Gli introversi sono tra un terzo e metà della popolazione mondiale e tra di essi si contano molti personaggi celebri del passato e del presente.
L’attrice Emma Watson, per esempio, si definisce «timida, impacciata nei rapporti sociali. Una frana nelle chiacchiere inutili, a disagio in pubblico e nelle feste rumorose», mentre la star della musica pop Beyoncé dice di essere stata una bambina introversa e, nonostante la sua attuale sicurezza in scena, di non aver modificato il proprio modo di essere, pacato e osservatore.
Anche la Apple deve molto ad un introverso: se Steve Jobs è presto diventato il volto dell’azienda grazie al suo carisma, fu Stephen Wozniak a completare, in perfetta solitudine, il prototipo del primo computer.
In questo caso i due formavano un team vincente perché erano complementari, ma gli introversi possono essere anche leader, come testimoniano le vicende di Rosa Parks o Gandhi.
Tra le caratteristiche che fanno degli introversi dei buoni leader figurano la capacità di ascoltare, osservare ed individuare le migliori qualità dei propri collaboratori. Riescono perfino a essere più convincenti.
Può sembrare un controsenso in una società come quella di oggi in cui sembra vincente solo chi ha la faccia tosta, ma gli studiosi hanno trovato una spiegazione scientifica!
Come diceva Winston Churchill «Serve coraggio per alzarsi in piedi e parlare; ma serve coraggio anche per sedersi e ascoltare».
1. La giusta via di mezzo
Come vi immaginate un bravo venditore? Probabilmente una persona con una buona parlantina e per nulla introversa.
Sbagliato: chi sa piazzare qualsiasi prodotto non è un chiacchierone ma un “ambiverso”, si colloca cioè a metà strada tra introversi ed estroversi.
Lo dimostra la ricerca di Adam Grant della Wharton School dell'Università della Pennsylvania (Usa), pubblicata quest’anno su Psychological science: al termine della indagine, condotta su 300 venditori per tre mesi, le persone con livelli di estroversione non troppo spiccati hanno totalizzato un 32 per cento di vendite in più rispetto agli estroversi.
Il motivo? «Gli ambiversi sono sufficientemente assertivi ed entusiasti da persuadere, ma a differenza degli estroversi sono più capaci d'ascoltare le richieste del compratore evitando così di apparire troppo sicuri di sé e fastidiosi».
L’estroversione non è sempre un bene, quindi. Un pizzico di timidezza ci spinge a essere attenti verso l’altro e quindi più apprezzati: una buona notizia per quel quarto della popolazione mondiale costituita, secondo molti psicologi, da introversi.
Peccato che in un mondo che ci vuole sempre vincenti e facce toste, molti si vergognino della propria introversione, mascherandosi. Lo nota la scrittrice americana Susan Cain in Quiet. Il potere degli introversi in un mondo che non sa smettere di parlare (Bompiani):
«Conviviamo con un sistema di valori che io chiamo l’ideale dell’estroversione, ossia la convinzione diffusa che l’io ideale sia espansivo, dominante, a proprio agio sotto i riflettori».
L’influenza della società occidentale su questi valori emerge anche da uno studio che Xinyin Chen, Kenneth H. Rubin e Yuerong Sun delle Università di Waterloo (Canada) e Shanghai (Cina) condussero vent’anni fa in cui chiesero a genitori canadesi e cinesi di giudicare il temperamento dei figli.
Per i primi la timidezza dei figli rappresentava un problema, per i secondi un tratto positivo utile allo sviluppo sociale.
2. Che cosa ci rende vincenti e l’esempio della salamandra
Oggi le cose non sono molto cambiate. Alcuni mesi fa Ilan Dar-Nimrod, ricercatore del dipartimento di Psichiatria dell’Università di Rochester (Usa), tentò di dimostrare cosa ci rende vincenti, o cool come dicono gli americani, agli occhi degli altri.
Per farlo sottopose tre questionari a un gruppo di partecipanti cui era stato chiesto di definire le caratteristiche tipiche delle persone di successo.
Risultato: era cool secondo la maggioranza dei partecipanti chi è socievole, estroverso e pieno di interessi. Gli psicologi però ritengono che essere controcorrente aiuti.
Laura Tappatà, docente di Psicologia generale e dello sviluppo all’Università Cattolica di Milano, commenta: «Se una ricerca simile venisse condotta da noi il risultato non sarebbe molto diverso. Sarebbe bello che la società elogiasse la timidezza, perché chi è timido ha paura e la paura è un sentimento umano, da rispettare».
Non solo: un po’ di timore aiuta a sopravvivere. Nel 1990 l’etologo Andrew Sih dell'Università di California (Usa) riscontrò che le salamandre più “estroverse” e aggressive crescono più in fretta delle altre perché mangiano di più, ma sono meno attente ai predatori e hanno quindi una mortalità più alta.
Non diverso da quanto accade all’uomo: nel 2004 lo psicologo Daniel Nettle dell'Università di Newcastle (Regno Unito) studiando 545 adulti inglesi notò che l’estroversione, pur garantendo un numero più alto di partner durante la vita, era correlata a una maggiore probabilità di finire all’ospedale per incidenti o malattie.
«Non è un caso che le società che funzionano meglio sono quelle dove c’è un assortimento di estroversi e di introversi: se tutti sgomitassero per avere più visibilità, sarebbe il caos», commenta Robin Dunbar, docente di Antropologia e psicologia a Oxford. Meglio una buona via di mezzo, l’ambiversione appunto, anche in ciascuno di noi.
- Quando il timido vive solo attraverso il web
Sono maschi, hanno in media tra i 14 e i 25 anni, vengono da famiglie agiate e sono più intelligenti della media. E non hanno contatti con nessuno. Il fenomeno degli hikikomori (“che sta in disparte”) è esploso in Giappone, ma sta arrivando anche da noi. Interessati solo a chat, letture di fumetti, videogiochi e social network, gli hikikomori si sentono così a disagio con i loro simili da passare la vita in camera (si fanno lasciare dai genitori il cibo fuori dalla porta) cadendo spesso in depressione.
Per aiutare questi ragazzi si usa la loro stessa arma. In altre parole si cerca una persona di fiducia che contatti il ragazzo attraverso la rete, cercando così di avvicinarlo per aiutarlo a uscire dall’isolamento.
3. Meglio essere disponibili
«Inoltre», ha spiegato in un’intervista Anna Ogliari, docente di Psicopatologia dello sviluppo all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, «i bambini introversi sono ottimi lettori delle espressioni del viso perché in loro funziona al meglio il meccanismo di difesa atavico utile a interpretare nei volti i segnali di aggressione».
L’introverso non va confuso con il timido patologico: quest’ultimo desidera contatti sociali ma teme di non essere all’altezza, mentre il vero introverso sta con gli altri, purché siano pochi. Perché queste differenze? Dipende in gran parte dalla biologia.
Da studi effettuati con l’ausilio di elettroencefalogrammi si è notato come gli introversi manifestino più sensibilità agli stimoli esterni: «Il livello di stimolazione che l’estroverso trova piacevole può essere insopportabile per l’introverso», spiega Colin De Young, docente di Psicologia all’Università del Minnesota (Usa).
In pratica gli introversi devono difendersi da un eccesso di stimoli mentre gli estroversi li ricercano: una carenza manderebbe il loro cervello in “stand by”. L’estroversione sarebbe quindi un possibile modo di essere, e non sempre il migliore. Disponibilità, flessibilità, capacità di ascolto, indipendenza nelle relazioni sono doti più utili di una semplice faccia tosta.
Viviamo in una società chiassosa, improntata alla socializzazione e al culto dell’esuberanza, nella quale l’introversione è una ricchezza che il più delle volte viene sottovalutata. «Questa tendenza che io chiamo l’“Ideale dell’estroversione” è radicata nella convinzione che dovremmo essere tutti individui carismatici e spavaldi, rapidi nel pensiero e con una preferenza per l’azione rispetto alla contemplazione», ha scritto l’autrice statunitense Susan Cain.
Questo «ideale» porta chi non adempie ai suoi requisiti a pensare che vi sia qualcosa di sbagliato in lui. Ed è un vero peccato dal momento che è accertato che gli introversi hanno eccellenti capacità di osservazione e concentrazione, una preparazione spesso più approfondita e sanno gestire lo stress, essere indipendenti e trovare forza nella solitudine.
Questi sono soltanto alcuni dei loro «superpoteri»: «L’introversione non è una zavorra di cui bisogna liberarsi crescendo, è una caratteristica da accettare e con la quale crescere, addirittura di cui gioire. Più ti rendi conto di quanto sono speciali i tuoi pregi da introverso più la tua sicurezza si fortificherà».
4. Sette regole per sfruttare la timidezza al lavoro
«Almeno il 50 per cento della popolazione ha un carattere estroverso, ma tra i manager gli estroversi superano il 95 per cento», spiega Francesca Gino, docente di Scienze del comportamento alla Harvard Business School di Allston (Usa).
Eppure secondo gli psicologi gli introversi possono essere manager persino migliori, perché disposti all’ascolto e capaci di percepire gli aspetti emotivi delle situazioni. Anche in ogni altro ambito lavorativo gli introversi hanno grandi chance, l’importante è capire come sfruttarle.
In Autopromozione per introversi (Etas), l’autrice Nancy Ancowitz fa un elenco di consigli per i timidi alle prese con colleghi estroversi. Eccoli.
1. Preparatevi qualche argomento di discussione leggero, in modo da trovare un punto di contatto con i vostri interlocutori.
2. Arrivate agli incontri riposati e rinvigoriti, in modo da poter prevenire il sovraccarico sensoriale.
3. A voi piace pensare alle vostre idee prima di parlarne, mentre agli estroversi piace elaborare le proprie a voce alta e farle rimbalzare sugli altri: preparatevi a uno scambio continuo e a essere interrotti.
4. Non criticate le domande degli estroversi, ma rispondete.
5. Gli estroversi hanno bisogno di parlare con più persone contemporaneamente: è facile che si annoino in una conversazione a porte chiuse. Quindi se succede non è detto che dipenda da voi.
6. Probabilmente avete una conoscenza approfondita in un solo argomento mentre l’estroverso sa poco di tutto: apprezzate questa differenza, senza criticare eccessivamente né lui né voi.
7. Evitate di mandare agli estroversi lunghe mail: potrebbe limitarsi a una semplice scorsa, leggendo bene solo le prime parole.
5. I segnali per riconoscere l’introverso
L’introversione è ancora oggi un tratto della personalità poco compreso. Sophia Dembling, autrice di The introvert’s way. Living a quiet life in a noisy world (“Il metodo dell’introverso. Vivere una vita calma in un mondo rumoroso”), ha elencato i segnali che permettono di riconoscere a prima vista un introverso. Eccone alcuni.
- Alle feste: non ama incontrare persone nuove e vuole tornare a casa già a metà serata.
- Al lavoro: non ama le chiacchiere che servono per costruire buone relazioni professionali perché gli danno la sensazione di fingere.
- In ambienti caotici e pieni di stimoli: si distrae e si annoia.
- Sui mezzi pubblici: si siede al bordo della fila dei sedili per evitare di incorrere in possibili occasioni di chiacchiere.
- Nello studio: preferisce essere esperto in un solo campo che conoscerne parecchi superficialmente.
- Al telefono: non risponde subito perché preferisce richiamare quando si sente mentalmente pronto.
- Quando comunica: preferisce scrivere una mail piuttosto che fare una telefonata.