L’amico non dà solo gioia. È soprattutto un utile alleato al quale, nella vita quotidiana, non possiamo rinunciare.
Perché ci mantiene sani, ci aiuta nel lavoro, ci insegna a vivere in gruppo.
Lo fanno tutte le scimmie, i cavalli, gli elefanti, i cetacei e naturalmente gli umani: si prendono cura di individui con i quali non sono imparentati, passano del tempo con loro anche se non è strettamente necessario, condividono il cibo. In altre parole, fanno amicizia. Ma perché?
Che cosa c’è di speciale in questo rapporto che ci è mancato tanto in queste settimane di lockdown e che in molti hanno riscoperto proprio grazie all’isolamento, magari contattando (anche se da remoto) persone che non sentivano da tempo? Scopriamolo insieme.
1. Meglio alto in rango
Secondo gli studiosi, solo gli umani e pochi altri animali sono davvero capaci di amicizia, e non è un caso che si tratti di specie che vivono in gruppi sociali stabili e ricchi di legami.
«La vita di gruppo ha i suoi vantaggi, ma può diventare stressante: per esempio non sempre è possibile scappare nelle situazioni di conflitto. Ed è lì che entra in gioco l’amicizia», spiega Robin Dunbar, direttore del gruppo di ricerca sulle neuroscienze sociali ed evoluzionistiche dell’Università di Oxford.
«Nel mondo dei primati, al quale apparteniamo anche noi, gli amici servono infatti a formare un’associazione difensiva che tiene gli altri individui a distanza, ma senza escluderli del tutto dalle relazioni».
Appunto, “servono”. Gli studi più recenti sulle dinamiche dell’amicizia dimostrano che abbiamo amici proprio perché ancora oggi, nella vita di tutti i giorni, abbiamo bisogno di alleati.
Ne è convinto Robert Kurzban, psicobiologo dell’Università della Pennsylvania (Philadelphia, Usa), che sostiene: «L’amicizia umana è il frutto di sistemi cognitivi che hanno la funzione di creare coalizioni in vista di potenziali controversie».
Come dire: il nostro cervello è costruito per cercarci degli alleati.
Non a caso, le ricerche provano che le amicizie si creano più facilmente con gli individui del “rango più alto disponibile” (per il semplice fatto che si tende a entrare in relazione con persone che hanno il nostro stesso status sociale e, quando si riesce, uno status superiore).
Ne consegue che gli amici “più potenti possibile” sono anche coloro che potrebbero più facilmente fornire un aiuto in caso di difficoltà.
2. Più salute e più lavoro
Tutto qui? Niente affatto. Anche se gli scienziati si occupano di questo legame da poco tempo, appena una trentina d’anni, le ricerche ormai dimostrano che le amicizie danno in realtà un lungo elenco di benefici: riducono lo stress, fanno diminuire il rischio di ammalarsi, aumentano la produttività sul lavoro, durante l’infanzia insegnano la fiducia negli altri e quindi promuovono un migliore inserimento nella vita sociale. Inoltre, perché no, rendono piacevole la vita in generale.
Solo qualche dato. Le persone socialmente isolate hanno un rischio maggiore di patologie cardiovascolari, malattie infettive e pressione sanguigna elevata, sostengono molte ricerche.
Mentre una meta-analisi (uno studio che ne raggruppa molti altri), condotta da alcuni scienziati della Brigham Young University (Utah, Usa), ha riscontrato un aumento del 50% della probabilità di sopravvivenza a cinque anni di distanza per le persone con relazioni sociali più forti, anche a parità di età, sesso e stato di salute.
I dati provenienti da 26 studi economici diversi, elaborati all’Ohio State University (Usa), hanno invece dimostrato che i gruppi di amici si comportano meglio dei gruppi di conoscenti quando occorre svolgere un compito che richiede un elevato numero di risultati, come può succedere in un ambiente di lavoro molto competitivo.
Vantaggio confermato anche nella particolare situazione in cui i fondatori di un’azienda siano ottimi amici tra loro: resisteranno molto più a lungo alla tentazione di sciogliere la società non appena i conti economici diventano problematici.
Lo provano gli esperimenti condotti dai ricercatori della Wharton Business School (Università della Pennsylvania, Usa), in cui veniva simulata questa situazione.
Quanto alla piacevolezza di passare del tempo con un caro amico, è tutta questione di chimica. Il piacere è legato in particolare all’aumento di ossitocina, un ormone coinvolto nella formazione dei legami madre-figlio e in quelli di coppia.
Questo ormone aumenta le premure verso gli altri, promuove i sentimenti di fiducia e incoraggia la generosità. Ma l’ossitocina non agisce da sola: hanno un ruolo anche le beta-endorfine, neurotrasmettitori simili agli oppioidi, che vengono prodotti dal cervello per resistere per esempio alla fatica muscolare.
In un esperimento di alcuni anni fa è stato dimostrato che se una persona fa canottaggio insieme ai propri amici, e quindi condivide lo sforzo della remata, produce molte più beta-endorfine rispetto a quando rema da sola, anche se la fatica è identica.
Sono quindi queste sostanze, insieme all’ossitocina, a dare benessere al cervello quando si sta in buona compagnia.
3. L’importante è coltivarla
Del resto, «l’esclusione sociale e la perdita degli amici provocano sensazioni molto vicine al dolore fisico», dice Lauren Brent, neurobiologa della Duke University (North Carolina, Usa), che studia proprio le molecole legate a questo sentimento.
Utilità o benessere, quindi? Qual è il vero scopo dell’amicizia? Se lo è chiesto anche la sociologa olandese Mariska Van der Horst, dell’Università di Utrecht, con un maxi-studio in cui ha esaminato il comportamento e le opinioni di oltre 24mila persone.
«C’è un proverbio che recita: “Gli amici sono simpatici, i parenti sono utili”, ma non è così schematico», dice la studiosa. «
Anche nell’amicizia lo scambio di favori reciproci ha un peso importante: quando abbiamo bisogno di supporto concreto non ce lo danno solo le persone con cui siamo imparentati.
Però anche il piacere di passare tempo con un amico senza volere nulla in cambio resta importante e in questo caso meglio incontrarsi di persona.
Una delle cose che emergono dalla nostra indagine, per esempio, è che a contare non è il numero di amici, ma la qualità della relazione. Insomma, meglio pochi e stretti».
L’importante è frequentarli: Robin Dunbar ha calcolato che se nell’arco, per esempio, di 18 mesi due amici non interagiscono mai, perdono il 15% della loro vicinanza emotiva. E la lontananza cresce se il periodo si allunga.
Per perdersi del tutto, comunque, occorre tempo: una ricerca condotta negli Usa su un campione di trentenni ha provato che le persone che vivono a grande distanza possono restare amiche anche per 8 anni o più.
Ma per le amicizie nate nella tarda adolescenza (tra i 16 e i 19 anni) tutto ciò sembrerebbe non valere: anche dopo una lunga lontananza questi amici spesso possono riprendere la relazione esattamente da dove l’avevano lasciata.
4. Mentalmente vicini
Che cosa è l’amicizia? Gli scienziati ne danno una definizione molto pragmatica, basata sulle azioni: per la neurobiologa statunitense Lauren Brent: «Gli amici si impegnano molto più spesso e per periodi più lunghi rispetto ai non amici in alcune attività: conversare, urlare, cooperare alla ricerca di qualcosa, rannicchiarsi uno vicino all’altro, condividere il cibo, allearsi contro altri individui».
Una descrizione che si adatta benissimo all’uomo ma pure ad altre specie animali.
Anche le relazioni sessuali potrebbero far parte di questo quadro, se le azioni vissute insieme sono le stesse che si farebbero con un amico (e del resto si può dire che i membri di molte coppie affiatate siano anche amici tra di loro).
Chi sono, dunque, gli amici? Di solito sono persone il più possibile simili a noi, dicono le statistiche: stesso sesso, fascia di età, grado di istruzione, status sociale. Ma non basta.
Una ricerca di alcuni anni fa aveva addirittura dimostrato che gli amici sono “vicini” anche dal punto di vista genetico, più simili di quanto sarebbe possibile se la somiglianza fosse solo casuale: possono avere tanti geni in comune quanto i parenti di quarto grado (per esempio due cugini).
Il che spiegherebbe perché ci diamo tanto da fare per aiutare un estraneo: anche se non imparentato, potrebbe ugualmente possedere – e magari trasmettere – una parte dei nostri geni. Una cosa è certa, però: gli amici pensano utilizzando gli stessi meccanismi mentali.
Lo ha dimostrato due anni fa Carolyn Parkinson, psicologa dell’Università della California a Los Angeles, scansionando con la risonanza magnetica i cervelli di 42 studenti ai quali venivano mostrati filmati di molti tipi diversi (si andava dal documentario alla canzone folk, dalla manifestazione di protesta al monologo comico).
I cervelli degli amici si “accendevano” nello stesso modo e negli stessi tempi in molte aree della corteccia, come quelle coinvolte nel modo di porre l’attenzione, nel decifrare gli stati mentali altrui, nell’elaborare il linguaggio e il contenuto narrativo delle storie, e naturalmente quelle importanti per il coinvolgimento emotivo.
Erano così simili che dal risultato dell’esame la studiosa poteva indovinare chi fosse amico di chi, solo osservando le reazioni dei cervelli.
L’ipotesi è che la stessa modalità di leggere la realtà renda più facile comunicare, e che quindi sia per questo che scegliamo per amici proprio queste persone piuttosto di altre: non solo ci capiscono, ma ragionano come noi.
5. 150 amici è il nostro massimo
Nell’amicizia non siamo soli: «Molti studi hanno dimostrato che, come l’uomo, gli individui di parecchie specie sanno riconoscere le relazioni che hanno tra loro altri membri del gruppo. In natura essere amici serve: i maschi che hanno legami con altri maschi hanno più cuccioli, le femmine con le amicizie più durature e salde hanno un maggior numero di figli che arrivano all’età adulta», dice Robert Seyfarth, primatologo dell’Università della Pennsylvania (Usa).
Qualche esempio? Alcuni esperimenti hanno provato che i corvi riconoscono gli amici (membri del gruppo con i quali avevano passato del tempo) anche dopo tre anni che non si vedevano più. Anche le iene maculate e i delfini formano vere reti di amicizia.
Ma i comportamenti più stupefacenti si osservano negli scimpanzé, che riescono a stabilire relazioni di fiducia. In un esperimento condotto da Jan Engelmann dell’Università di Berkeley, California, alcuni scimpanzé presi a coppie dovevano scegliere tra due corde: se uno dei due tirava la prima corda riceveva un cibo qualunque, se tirava la seconda, l’altra scimmia riceveva un cibo molto più ghiotto.
Quando la coppia era formata da amici, invariabilmente lo scimpanzé tirava la seconda corda, contando sul fatto che l’amico avrebbe diviso con lui il cibo appetitoso. Se la coppia era formata da scimpanzé non molto affini, era invece più raro che venisse scelta la seconda corda.
L’evoluzionista inglese Robin Dunbar sostiene che possiamo avere fino a 150 tra amici e conoscenti (è il massimo che il nostro cervello ci permette).
Secondo la sua definizione, si tratta di tutte quelle persone che, se le incontrassimo casualmente all’aeroporto di Tokyo, non avremmo difficoltà ad avvicinare per chiedere loro come stanno o cosa ci fanno lì.
E che, se non lo facessimo, si stupirebbero di non essere state perlomeno salutate. Naturalmente, non abbiamo lo stesso grado di confidenza con tutte. Si possono delineare “cerchie” successive di amicizie, distinte tra loro in base alla vicinanza emotiva e al numero di contatti con le persone che si trovano all’interno di ognuna di esse.
Tutte queste cerchie, specialmente quelle più interne, contengono anche parecchi parenti. Eccole qui sotto.
- IL NUCLEO CENTRALE
è costituito da 3-5 amici intimi, con i quali confortarsi nei momenti difficili. Sono quelli con i quali ci si sente almeno una volta alla settimana.
- LA SECONDA CERCHIA è formata da circa una decina di persone. È quello che gli psicologi chiamano “gruppo della simpatia”, sono le persone la cui scomparsa improvvisa ci lascerebbe di sicuro molto sconvolti. Li contattiamo almeno una volta al
mese.
- LA TERZA CERCHIA di amicizie (ma a questo livello si può già parlare di conoscenze) comprende una trentina di individui, che sommati alle due cerchie precedenti danno luogo a 50 persone che nelle popolazioni tribali formano un tipico
accampamento (come nel caso degli aborigeni australiani).
- LA QUARTA CERCHIA comprende un centinaio di persone (si arriva così al totale di 150 individui noti con i quali sono in corso interazioni sociali condotte “di persona”). Con esse abbiamo contatto almeno una volta all’anno.