio, soprattutto per ictus e infarto. A metà degli anni ’50, i diuretici sono i primi antipertensivi efficaci.
Seguono i beta bloccanti, che riducono la forza di contrazione del cuore e la frequenza dei battiti cardiaci, e poi i calcioantagonisti, che impediscono l’ingresso del calcio nelle cellule
muscolari del cuore. Arrivano quindi gli ACE inibitori che sopprimo l’attività di un enzima, l’angiotensina 2, la quale favorisce l’ipertensione.
Negli anni ’80 è la volta dei sartani, antagonisti dell’angiotensina 2.